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TANTISSIMI ANNI FA … PARTE 31
 
Il periodo storico che sto trattando e che vado a raccontarne i fatti della mia famiglia è la fine del ‘600.  Siamo in un momento ancora piuttosto lontano da noi ed è proprio in questi anni che avvengono cambiamenti politici; per vedere un territorio unito bisognerà aspettare ancora più di 150 anni.
Ed è proprio in questo periodo che la famiglia di Giulio Giuseppe Degiorgi (1666-1710) e di Maria Domenica Biancardi (1672-1711) inizia a fare radici con la nascita dei suoi 11 figli. Li elenco qui di seguito:
Caterina (1693-1693), Rosanna (1694-1694), Rosanna (1695-1695), Anna Rosanna (1696-1756), Biagio (1698-1698), Pietro Francesco (1699-1700), Anna Caterina (1701-1731), Anastasia (1702…), Angela Francesca (1704-1734), Angela Maria (1705-1726), Pietro Francesco (1708-1782).
Una famiglia molto numerosa, 11 figli nell’arco di 15 anni, molti di loro sono morti in tenera età. Nel dettaglio: Caterina nata a Borgofranco il 21 novembre 1693 e morta il giorno dopo; Rosanna nata a Borgofranco l’8 novembre 1694 e morta 8 giorni dopo, battezzata dall’ostetrica “ob imminens mortis periculum”; Rosanna nata il 14 agosto 1695 e morta 26 giorni dopo; Anna Rosanna nata il 30 luglio 1696. A differenza delle altre due sorelline che avevano lo stesso nome ma che non sono sopravvissute, lei riesce a diventare grande, si sposa con Stefano Stefani il 20 maggio 1717 e dal loro matrimonio nasceranno 4 figli. Morirà nel 1756, a 60 anni mentre il marito, quattro anni dopo, nel 1760.
E’ la volta di Biagio, nato il 4 febbraio 1698 e morto nello stesso giorno, 10 ore dopo; Pietro Francesco, nato a Borgofranco il 12 settembre 1699 e morto ad 1 anno il 15 settembre 1700; Anna Caterina nata il 23 genaio 1701 e morta a 30 anni nel 1731, nubile; Anastasia nata il 4 settembre 1702, si sposa l’11 settembre 1725 con Trino Carlo e di loro non si saprà più nulla; Angela Francesca, nata a Borgofranco il 5 aprile 1704 e morta a 30 anni nel 1734, nubile; Angela Maria nata il 18 ottobre 1705 e morta nubile a 21 anni nel 1726, nubile. Siamo già a quota 10 figli e nessuno di loro, per vari motivi o destini, getta delle basi solide per costruire una generazione futura. Il ramo famigliare di Giulio Giuseppe e di Maria Domenica sembra avere la peggio ma arriva l’ultimo figlio, l’undicesimo, un maschio, Pietro Francesco Degiorgi e, finalmente, sarà lui il continuatore della discendenza, il nostro punto di riferimento.
Siamo agli inizi del XVIII secolo, avvenimenti politico-militari della più alta importanza si ripercuotono, in virtù di vari trattati, anche sulla Lomellina, la cui storia locale e regionale va ad inserirsi in quelle ben più vasta, italiana ed europea. Durante la guerra di successione di Spagna fra l’Imperatore d’Austria e il Duca di Savoia Vittorio Amedeo II si stipulava l’8 novembre 1703 un trattato in base al quale la Lomellina veniva ceduta alla Casa Savoia. Questo territorio risulta chiaramente limitato dalle acque del Po, Ticino e Sesia. Arriviamo al 1708, quando la Lomellina poteva considerarsi una provincia piemontese di fatto (P. Landini, “La Lomellina: profilo geografico”, A. Signorelli Editore, Roma 1952)
Ed è proprio in questo anno, il 10 gennaio 1708, che nasce, a Borgofranco, Pietro Francesco Degiorgi. Si sposa a 20 anni, il 10 gennaio 1728 con Giovanna Caterina Torre ma lei morirà appena due anni dopo, nel 1730, all’età di 22 anni. Pietro Francesco si risposa con la signora Domenica Maria Arrigoni già vedova Dall’Occhio (“vìdua Ab Oculo”) nel 1731; il loro matrimonio durerà 27 lunghi anni ma non ci saranno figli. La seconda moglie morirà nel 1758 a 47 anni di età. Pietro è vedovo per la seconda volta ma come ogni proverbio che si rispetti “non c’è due senza tre”, si risposa per la terza volta con la signorina Margherita Cigalino, originaria della vicina Gambarana. E’ il 2 ottobre 1760, Pietro Francesco ha 52 anni, lei 34. Ha perso due mogli e non ha ancora un figlio a cui lasciare la sua eredità.
La personalità di Pietro Francesco la si capisce bene dai suoi stati d’animo: è sicuramente un uomo a cui non piace stare solo, ha bisogno di una donna sempre al suo fianco che lo guidi nel cammino della vita.
Con Margherita, finalmente, arriveranno due figli, soltanto due perché lui ha già “una certa…” (come si dice oggi), ha superato i 50 anni ed è già (per quell’epoca) un uomo maturo ed “arrivato”. Nasceranno Giulio Paolo Degiorgi (1762-1800) e Bartolomeo (1765-1824). Da quest’ultimo, che avrà 8 figli, partirà una generazione piuttosto numerosa che arriverà fino a noi, saranno i Degiorgi che rimarranno a Borgofranco con le loro famiglie fino agli anni ‘70 del ‘900. Una di queste generazioni, (ho a disposizione tutti i dati ma non è questa la sede per commentarli) porterà a vari paesi della Lomellina tra cui Mede, dove risiedono tutt’ora.
Da Giulio Paolo invece nascerà quella generazione che porterà a me e a mio figlio, attraverso quei 6 figli dei quali il terzogenito sarà Severino Degiorgi, padre del mio trisavolo Felice. Commenterò in seguito questi avvenimenti.
La vita di Pietro Francesco giungerà al suo capolinea nel 1782, all’età di 74 anni mentre la moglie Margherita Cigalino vedrà il nuovo secolo, l’800, spegnendosi ad 80 anni nel 1807.
Siamo a cavallo tra il ‘700 e l’800. Storicamente parlando ecco alcune situazioni: nella primavera dell’anno 1800 Napoleone, di ritorno dall'Egitto, punta su Milano e, dopo la vittoria di Turbigo, la occupa il 2 giugno. Nel castello di Lomello si tiene un consiglio di guerra con presenti il feld-maresciallo austriaco Mulas, il generale russo Suwarov ed il principe russo Costantino. Napoleone, passato il Po, si scontra con gli austriaci nella pianura di Marengo il 14 giugno 1800, riportando una memorabile vittoria, che lo rende padrone dell'Italia fino al Mincio e pone fine alla presenza austro-russa in Italia.
In quegli anni l'aspetto della Lomellina è miserabile: carestie e passaggi di truppe l'hanno ridotta in estrema miseria. Si aggiunge anche una prolungata siccità. Napoleone il 7 novembre 1800 ordina il distacco dal Piemonte di tutto il territorio a sinistra del Sesia, Lomellina compresa, e l'unione di queste province alla Repubblica Cisalpina, che dopo i comizi di Lione, in cui fu approvato dai delegati italiani lo statuto napoleonico, prende il nome di Repubblica Italiana. Ai comizi sono delegati 8 membri della Lomellina fra cui il marchese di Breme, che è presidente del Consiglio del Dipartimento di Agogna. La Lomellina viene staccata dal Piemonte con decreto del 2 aprile 1801 e segue le sorti della Repubblica Italiana, fino a che Napoleone assume il titolo di imperatore dei francesi e re d'Italia il 15 marzo 1805. E' questo un periodo di tranquilla floridezza (fonte: la mia “sanguinosa” e sudata Enciclopedia Motta, edizione 1989)
Fra il '700 e l'800 la località di Borgofranco, subisce le stesse vicende del resto della Lomellina, L'epoca napoleonica porta alla ribalta la nuova borghesia dei fittavoli (“fitàul”), che introducono metodi di produzione capitalistica nelle grandi aziende agricole. Come so dai documenti, i miei antenati hanno sempre lavorato per loro, vivendo in maniera umile ma sempre molto dignitosamente. La storia continua…

TANTISSIMI ANNI FA … PARTE 32

 

Sembrerà una storia infinita quella di cui sto parlando attraverso questi post ma è giusto che sia così. La vita in sé non avrà mai fine perché è di genealogia che sto trattando, di vite che si susseguono e tutto ciò diventa storia, racconto, emozione. Fatti realmente accaduti si mischiano con le parole scritte creando il romanzo della nostra vita.

Vorrei proprio parlare, a questo punto, dei due figli di Pietro Francesco Degiorgi (1708-1782) e della sua terza moglie Margherita Cigalino (1827-1807) che sono, come ho già citato nel precedente post, Giulio Paolo Degiorgi (1762-1800) e Bartolomeo Degiorgi (1765-1824).

Voglio dare voce anche alla discendenza di Bartolomeo e parlare un po’ di lui: fratello di Giulio Paolo, nato il 14 aprile 1765 a Borgofranco, sposato nel 1785 con Giuseppa Bellisoni di Borgofranco nata nel 1763 (figlia di Giovanni Battista e di Giovanna Caterina Arpiani). Dal matrimonio nascono 8 figli dei quali 4 maschi e 4 femmine. Bartolomeo muore a 59 anni a Borgofranco nel 1824 mentre Giuseppa Bellisoni nel 1828 a 65 anni, sempre a Borgofranco; ai loro figli faranno seguito varie generazioni che, alcune si estingueranno presto, altre invece arriveranno fino ad oggi in vari paesi della Lomellina: Mezzana Bigli, Suardi, Mede, Lomello, Sannazzaro.

Ma vengo al dunque parlando di Giulio Paolo Degiorgi; nasce a Borgofranco il 1° luglio 1762 alle 10 del mattino e viene battezzato dal parroco Carlo Francesco Nebbiola (reggente dal 1754 al 1767).

Si sposa a soli 18 anni il 1°febbraio 1780 con la signorina Maria Domenica Biancardi di 2 anni più vecchia (nata nel 1760).

Maria Domenica è figlia di Carlo Francesco Biancardi e di Francesca Trotti. E’ la quartogenita di 10 figli dei quali: Giuseppe Antonio 1753, Giuseppe Antonio 1755, Giuseppe Antonio 1757, Maria Domenica 1760 (moglie del Degiorgi), Anna Maria 1763, Pietro Giovanni 1764, Maria Maddalena 1766, Girolama 1768, Marta Maria 1770, Franco Antonio 1772. Della famiglia Biancardi so che, dai documenti, è presente dal 1660 con il bisnonno Francesco che sposerà Marta Millo. E’ il primo Biancardi di Borgofranco ma la famiglia arriva da un altro luogo.

Tornando al mio antenato diretto Giulio Paolo Degiorgi, nei libri del Catasto di Borgofranco ci sono notizie riguardanti le proprietà dei suoi terreni. Nel 1794, con rogito Notaio Caligari, ha una proprietà di 250:1:6 (250 scudi, 1 lira e 6 ottavi) di valore capitale ceduto dal padre Pietro Francesco con varie proprietà al Bezzo, San Pietro, Isoletta, Isolone, Scorticabue, Rogiolo, Maddalena, Vernazza e altre proprietà in denaro per un valore complessivo di 323:5:4 (323 scudi, 5 lire, 4 ottavi).

I nomi delle proprietà, i suardesi lo sanno bene (e anche io me lo ricordo perché ho lavorato lì 2 anni), corrispondono a diverse vie del paese di oggi. La famiglia di Pietro Francesco Degiorgi, padre di Giulio Paolo, è in condizioni economiche discrete per via del suo secondo matrimonio con Maria Domenica Arrigoni, già vedova Dall’Occhio la quale, di condizione benestante, è stata per 27 anni la moglie del mio antenato lasciandogli il suo “paffuto” patrimonio, non avendo avuto figli dal primo marito (e nemmeno loro in quei 27 anni insieme ne hanno avuti).

Dal matrimonio tra Giulio Paolo e Maria Domenica Biancardi nascono 6 figli, 5 femmine e 1 maschio, quel Pietro Francesco Severino Degiorgi (il mio quadrisavolo) che ha continuato la generazione dei Degiorgi fino a me e a mio figlio Simone.

Giulio Paolo muore a soli 38 anni il 23 gennaio 1800 lasciando la moglie e quattro dei suoi figli in giovane età (tra il 8 e i 16 anni); la moglie Maria Domenica Biancardi muore il 5 febbraio 1829 a 69 anni. Dei 6 figli parlerò in modo più approfondito nei successivi post.

La famiglia di Giulio Paolo e di Maria Domenica Biancardi, sarà l’ultima a vivere interamente a Borgofranco e anche quella del fratello Bartolomeo e di Giuseppa Bellisoni. Con le loro rispettive discendenze inizieranno gli spostamenti migratori verso altri luoghi di cui non avevamo ancora sentito parlare per i cambiamenti dei tempi, per le tipologie di lavoro che stavano nascendo, per un diverso modo di vivere, per differenti ambizioni da parte delle persone; insomma, le cose stavano veramente cambiando e ci voleva aria nuova.

Siamo negli anni post napoleonici, le scorribande di eserciti nelle terre lomelline e anche nei nostri borghi sono meno invasive e si respira un clima più disteso anche se i danni e le requisizioni dovute alle invasioni erano ingentissimi e quantificabili in somme di denaro molto elevate. Senza contare tutte le spese di mantenimento degli eserciti in “vettovaglie, bestiame e cavalli”.

Dai prossimi post non sentiremo parlare soltanto di Borgofranco ma di altri luoghi come Cairo Lomellina, Pieve del Cairo, Gambarana, Gallia. Non terre lontane, certamente, ma per un ricercatore ed amante della storia come me, vuol dire l’inizio di un vagare di archivio in archivio alla scoperta del proseguimento delle mie radici. E’ stato comodo, fino ad ora, rimanere nello stesso posto per generazioni. D’ora in poi mi toccherà viaggiare.

Con l’avvicinarsi delle epoche più prossime, la consultazione dei registri avrà un altro sapore, le registrazioni saranno più leggibili con l’aggiunta di ulteriori dati anagrafici e curiosità che prima non erano presenti.

Dal 22 giugno 1837 i registri cominceranno ad essere stampati in forma di libri annuali, scritti in italiano e compilabili mediante l'inserimento dei vari dati. Formalmente gli atti di battesimo, matrimonio e morte partiranno dall’anno 1838 ad essere annotati in questo modo.

Un piccolo passo verso una modernità ancora lontana rispetto alla digitalizzazione di oggi ma pur sempre un passo avanti.

Sta di fatto che per me, è sempre un piacere parlare dei Degiorgi, in qualsiasi epoca.

… continua…

TANTISSIMI ANNI FA … PARTE 33

 

Sono quasi alla conclusione dei racconti sulla mia famiglia. La “Parte 1” della mia storia partiva da uno dei figli di Giulio Paolo Degiorgi cioè da quel Severino, mio quadrisavolo, che da Borgofranco, dopo oltre quattro secoli, si è spostato dal luogo di origine facendo rotta, lui e la sua famiglia, verso il borgo di Cairo Lomellina nel 1833. Lui è uno dei 6 figli di Giulio Paolo e Maria Domenica Biancardi, il terzogenito per l’esattezza ed ora vado ad illustrare la sua famiglia. Nel decennio 1782-1792, nascono i sei figli di Giulio che sono i seguenti: Angela Maria (1782-1782), Margherita Veneranda (1784-1845), Pietro Francesco Severino (1786-1867, il mio quadrisavolo), Ildegarda Cristina (1789-1866), Marianna (1791), Marianna (1792-1860). Ora tratterò di loro uno ad uno tenendo come ultimo riferimento in mio quadrisavolo Severino.

ANGELA MARIA: nata a Borgofranco il 26 febbraio 1782 e morto dopo appena cinque giorni di vita il 1° marzo dello stesso anno;

MARGHERITA VENERANDA: Nata il 19 gennaio 1784, sposata il 21 gennaio 1800 con Abbove Ferdinando; dal loro matrimonio nascono 6 figli, muore a 61 anni nel 1845 e del marito non si sa nulla; i figli di Margherita Veneranda saranno Abbove Anna Caterina 1802, Giulio Carlo 1803, Carlo Maria Luigi 1806, Carlo Marziano 1809, Angela Maria 1813, Giuseppe 1816.

ILDEGARDACRISTINA: nasce a Borgofranco il 23 luglio 1789, il 22 gennaio 1811 si sposa con Alliori Giuseppe Antonio e dal loro matrimonio nascono 6 figli; Ildegarda Cristina muore a Suardi nel 1866 a 77 anni, mentre il marito a 40 anni nel 1831; I figli di Ildegarda saranno Alliori Giuseppe Antonio 1812, Pietro Giovanni 1816, Giulio Maria 1819, Angela Maria 1820, Giulio 1823, Maria 1826. Ildegarda rimarrà sola, rimarrà vedova per oltre 30 anni non sposandosi più.

MARIANNA: Bambina nata morta il 12 ottobre 1791; nell’atto di battesimo viene citata l’ostetrica Rosa Barberini che battezza la bambina “ob imminens mortis periculum”. Marianna è già morta però. Ho trovato tanti casi come quello della piccola Marianna e la figura della “levatrice” è fondamentale (la maggior parte delle donne partoriva in casa), è la prima persona che vede il nascituro e a constatare se è sano oppure malato. Le ostetriche potevano battezzare i bambini in queste condizioni.

MARIANNA: nasce a Borgofranco il 9 dicembre 1792, si sposa con Berri Pietro Giuseppe (nato a Borgofranco del 1789) il 9 dicembre 1810 e dal loro matrimonio nascono 5 figli. Marianna muore a 68 anni nel 1860 e il marito a 50 anni nel 1839; i figli di Marianna sono: Berri Giuseppe Antonio 1811, Angela Lucia 1814, Luigi 1817, Luigi 1818, Paolo Anselmo 1822. Dei 5 figli, il secondo Luigi nato nel 1818 sarà sacerdote, cappellano dell’Opera Pia S. Giacomo (da un documento datato 1854 che illustra le proprietà del don Berri, del fratello Giovanni e della loro madre Marianna Degiorgi). In data 1852, l’intendente per la Lomellina, tale Verga, dà le disposizioni per l’eredità di Degiorgi Paolo (lascito testamentario all’Opera Pia) e la vedova Berri coerede del notaio defunto dovrà nominare un perito per la stima di tale eredità.

Tengo per ultimo il mio quadrisavolo, ultimo ma non meno importante. Anzi, per me sarebbe il più importante, quello fondamentale per la continuazione della generazione fino a me e a mio figlio Simone.

PIETRO FRANCESCO SEVERINO, il suo secondo nome non lo troverò mai scritto da nessuna parte, diverse volte è annotato come “Pietro” e spesso come “Severino” (probabilmente non lo avrà mai usato). Pietro Francesco era il nome di suo nonno, il padre di Giulio, mentre Severino era il nome che gli avevano dato . Un nome comune, come tanti, che troveremo tramandato circa 80 anni dopo come soprannome ad un suo pronipote, Carlo Degiorgi (mio omonimo, 1877-1954, detto “Sivirìn”). Severino era il bisnonno di Carlo e anche il bisnonno di mio nonno Luigi, nessuno di loro lo conobbe perché morì nel 1867, prima che loro nascessero. Anche papà che lo ha conosciuto (parlo di Carlo) lo ricorda non come Carlo ma come “sìu Sivirìn”.

Ho già trattato in questa sede del mio quadrisavolo, nei primissimi racconti sulla mia famiglia, circa il suo trasferimento a Cairo nel 1833 e tutta una serie di vicissitudini che hanno delineato la vita di questo personaggio così lontano da noi ma ascendente diretto.

Intanto dal suo atto di battesimo si rilevano alcuni dati importanti: nasce a Borgofranco il 17 Giugno 1786 alle ore 23 e battezzato il giorno seguente dal rettore Alessandro Vallegiani (reggente dal 1781 al 1789). Padrino è Antonio Domenico Arzani, marito di Maria Geronima Adorni, della parrocchia di Santa Maria di Sale, e Antonia Balduzzi, moglie di Pietro Antonio Burzi, di Borgofranco. Neanche 19enne, Severino si sposa il 12 febbraio 1805 con Francesca Maria Guarnaschelli, originaria di Cambiò, figlia di Francesco Guarnaschelli e Teresa Gagliardi. Della mia quadrisavola ho parecchi dati sulla sua famiglia ed attraverso gli atti parrocchiali della Chiesa di Cambiò sono riuscito a costruire un albero genealogico dei suoi ascendenti diretti scoprendoli tutti qui, risalendo fino al suo trisavolo Giovanni Battista Guarnaschelli, nato in “Loci Campi Beati et Sparvara” nel 1652 che sposerà nel 1675 Margherita Aliprandi.

Quando si sposa Severino, il padre Giulio è già deceduto, trovo scritto “filium quondam Julii”. I testimoni presenti al matrimonio sono Andrea Garavelli e Marziano Rochino, entrambi idonei a questo scopo.

Severino si sposa in uno di quegli anni, il 1805, in cui l’influenza napoleonica, la fa da padrone. Proprio in questo anno, si arriva al decreto dell’8 giugno che sancisce il comparto territoriale del Regno, per cui il Dipartimento dell’Agogna viene diviso in cinque distretti (Novara, Domodossola, Arona, Varallo, Vigevano) e ciascun distretto in cantoni. Tutta la Lomellina, viene a far parte del distretto di Vigevano e suddivisa nei cantoni di Vigevano, Garlasco, Sannazzaro, Mede e Mortara.

Alcuni anni più tardi, nel 1814, con un Editto Regio, vengono ricostituite le Provincie di Mortara e di Vigevano, suddivise in mandamenti.

Borgofranco, all’epoca, faceva parte del mandamento di Pieve del Cairo insieme a Cairo, Mezzana Bigli, Pieve del Cairo, Gambarana, Galliavola, Cambiò, Isola Sant’Antonio.

E tra storia famigliare e storia territoriale arrivo al termine di questo post. Continua…

TANTISSIMI ANNI FA … PARTE 34

 

Avendo parlato, nei precedenti post, dei figli di Giulio Degiorgi e Maria Domenica Biancardi, vissuti a cavallo tra il ‘700 e l’800, tra i quali il mio ascendente diretto SEVERINO DEGIORGI (1786-1867), parliamo ora di un personaggio importante, vissuto più o meno nel medesimo periodo, vale a dire del notaio GIAN PAOLO ANDREA DEGIORGI, conosciuto come PAOLO DEGIORGI nato a Borgofranco nel 1793 da Giovanni Degiorgi e Angela Falabrini (o Falabrina) e morto il 1°dicembre del 1850 in questo stesso luogo: egli fu un benefattore per il paese e lasciò ai posteri tutti i suoi averi per l’ospedale di carità chiamato “Ospedale San Giacomo dei Pellegrini”, divenuto poi “Opera Pia San Giacomo”.

Ho già parlato di lui scrivendo di Jacopo Degiorgi (1578-1648), fratello di Ambrogio Degiorgi (1573-1643, mio ascendente diretto) ma l’ho menzionato soltanto insieme a molti altri nomi ed ha assunto poco significato. Voglio dedicare almeno un intero post a PAOLO DEGIORGI che seppure non sia stato un ascendente diretto della mia famiglia ha avuto in comune la mia stessa origine. Ed essendo più o meno coetaneo con il mio quadrisavolo SEVERINO DEGIORGI (avevano 7 anni di differenza), si saranno conosciuti, frequentati, avranno avuto interessi comuni, avranno partecipato alla vita pubblica del borgo; le due famiglie, seppur diverse per condizione, ceto, avranno avuto sicuramente punti convergenti; le famiglie, pur non avendo una parentela così diretta, si saranno sicuramente frequentate vivendo pienamente la quotidianità della comunità di Borgofranco.

Vediamo insieme la genealogia del benefattore Paolo attraverso questo chiaro schema genealogico (per ascendenti diretti), ricostruito allo scopo di chiarirne l’origine:

 

- Antonio Degiorgi (metà ‘500) con Margha Torre (…)i capostipiti;
- Jacopo Degiorgi (1578-1638) con Margha Millo (...) fratello di Ambrogio Degiorgi, mio ascendente diretto;
- Giovanni Degiorgi (1618) con Domenica Augusti;
- Giovanni Giacomo Antonio Degiorgi (1639-1700) con Angela Maria Turcani;
- Giovanni Ludovico Degiorgi (1680) con Marta Fassina;
- Agostino Domenico Degiorgi (1721) con Lucia Bianchi, in seconde nozze (era uno dei notai presenti in Borgofranco);
- Giovanni Paolo Maria Degiorgi (1759) con Angela Falabrini;
- GIAN PAOLO ANDREA DEGIORGI (1793-1850), il benefattore;

 

Paolo Degiorgi non si sposò e non ebbe figli legittimi. Pensò di lasciare la sua eredità per un bene comune: Borgofranco, il suo paese.

Paolo ha voluto bene alla sua gente, al suo paese, alla sua terra e ricordando le sue origini ha voluto fare qualcosa che lasciasse un segno tangibile.

Faccio un passo indietro, molto prima che Paolo Degiorgi nascesse.

L’Ospedale San Giacomo dei Pellegrini (allora era così chiamato) fu fondato intorno alla fine del XIV° secolo ed aveva un discreto patrimonio terriero. Non si conosce il nome del fondatore ma, già dal 1418, risale una “nominatio et istitutio ministri hospitalis de Burgofranco” in altre parole, una nomina della persona incaricata di gestire questo ente ospedaliero. L’Ospedale é menzionato anche nella visita apostolica del 1460 da un canonico aquilano di Roma, Amico de’Fussolari, e dal vescovo di Pavia Giacomo Ammannati Piccolomini (vescovo dal 1460 al 1479, poi divenuto cardinale): egli si limita a registrare di una chiesa dedicata a San Giacomo accanto alla quale sorgeva un ospedale governato da laici. Nel 1487 é governato da due “ospitalieri”, Giovanni e Francesco Laboranti. Molto dettagliata é anche la relazione della visita pastorale del vescovo di Pavia Ippolito de’Rossi del 1565 (copia della visita in archivio a Suardi) dove menziona che “in detto ospedale erano ospitati i poveri di passaggio, per quanto non vi fosse letto alcuno, ed era disposto su di due piani”. La situazione dell’ospedale rimane immutata nel 1576, circa 20 anni dopo quando monsignore Angelo Peruzzi, vescovo di Pavia, relaziona durante la sua visita pastorale a Borgofranco quanto segue: “l’ospedale era senza titolo, la sua sede era costituita da vetusti e rovinosi edifici ai quali spettavano soltanto di nome la qualifica d’ospedale...”

L’ospedale continua a prestare assistenza nella seconda metà del ‘700 quando il vescovo di Pavia Bartolomeo Olivazzi nella sua visita pastorale a Borgofranco nel 1786 (copia in archivio) constatò che, in paese, esisteva un ospedale sotto il titolo di San Giacomo “pro peregrinis transeuntibus per eumdem locum” (per i pellegrini che transitavano per questo luogo). L’amministratore pro tempore era nominato in base ad un accordo tra il rettore parroco, il sindaco del comune e i priori delle varie confraternite esistenti nel borgo.

E all’epoca di Paolo Degiorgi? Nel 1841 la congregazione dell’ospedale era composta dal parroco Don Francesco Bosio, dal sindaco Costantino Abbove e dai signori Agostino Degiorgi (notaio), Angelo Abbove, Giovanni Casone, Giovanni Calvenzani e Giovanni Battista Torrazzi. Il notaio Degiorgi “venne a morte” in questo stesso anno e fu nominato, al suo posto, il sacerdote Don Giuseppe Casone. Il defunto era parente di Paolo Degiorgi, precisamente suo cugino di primo grado. Paolo Degiorgi nel 1846 fu teste nella congregazione dell’ente e legò “al Pio Ospedale di Borgofranco, sotto il titolo di San Giacomo dei Pellegrini, tutti i suoi beni che esso testatore tiene nelli territorj di Borgofranco e Gambarana, nonché la pezza di bosco nelle fini di Bassignana, unita al territorio di Borgofranco come sopra, nonché tutti li mobili, per questi ultimi dovranno servire in seguito a vendita per il pagamento dei diritti tutti di successione dell’intera eredità di esso testatore intendendo e volendo il medesimo, abbiano le vendite di detti beni a distribuirsi in pubbliche elemosine ai poveri di detto Borgo e specialmente agli infermi e con facoltà, eziandio, di potere gli Amministratori di esso Ospedale in concorso delli nominandi esecutori testamentari prenderne regolare possesso senza dipendenza di alcuno, e disporne nel modo sopra indicato” (Fagnani-Torti: Profilo storico sul Borgofranco di Lomellina, oggi Suardi, 1982 pagg.212-213 e storia dell’Opera pia S.Giacomo alle pagg. 207-208-209-210-211). Il notaio Degiorgi morì il 1° dicembre 1850 e le clausole del suo testamento divennero immediatamente esecutive… continua …

TANTISSIMI ANNI FA … PARTE 35

 

Alla morte del benefattore Paolo Degiorgi, dopo l’acquisizione del legato, l’asse patrimoniale dell’Ospedale San Giacomo subì un notevole incremento, tanto che le sue rendite annue, ammontanti a L. 901,35 nel 1841, passarono a L. 2.586 nel 1861 (solo 20 anni dopo). L’istituzione, fu pertanto in grado di svolgere un’efficace attività assistenziale nei primi decenni dell’unità nazionale, e durante i due ultimi conflitti mondiali. Nel 1951 la rendita dell’ospedale, trasformato nel frattempo in Opera Pia San Giacomo era ancora notevole e la struttura, ancora adibita all’alloggio gratuito degli indigenti, possedeva 200 pertiche di terreno e ogni anno gli assistiti erano circa quaranta persone.

Per ricordare il benefattore insigne di Borgofranco, la popolazione, il comune, la parrocchia, gli enti dello stesso borgo non badarono a spese e fecero per lui cose straordinarie tanto che ci sono le testimonianze scritte che lo provano: intanto il sig. Giovanni Berri, sacerdote, nominato cappellano dell’ospedale San Giacomo ebbe l’ordine dal giudice di mantenere il cavallante, la guardia masionale e la persona di servizio Farina Roberto (che erano alle dipendenze del notaio Degiorgi defunto). Il cavallante portò il prevosto Francesco Agnelli alla casa del defunto Paolo Degiorgi.

Dichiara Don Berri di aver ricevuto “dalla persona del prevosto L.46 di Piemonte per i custodi dei cavalli, per gli altri uomini al servizio e L.5 di Piemonte per se”. Una successiva spesa era quella della vestizione del cadavere: “…Io Fassina Pietro mi ò datto subito alla premura di dimandare uomini suficienti per farlo vestire sicome il morto era molto pesante suplicando li signori ministratori del paese col Riverendo sinor Paroco e la ministrazione dell’oppere pie di volersi pagare come si conviene nel nostro paese li suddetti individui Fassina Pietro, Sozzi Luigi, Fugiaschi eredi e Conti Giovanni. L.7,50 di Piemonte.” Per il signor Francesco Fassina, “faligname, per aver fatto il locolo per daie sepoltura … L.10 di Piemonte”. Fu usato anche molto materiale per la costruzione del loculo e lo stesso Francesco Fassina si rifornì dal muratore Barzizza Carlo, dal fornaciaio Paltenghi Rocco “per fare lo deposito del fu signor notaio Paulo Degiorgi al giorno 1 Xbre anno 1850”. Il documento spiega anche in dettaglio tutto quello che é stato usato.

L’amministrazione dell’ospedale e del paese non badò a spese e somministrò al negoziante Giuseppe Salio di Pieve del Cairo L.244,95 di Piemonte per “n.104 candele di cera del 36 e n.36 candele di cera del 30 per i funerali del signor notaio Degiorgi Paolo”. E quando avvenne il funerale si fecero esequie in grande stile, a ricordo perenne di una persona che per Borgofranco aveva lasciato tutto quello che aveva. Infatti, il giorno 21 gennaio 1851 il prevosto Francesco Agnelli riceve L.288 di Piemonte per le seguenti spese: “L.195 per n.17 sacerdoti presenti alla funzione funebre, L.43,50 al parroco per funerale e ufficio settimanale, L.8 al sagrestano, L.5 alla chiesa, L.4 ai chierici in numero di quattro, L.15 all’organista per n.3 trasferte, L.3 al levamantici, L.4,50 alla Confraternita, L.4,50 ai seppellitori, L.1 per il muratore, L.4 ai quattro portatori del cadavere, L.3,50 per una benedizione al fu Sig. Degiorgi”.

Il 31 gennaio 1852, dall’intendente Verga di Mortara (prot.gen.399/div.3 lettera 30) fu redatto il documento ufficiale della “divisione della pia eredità Degiorgi”. Si doveva nominare un perito che rilevasse la stima di queste eredità.

E il 3 giugno 1852, sempre con altro documento dall’intendente Verga di Mortara (prot.gen.1696/n.133/div.3) fu redatto l’atto conclusivo “divisione dell’Eredità Degiorgi”.

Viene autorizzata la Congregazione di Carità di Borgofranco a stipulare colla sig.ra Marianna Degiorgi vedova Berri la divisione della eredità del sig. Notaio Paolo Degiorgi (…) Sarà poi cura di vigilare onde l’attivo e il passivo dell’eredità Degiorgi sia regolarmente proposto nel Bilancio preventivo del 1853. L’intendente VERGA”.

L’eredità del notaio Degiorgi Paolo andò a buon fine. La coerede Marianna Degiorgi, figlia di Giulio Degiorgi e di Maria Domenica Biancardi nonché la sorella del mio quadrisavolo Severino Degiorgi decise, insieme all’amministrazione dell’ente, le sorti dell’eredità che andarono tutte a beneficio del paese, dei poveri e a favore della struttura ospedaliera chiamata Opera Pia Degiorgi e successivamente Opera Pia San Giacomo. Dal catasto dei terreni dell’anno 1854, si può notare l’estimo pari al valore 562:2:1 (vale a dire 562 scudi, 2 lire e 1 ottavo). Le proprietà di quest’eredità erano tantissime ed interessavano molti terreni delle contrade del paese tra le quali: Santa Maria, Bezzo, Sant’Antonino, Balbiano, Maddalena, San Pietro, Madonna, Vernazza, San Martino, Travedo, Gabbazza, Motta, Cicogna, Isolone, Scorticabue (Archivio Comunale di Suardi: carte diverse dell’Opera Pia S. Giacomo fogli da 2 a 9).

La generosità del Degiorgi rimase per moltissimo tempo nel cuore di tutti gli abitanti di Borgofranco.

La Congregazione di Carità durerà ancora tantissimi anni e dopo l’eredità Degiorgi raddoppiò nel giro di pochi anni le sue rendite, continuando ad aiutare i poveri del paese. Da quei giorni di metà ‘800 passarono ancora più di 80 anni quando con una legge del 3 giugno 1937, in pieno Fascismo, venivano soppresse queste realtà poi denominate E.C.A. (Ente Comunale di Assistenza). Tali nuovi enti acquisirono l’intero patrimonio delle Congregazioni di Carità esistenti. Nell'ambito del trasferimento in mani pubbliche dei compiti di assistenza, l'Ente si dotava di un proprio statuto e si poneva lo scopo di assistere coloro che si trovassero in condizioni di particolare necessità, doveva anche promuovere il coordinamento delle varie attività assistenziali esistenti nel comune. Nel 1977 gli E.C.A. verranno soppressi.

Ma questa è un’altra storia, che esula da quella famigliare ma era doveroso dare un senso di continuità a quell’antico hospitalis de Burgofranco fondato intorno alla fine del ‘300.

…continua…

TANTISSIMI ANNI FA … PARTE 36

 

Arrivato quasi al capolinea dei miei racconti sui Degiorgi, nel senso che sono partito dal primo post con Severino Degiorgi e sono arrivato a questo post parlando nuovamente di lui, direi la fatidica frase: “il cerchio è chiuso”. Ho voluto iniziare da lui perché è il personaggio che ha unito la realtà di Borgofranco a quella di Pieve del Cairo attraverso Cairo. E proprio Pieve è il paese dove oggi vivono le due famiglie Degiorgi che discendono da quei capostipiti Antonio e Margherita, vissuti quasi 500 anni fa in quel borgo che non era dove è adesso ma più a Sud, vicino a quel fiume Po talvolta amico e spesso nemico crudele. La gente di fiume non poteva fare a meno di questo grande corso d’acqua che portava cibo, sostentamento, lavoro, vita ma anche disgrazie, miseria e disavventure.

Terra d’acqua quella di Borgofranco e la gente, con l’umidità nelle ossa piangeva e pregava che quel fiume fosse sempre buono e mai cattivo.

Anni belli, anni infausti e moltissime furono le grandi piene, lungo quei secoli trascorsi.

E nonostante quel maledetto fiume facesse visita spesso agli abitanti di quei luoghi, la gente non se ne andava e con quella grande dignità, ricominciava tutto da capo senza atteggiamenti negativi ma sempre con quella speranza nel cuore che permetteva loro di andare avanti.

Mi pare di sentire i racconti di quella mia gente che diceva in dialetto lomellino: “äs fà präst ä pérd tüt quänd äs g’hà giämò gnintä”. Quel poco però per loro era tanto, tutta la loro vita, i sacrifici fatti, il sudore versato per avere proprio quel minimo indispensabile per vivere, spazzato via dall’acqua di quel fiume che ha sempre accompagnato i nostri borghi, come unica fonte indispensabile di vita. In quel periodo così lontano, così buio per i nostri tempi, la gente si muoveva molto meglio attraverso il fiume ed i canali che per strade ed i sentieri (se così vogliamo chiamarli): minori erano i pericoli sopra un “bärcè” per quella gente così abituata a remare. Ladri, briganti, malativosi, “brütä gènt”, pronti a far gara a chi fosse il più povero.

Immagino la vita dei miei lontani antenati “Antonj et Margha”, in quella casa a Borgofranco, a ridosso del fiume, le strade di fango, i loro bambini insieme a giocare nel “pulé” insieme alle galline e come divertimento qualche cosa fatta con le pezze e gli scarti della stoffa, qualcosa che somigliasse ad una “bigòta” per le bambine e qualche piccolo soldatino di legno intagliato “in t’unä quéi mänèrä” da chi sapeva, più o meno sapientemente, realizzare queste cose.

Un tetto sulla testa, un lavoro più o meno sicuro, la salute che non sempre c’era, la scienza medica ancora lontana da quella tranquillità nelle cure.

Le coppia, a quell’epoca, benché si pensasse fossero piuttosto morigerate, manifestavano quel dono d’amore quasi ogni anno con la nascita di un figlio. Un figlio era una benedizione di Dio, un dono prezioso, una gioia per la famiglia e in un futuro prossimo anche una “forza lavoro” in più per la campagna se si trattava di un maschio e per la casa e le faccende domestiche se si trattava invece di una bambina.

In quei paesi come a Borgofranco però, quasi ogni anno, una famiglia sentiva “suonare a morto” quella campana per un maledetto e crudele destino. Su 30-35 bambini che nascevano, il 65-70% di loro (se non addirittura di più) non raggiungeva l’anno di vita.

Nel caso specifico delle famiglie dei miei antenati, quanti sono stati i bambini morti in tenerissima età e diversi casi anche di bambini nati morti. Le famiglie perdevano almeno un figlio; dico almeno perché se ne perdevano tantissimi se non addirittura, in certi casi più infausti, anche tutti.

Oggi se succedesse una cosa del genere sarebbe una disgrazia, la famiglia si getterebbe in uno sconforto tale da non rialzare più la testa.

Ma una volta la gente, timorata di Dio, donava una vita che spesso veniva ripresa indietro molto presto per tante e svariate ragioni (condizioni di vita, malnutrizione, malattie, incidenti, fatalità). Non veniva mai messo in discussione il destino visto come un “volere di Dio” al quale nessuno si opponeva.

E così, attraverso i secoli ed i periodi storici talvolta benevoli e spesso avversi, passando per vicissitudini più o meno complicate, c’è stato un susseguirsi lento e inesorabile di 14 generazioni fino a mio figlio Simone, l’ultimo Degiorgi, nato a Pavia 19 anni fa, il 1°marzo 2002.

Partendo dai capostipiti voglio fare una carrellata di nomi per chiarire meglio tutti i passaggi che sono stati descritti fino ad ora. Menzionerò soltanto l’ascendenza diretta tralasciando tutte le linee collaterali (che sono tante), altrimenti “fumä gnì sìrä”:

 

- ANTONIO DEGIORGI con MARGHERITA TORRE (siamo nella prima metà del 500) matrimonio intorno al 1570 a Borgofranco;
- AMBROGIO DEGIORGI (1573-1643) con BARBARA CAVEZALI (1595-1648) matrimonio nel 1617 a Borgofranco;
- ANGELO FRANCESCO DEGIORGI (1633-1702) con CATERINA TROTTI (1635-1690) matrimonio nel 1665 a Borgofranco;
- GIULIO GIUSEPPE DEGIORGI (1666-1711) con MARIA DOMENICA TRABELLA (1672-1710) matrimonio nel 1693 a Borgofranco;
- PIETRO FRANCESCO DEGIORGI (1708-1782) in terze nozze con MARGHERITA CIGALINO (1827-1807) matrimonio nel 1760 a Borgofranco (si era sposato in prime nozze con Giovanna Caterina Torre nel 1730, in seconde nozze con Domenica Maria Arrigoni nel 1731, sempre in entrambi i casi a Borgofranco;
- GIULIO PAOLO DEGIORGI (1762-1800) con MARIA DOMENICA BIANCARDI (1760-1829) matrimonio nel 1780 a Borgofranco;
- PIETRO SEVERINO DEGIORGI (1786-1867) con MARIA FRANCESCA GUARNASCHELLI (1783-1840) matrimonio nel 1805 a Borgofranco;
- FELICE DEGIORGI (1820-1910) in seconde nozze con MARIA SANTINA SOZZI (1819-1866) matrimonio nel 1842 a Borgofranco (si era sposato in prime nozze con Rosa Ferrante nel 1841 a Gambarana, in terze nozze con Maria Teresa Carazza nel 1867 a Pieve del Cairo);
- GIOVANNI ANTONIO DEGIORGI (1843-1924) con MARIA ROSA ERCOLINA VOLPINI (1850-1936) matrimonio nel 1867 a Pieve del Cairo;
- LUIGI DEGIORGI (1878-1965) con MARIA TERESA GATTI (1890-1976) matrimonio nel 1908 a Pieve del Cairo;
- ADRIANO DEGIORGI (1922-2008) con ALBERTINA MARIA GIUSEPPINA FERRARI (1930-2012) matrimonio nel 1970 a Cairo;
- CARLO FRANCESCO DEGIORGI (1971) con CRISTINA GERETTO (1970) matrimonio nel 1999 a Pieve del Cairo;
- SIMONE DEGIORGI (2002)

 

Dovrei concludere qui ma ho trovato altri spunti interessanti che vi vorrei raccontare quindi dò appuntamento a tutti al prossimo post … continua …

TANTISSIMI ANNI FA … PARTE 37

 

In questo post vorrei parlare di coloro che hanno reso possibile la discendenza dei Degiorgi fino a mio figlio. Portare avanti il cognome era assolutamente necessario ma per poter continuare a parlare dei Degiorgi c’era bisogno di loro, figure indispensabili nella vita di ogni uomo: le consorti. Voglio proprio parlare delle mogli di tutti i Degiorgi, le mie ave, partendo da quella lontanissima Margha (Margherita Torre) fino ad arrivare alla mia bisnonna, alla mia nonna, alla mia mamma e per finire a mia moglie.

Questi personaggi, tutti al femminile, è giusto che abbiano una consona collocazione all’interno dell’albero genealogico perché senza di loro la pianta non sarebbe mai cresciuta e non avrebbe mai fatto radici.

Una curiosità statistica, per chi è amante delle “successioni numeriche”. Dico qualche nome: Volpini Ercolina, Gatti Teresa, Ferrari Albertina, Geretto Cristina. Sono rispettivamente la mia bisnonna, mia nonna, mia mamma e mia moglie. Fin qui nulla di strano ma il punto è che queste donne hanno qualcosa in comune rispetto al loro anno di nascita. Cosa sarà mai? Ve lo dico subito indicando gli anni di nascita: 1850, 1890, 1930, 1970. Tra di loro ci sono 40 anni esatti: 40 anni tra la mia bisnonna e mia nonna, 40 anni tra mia nonna e mia mamma, 40 anni tra mia mamma e mia moglie.

Ci sono 120 anni, un lasso di tempo che potrebbe coprire 5 generazioni ma sono solo 4, ne manca una e il perché lo avevo già spiegato.

Per far sì che la progressione non si interrompa, mio figlio Simone, classe 2002, dovrebbe sposarsi con una ragazza del 2010. Dovrò aspettare ancora un po’? Lascerò che il destino … anzi … lascerò che mio figlio, decida per il meglio senza guardare troppo ai numeri ma lasciando parlare solo ed esclusivamente il suo cuore.

Ma vediamo insieme l’analisi di tutte le rispettive consorti dei Degiorgi, ripercorrendo ogni generazione. Di loro cercherò di tracciare un profilo il più completo possibile. Tralascerò, solo perché già fatto in precedenza, di scrivere sulla mia bisnonna, su mia nonna e mia mamma. Mi fermerò pertanto solo (solo… si fa per dire) alla mia trisavola.

 

MARGHERITA TORRE (la capostipite)

La prima consorte con cui ho a che fare è Margherita Torre (Margha Torre), nata presumibilmente intorno alla prima metà del ‘500. Di lei si parla soltanto nei documenti dei suoi figli, come anche di suo marito Antonio Degiorgi. A tale proposito, i dati che ho a disposizione, mi sento di identificare “Antonj et Margha” come i capostipiti della mia famiglia, le persone (con ascendenza diretta) più lontane rispetto a me e a mio figlio. E’ straordinario ed indescrivibile l’emozione che ho provato quando sono riuscito a legare 14 generazioni. In condizioni normali, una persona normale (probabilmente io non lo sono…) riesce a malapena a ricordare il nome dei bisnonni anzi, pochi sono coloro che li ricordano considerando che ogni individuo, essendo i genitori dei 4 nonni, ne possiede 8.

Risulta già difficile ricostruire 3-4 generazioni, figuriamoci arrivare a 14.

Ma come ho detto prima, io non sono normale!

Di Margherita “Margha” Torre, ovviamente, per mancanza di altre informazioni, non ho molte notizie. A parte il fatto che abbia sposato Antonio Degiorgi e che ha avuto 6 figli, non so altro di lei. Non conosco il nome dei genitori, non conosco la data precisa di matrimonio e nemmeno quella di nascita. Viene ricavata una base di dati abbastanza attendibile da una semplice formula matematica: se il primo figlio, Ambrogio, nasce nel 1573, Margherita sarà presumibilmente nata intorno nel decennio 1540-1550 ed il marito Antonio quindi intorno al 1530-1540. Si saranno sposati intorno al 1570 (circa). Il loro luogo di nascita, sia di Margha che del marito Antonio è sicuramente Borgofranco. E’ tutto approssimativo purtroppo, “circiter” come si scriveva in latino. L’ultimo figlio di Margherita, Giovanni Degiorgi, nascerà nel 1593. Piuttosto difficile è stabilire l’esatto anno della sua morte. Negli atti dei figli, spesso viene riportato solo il padre (il marito Antonio) e non si capisce così chiaramente se Margherita, in quel momento, è ancora viva oppure no. Del marito Antonio abbiamo qualche dato più certo, un periodo s’intende, per esempio se è ancora vivo è annotato come “ex” (di) altrimenti come “quondam” (del fu). La morte del marito è databile tra il 1608 e il 1617, anni in cui si sposano i due figli (nel 1608 era ancora vivo, nel 1617 era già morto)

 

BARBARA CAVEZALI (1595-1648)

Si tratta della prima consorte di un Degiorgi di cui ho dati certi. Di lei, i documenti ritrovati, seppur abbiano più di 400 anni, parlano chiaro e con numeri precisi.

E’ la moglie di Ambrogio Degiorgi (1573-1643). Nasce il 4 aprile 1595 a Borgofranco, viene battezzata dal rettore Bernardo Bocchio (rector Bernardus Bochius). E’ figlia di Giovanni e di Domenica Cavezali (il cognome della madre non viene riportato, c’è solo il cognome del padre). Presente al sacro fonte solo un padrino, Francesco Trotti vedovo di Rosetta Delia figlia di Domenico Bassi, a tale scopo idoneo. Le notizie sono scarse, siamo agli inizi dell’archivio parrocchiale di questo borgo e lo stato di conservazione dei documenti, seppur discreto, non permette approfondite ricerche sulle persone. Nonostante questo scopro che Barbara ha una sorella più vecchia di lei, Marta, nata nel 1592.

Barbara sposa Ambrogio Degiorgi l’ 8 gennaio 1617 a Borgofranco, lei ha 22 anni, lui 44 e dal loro matrimonio nasceranno 9 figli (nell’arco di 19 anni), tra i quali Angelo Francesco Degiorgi.

Barbara Cavezali muore all’età di 53 anni il 7 aprile 1648 a Borgofranco. Sarà sepolta il giorno successivo non nel cimitero locale ma nella Cappella del SS. Rosario in Chiesa Parrocchiale.

Proseguo il racconto delle consorti dei Degiorgi ma ora devo concludere e dare appuntamento ai lettori al prossimo post… continua …

TANTISSIMI ANNI FA … PARTE 38

 

Proseguo con le notizie sulle consorti dei Degiorgi. I tempi sono ancora molto lontani da noi ma, piano piano, arriverò alla meta. Parlo di tre donne, il cui periodo storico di riferimento risulta essere piuttosto ampio perché sono 3 generazioni. Toccherò pertanto un lungo periodo tra la fine del ‘600, tutto il ‘700 e l’inizio dell’800.

 

GIOVANNA CATERINA TROTTI (1635-1690)

E’la moglie di Angelo Francesco Degiorgi (1633-1702), figlia di Francesco Trotti e Antonia Di Gerolamo. Nasce il 18 novembre 1635 a Borgofranco.

Viene battezzata dal coadiutore Don Gaspare Bocchio. Presenti al sacro fonte come padrino e madrina ci sono Pietro Antonio Stramesi e Giovanna Caterina moglie di Francesco Lineri (“uxor Francisci Lineri”). Dagli atti presenti scopro che il nonno di Caterina si chiamava Pietro Trotti. Caterina fa parte di una numerosa famiglia di 10 figli, nati tra il primo e il secondo matrimonio del padre Francesco. Nel particolare vediamo che Francesco Trotti sposa in prime nozze nel 1613 Agostina Vassalli dalla quale nascono 7 figli: Antonia nel 1614, Pietro Antonio nel 1615, Pietro Martire nel 1618, Domenica Caterina nel 1621, Angela Caterina nel 1622, Caterina Maria nel 1623, Maddalena nel 1633.

Alla morte di Agostina Vassalli avvenuta nello stesso anno 1633, Francesco Trotti si risposa con Antonia di Gerolamo dalla quale nasceranno 3 figli: Giovanna Caterina 1635 (la nostra antenata diretta), Giovanni Bartolomeo nel 1638 e Maddalena nel 1641.

Ecco un piccolo schema genealogico per quanto sono riuscito a risalire:

 

- TROTTI PIETRO (metà ‘500) a Borgofranco
- TROTTI FRANCESCO (1588-1649) con DI GEROLAMO ANTONIA (??) sposati nel 1634 a Borgofranco (già sposato con Agostina Vassalli in prime nozze nel 1613 a Borgofranco)
- TROTTI GIOVANNA CATERINA (1635-1690) con DEGIORGI ANGELO FRANCESCO (1633-1702) sposati a Borgofranco nel 1665

Caterina Trotti sposerà a Borgofranco Angelo Francesco Degiorgi il 18 gennaio 1665 e dal loro matrimonio nasceranno 4 figli dei quali Giulio Giuseppe Degiorgi (1666-1711) sarà il riferimento della nostra discendenza. Caterina morirà il 29 gennaio 1690 all’età di 55 anni: verrà sepolta anch’ella, come la suocera Barbara Cavezzali, non nel cimitero locale ma nella chiesa parrocchiale di Borgofranco.

 

MARIA DOMENICA TRABELLA (1672-1710)

E’ la moglie di Giulio Giuseppe Degiorgi (1666-1711). Nasce a Borgofranco l’11 giugno 1672, è figlia di Bartolomeo Trabella (nato nel 1633) e di Rosanna Arrigoni (o Rigoni), quartogenita di 5 figli di cui Giovanna Maria nel 1665, Angelo Francesco nel 1668, Carlo Francesco nel 1670, lei nel 1672 e Angela nel 1676. Un piccolo albero genealogico di Maria Domenica e una curiosità su come è stato scritto il cognome della nostra antenata prima di lei (quello di suo padre, di suo nonno e del suo bisnonno)

 

- OLTRABELLA PIETRO (1587) con CATTA (Caterina) TURCANI
- OLTRABELLA GIOVANNI MARIA (1609) con ANGELA ELENA ABBOVE (di Giovanni Abbove)
- OLTRABELLA BARTOLOMEO (1633) con ROSANNA ARRIGONI
- TRABELLA MARIA DOMENICA (1672-1710) con DEGIORGI GIULIO GIUSEPPE (1666-1711)

Da Maria Domenica il modo di scrivere il cognome cambia da Oltrabella a Trabella. Ignoro assolutamente il motivo: so soltanto che i figli di Bartolomeo Oltrabella saranno tutti “Trabella” (che è un cognome dei più frequenti ancora oggi a Suardi). Tornando alla nostra Maria Domenica Trabella, il 7 settembre 1793 a Borgofranco sposa Giulio Giuseppe Degiorgi: lei ha 21 anni, lui 27 e dal loro matrimonio nasceranno 11 figli nell’arco di tempo di 15 anni. L’ultimo nato sarà Pietro Francesco Degiorgi (1708-1782), il nostro riferimento, l’ascendente diretto fino a me e a mio figlio Simone. Maria Domenica Trabella morirà il 14 novembre 1710 a Borgofranco all’età di soli 37 anni. Il suo corpo verrà sepolto nel cimitero del paese.

 

GIOVANNA CATERINA TORRE (1708-1730) - DOMENICA MARIA RIGONI (1711-1758) - MARGHERITA CIGALINO (1726-1807)

Perché tre nomi? Sono le 3 mogli di Pietro Francesco Degiorgi (1702-1782). Sulle prime due mogli di Pietro Francesco mi soffermo citando Giovanna Caterina Torre, nata a Borgofranco nel 1708, sposata il 10 gennaio 1728 (lui e lei entrambi 20enni). Giovanna Caterina muore a 22 anni nel 1730. La seconda moglie invece è Domenica Maria Rigoni, nata a Borgofranco nel 1711, sposata il 30 giugno 1731 (lei già vedova Dall’Occhio. Lui benestante lascia proprietà alla moglie che godrà in seguito anche il nostro Degiorgi), muore a 47 anni nel 1758, sempre a Borgofranco. Nonostante quest’ultimo matrimonio duri 27 anni, la coppia non ha figli. Nell’archivio parrocchiale di Borgofranco, non esistono atti riguardanti la loro discendenza.

Un fatto piuttosto insolito all’epoca a meno che qualche impedimento non permetteva di averne.

Passano 2 anni ancora e nel 1760, precisamente il 2 ottobre, Pietro Francesco sposa in terze nozze Margherita Cigalino (originaria del vicino borgo di Gambarana), 34 anni lei e 52 lui. Margherita nasce il 31 luglio 1728, è figlia di Carlo Cigalino e di Maria Bellisoni. Dal matrimonio tra Margherita Cigalino e Pietro Francesco Degiorgi nasceranno comunque 2 figli, Giulio Paolo e Bartolomeo. Focalizzeremo l’attenzione su Giulio Paolo Degiorgi (1762-1800), continuatore diretto della discendenza. Margherita Cigalino morirà a Borgofranco il 28 gennaio 1807 alla veneranda età (per l’epoca era molto) di 80 anni. Il suo corpo verrà sepolto nel cimitero del paese. Siamo in pieno periodo Napoleonico. Anche le nostre terre sono state coinvolte da tali vicissitudini.

… continua …

TANTISSIMI ANNI FA … PARTE 39

 

Pur avvicinandomi ai tempi più recenti, sono ancora molto lontano da me. Voglio analizzare ora due mie antenate vissute a cavallo di 2 secoli, tra il ‘700 e l’800. Sono Maria Domenica Biancardi, mamma del mio quadrisavolo Severino Degiorgi e Francesca Maria Guarnaschelli, mia quadrisavola e quindi moglie di Severino.

 

MARIA DOMENICA BIANCARDI (1760-1826)

Moglie di Giulio Paolo Degiorgi (1762-1800). Nasce a Borgofranco il 14 settembre 1760; è figlia di Carlo Francesco Biancardi e di Francesca Trotti. Viene battezzata da don Carlo Antonio Nibiola (rettore di Borgofranco dal 1754 al 1767), padrino Stefano Antonio Scotti figlio di Pietro e Giovanna Abbove moglie di Francesco Antonio Scotti. Dal 1580 al 1659 non ci sono persone con il cognome Biancardi negli elenchi. Intorno al 1660 compaiono le prime persone che portano questo cognome. Non so da dove venissero ma arrivarono a Borgofranco intorno a quegli anni per poi non andarsene più in quanto, ancora oggi, ci sono famiglie con questo cognome.

Per quanto è stato possibile rinvenire dai documenti dell’archivio parrocchiale ecco uno schema genealogico della nostra antenata:

 

- BIANCARDI FRANCESCO (1660 circa)
- BIANCARDI ANTONIO (1699) con MARTA MILLO (del fu Francesco) sposati l’11-9-1727 a Borgofranco
- BIANCARDI CARLO FRANCESCO (1729) con MARGHERITA CATERINA ZUCCOTTI (…) sposati il 25-1-1752 a Borgofranco
- BIANCARDI MARIA DOMENICA (1760-1829) con DEGIORGI GIULIO PAOLO (1762-1800) sposati il 1°febbraio 1780 a Borgofranco

 

Maria Domenica Biancardi é la quartogenita di 10 figli dei quali: Giuseppe Antonio 1753, Giuseppe Antonio 1755, Giuseppe Antonio 1757, Maria Domenica 1760 moglie del Degiorgi, Anna Maria 1763, Pietro Giovanni 1764, Maria Maddalena 1766, Girolama 1768, Marta Maria 1770, Franco Antonio 1772.

Maria Domenica, il 1°febbraio 1780 sposa, a Borgofranco, Giulio Paolo Degiorgi: sono entrambi giovanissimi, lei non ancora 20enne, lui non ancora 18enne. Le nozze vengono celebrate dal parroco Eusebio Romagnoli (parroco di Borgofranco dal 1778 al 1780, prima parroco di Cairo per 9 anni dal 1769 al 1778).  I testimoni sono Giuseppe Bellisoni e Domenica Arpiani.

Dal loro matrimonio nasceranno 6 figli dei quali, il terzogenito, Pietro Francesco Severino Degiorgi (1786-1867) sarà il continuatore diretto della nostra discendenza (praticamente il mio quadrisavolo). Maria Domenica Biancardi morirà a Borgofranco il 5 febbraio 1829 all’età di 69 anni. Nell’atto di morte viene annotato “ob morbus repentinum”. Le esequie vengono celebrate da Don Francesco Bosio (parroco dal 1817 al 1849). Sarà sepolta nel cimitero del paese.

 

FRANCESCA MARIA GUARNASCHELLI (1783-1840)

Moglie di Pietro Francesco Severino Degiorgi (1786-1867). Nasce a Cambiò (“Loci Campi Beati et Sparvara”) il 1°settembre 1783; è figlia di Francesco Guarnaschelli e di Teresa Gagliardi. La ricerca della mia quadrisavola ha avuto luogo nel territorio di Cambiò consultando l’archivio della Chiesa dedicata a “S. Maria Assunta” che si trovava in uno stanzino adiacente il campanile. Le ricerche sono state fatte circa 20 anni fa quando a Cambiò era amministratore parrocchiale il “buon” Don Dante Bailo. Ora questi documenti sono stati portati in Curia a Tortona.

Ecco uno schema genealogico della mia antenata:

 

- GUARNASCHELLI Giovanni Battista (Cambiò 1652 - Cambiò 1699) con ALIPRANDI Margherita (Cambiò 1649 - Cambiò 1685) sposati a Cambiò nel 1673
- GUARNASCHELLI Filippo (Cambiò 1675 - Cambiò 1740) con ANSALONE Elisabetta (Cambiò 1677-Cambiò 1717) sposati a Cambiò nel 1696
- GUARNASCHELLI Ottavio (Cambiò 1705 - Cambiò 1764) con DORIA Elisabetta (Cambiò 1713 - Cambiò 1753 nello stesso anno in cui nasceva l’ultimo figlio presumibilmente o di malattia o anche di parto) sposati a - Cambiò nel 1743
- GUARNASCHELLI Francesco Carlo (Cambiò 1753 - Cambiò 1785) con GAGLIARDI Teresa (Cambiò 1757 - Cambiò 1800) sposati a Cambiò nel 1783
- GUARNASCHELLI Francesca Maria (Cambiò 1783 - Cairo 1840) con DEGIORGI Pietro Francesco Severino (Borgofranco 1786 - Gallia 1867) sposati a Borgofranco nel 1805

 

Il 12 febbraio 1805 sposa, a Borgofranco, Pietro Francesco Severino Degiorgi, il matrimonio è celebrato da Don Desiderio Arpiani (parroco dal 1805 al 1817), testimoni Andrea Garavelli e Marziano Bochino (o Rochino); dal loro matrimonio nasceranno 4 figli dei quali, 2 nati morti, uno deceduto in tenerissima età e l’ultimo, Felice Fortunato Degiorgi (1820-1910) sarà il nostro antenato diretto. La famiglia di Francesca Maria Guarnaschelli sarà la prima a spostarsi da un paese all’altro. Infatti, si trasferiranno a Cairo Lomellina (comune soppresso nel 1890 ed ora sotto la giurisdizione di Pieve del Cairo), luogo della sua morte avvenuta il 10 ottobre 1840 all’età di 57 anni. Viene tumulata nel cimitero locale; Il resto della famiglia si sposterà a Gallia (frazione di Pieve del Cairo) e successivamente a Pieve del Cairo. La famiglia Degiorgi lavorerà per alcune generazioni sotto le dipendenze della famiglia Cavallini, benestanti di proprietari terrieri e di una fornace sempre nel territorio di Pieve del Cairo.

Il figlio di Francesca Guarnaschelli, il mio trisavolo Felice (1820-1910) come poi suo figlio Giovanni (1843-192, mio bisnonno) e suo nipote Carlo (mio omonimo, 1888-1963, fratello di mio nonno) lavoreranno tutti per diversi decenni alla Fornace Cavallini (lä Furnàsä).

Amici lettori… vi do appuntamento al prossimo post… continua…

TANTISSIMI ANNI FA … PARTE 40 (Fine!)

 

Dopo tre generazioni, ancora 3 nomi: perché? La risposta è la stessa di 3 generazioni prima: sono le tre mogli di Felice Fortunato Degiorgi (1820-1910), il mio trisavolo (quindi sono le mie trisavole), che ha seguito le orme del suo bisnonno Pietro Francesco (che non ha conosciuto)

Parlerò di tre donne importanti nella vita di Felice: Rosa Ferrante è stato l’amore giovanile, quello che sarebbe potuto durare tutta la vita se non fosse sopraggiunto l’infausto evento della prematura scomparsa di Rosa; Maria Santina Sozzi, la moglie da cui Felice ha avuto i figli e grazie a lei noi esistiamo; Teresa Carazza, l’amore maturo, entrambi vedovi, l’amore della compagnia perché probabilmente Felice odiava rimanere solo.

Mi soffermerò maggiormente sulla seconda moglie dalla quale discende la mia famiglia. Ma voglio citare anche le altre due (la prima e la terza)

 

ROSA FERRANTE (1822-1841)

MARIA SANTINA SOZZI (1819-1866)

MARIA TERESA CARAZZA (1810-1879)

 

RosaFerrante

la prima moglie di Felice, nasce a Tortorolo (frazione di Mede ma all’epoca parrocchia autonona) il 3 maggio 1822 da Michele Ferrante (di professione oliaro) e da Rosa Nardi (di professione cucitrice). L’11 maggio 1841 sposa Felice nella chiesa di Gambarana, lei 19enne, lui 20enne. Vanno ad abitare a Pieve del Cairo ma dopo 4 mesi, il 10 settembre 1841, Rosa muore a soli 19 anni di quella malattia polmonare che non dava scampo: la tisi.

 

Maria Santina Sozzi

Seconda moglie di Felice Fortunato Degiorgi, nasce a Borgofranco il 31 ottobre 1819, figlia di Giuseppe Sozzi e di Caterina Trabella. E’ la secondogenita di 5 figli di cui: Francesco (1809-1867), lei, Gaspare (1820-1883), Carlo (1826-1904), Rosa (1829-1896).

Dai famigliari di Santina, eccetto il primogenito Francesco che morirà celibe, prenderanno vita generazioni presenti ancora oggi a Suardi. Da Gaspare (1820-1883) nascerà Maria Francesca Sozzi (1864-1944), seconda moglie di Carlo Garavelli (morto nel 1934), sposato già in prime nozze con Tosini Regina, entrambi genitori di Felice Garavelli, nonno del compianto Felice e di Secondo Garavelli (quest’ultimo abita ancora a Suardi) e da Luigi Sozzi con Torti Angela discenderanno Brenta Gaspare e Sozzi Onorina. Da Rosa Sozzi (1829-1896) discenderà la famiglia Beltrami (il caro Francesco che è stato impiegato comunale) e dall’ultimo figlio Carlo Sozzi (1826-1904) discenderà la famiglia Sozzi di Mede e la famiglia Torlaschi.

Un piccolo schema dei Sozzi rinvenuti. Da questo piccolo albero genealogico ritengo che la famiglia non sia originaria di questo borgo: ad un certo punto il cognome Sozzi scompare (è probabile che arrivino dalla vicina Mede)

 

- SOZZI Martino (?-?) con DEVECCHI Innocenza (1748-1818, di Borgofranco)
- SOZZI Giuseppe Antonio (1786-1847) con TRABELLA Margherita (1791-1872) matrimonio in Borgofranco, 1808
- SOZZI Maria Santina (1819-1866) con DEGIORGI Felice Fortunato (1820-1910) matrimonio in Borgofranco, 1842

 

Maria Santina si sposa a Borgofranco il 1°febbraio 1842 con Degiorgi Felice; per lui è la seconda moglie mentre per lei è il primo matrimonio: hanno entrambi 22 anni.

Santina Sozzi sarà a tutti gli effetti la mia trisavola perché è da lei che partiranno le future generazioni. Dal loro matrimonio nasceranno 5 figli dei quali il primogenito, Giovanni Antonio Degiorgi (1843-1924), sarà il mio bisnonno. La famiglia di Maria Santina si sposterà da Borgofranco a Gallia (frazione di Pieve del Cairo), luogo in cui lei morirà alle 8 di sera del 25 giugno 1866 all’età di soli 47 anni. Una giovane donna ma all’epoca questa era un’età in cui si poteva tranquillamente morire, per vari motivi: il lavoro duro, la fatica quotidiana e le condizioni di vita di allora non aiutavano molto.

 

Maria Teresa Carazza è la terza moglie di Felice Fortunato Degiorgi, nasce a Mezzana Bigli l’8 settembre 1810, figlia di Angelo Domenico Carazza (1780) e di Zaccone Domenica (1782), sposati a Mezzana Bigli nel 1806. Dal loro matrimonio, oltre a Maria Teresa nata nel 1810 hanno avuto anche Rosa Antonia nel 1807 e un’altra Rosa Antonia nel 1808. Un piccolo schema genealogico (la famiglia Carazza non è originaria di Mezzana Bigli):

 

- CARAZZA ALESSANDRO (Mezzana Bigli 1750 - ?)
- CARAZZA Angelo Domenico (Mezzana Bigli 1780 - ?) con ZACCONE Domenica (Mezzana Bigli 1782 - ?) sposati nel 1806 a Mezzana Bigli
- CARAZZA Teresa Maria (Mezzana Bigli 1810 – Pieve del Cairo 1879) con DEGIORGI Felice (Suardi 1820 – Pieve del Cairo 1910) sposati nel 1867 a Pieve del Cairo

 

Maria Teresa Carazza si sposa in prime nozze nel 1830 con Tenti Giovanni Battista (1798-1858), di Pieve del Cairo (è stato anche consigliere comunale). La Carazza ha 10 anni in più di Felice e quando si sposano, nel 1867, lui ha 47 anni, lei 57. Maria Teresa morirà a Pieve del Cairo il 20 aprile 1879, all’età di 68 anni, lasciando Felice vedovo per la terza volta.

 

Delle altre mogli dei miei ascendenti ho già parlato in modo piuttosto approfondino in precedenti post. Ho parlato molto della mia bisnonna paterna Volpini Ercolina (1850-1936), poi ho parlato di mia nonna Gatti Teresa (1890-1976), la mamma di mio papà. E infine ho parlato di mia mamma, dedicandole un paio di post.

Mi fermo qui: le consorti dei Degiorgi hanno dato il loro importantissimo e fondamentale contributo per le generazione che si sono susseguite.

Ora c’è il presente, la vita che sto vivendo con mia moglie, con mio figlio. Preferisco che di noi parli qualcun altro; in questo momento gradirei non scrivere della mia vita ma viverla, fino in fondo.

Traggo le mie conclusioni e termino questo ciclo di racconti sulla famiglia Degiorgi durato diversi mesi e per 40 lunghi post.

Potrei essermi dilungato troppo, potrei essere risultato a tratti noioso, ripetitivo e in tal caso mi scuso (qualcuno potrebbe pensare: “finalmente ha finito”). Ma se a qualcuno di voi fossero piaciuti questi racconti mi fa tanto piacere e si riempie il cuore di gioia: vuol dire che tutto il tempo che ho dedicato e tutta la fatica che ci ho messo in questi 3 lunghi decenni di ricerche, non sono stati vani.

I racconti della mia famiglia si sono intrecciati con le storie importanti, la “piccola storia” si è mescolata insieme alla “grande storia” delineando fatti, situazioni, vicissitudini, tracciando il profilo di tanta gente comune, di ceto medio basso, borghese, benestante, proprietari e contadini, fittabili e bifolchi. Sono le persone a fare la storia e i miei antenati l’hanno costruita, generazione dopo generazione fino ad arrivare ai nostri tempi.

Ora vi saluto. Grazie di cuore a tutti coloro che hanno seguito i miei racconti!!!

TANTISSIMI ANNI FA … (PARTE 41)

 

Moltissime persone mi incontrano per strada, mi fermano e mi chiedono: “Carlo, ma non scrivi più niente? E’ già da un po’ che non leggo quelle bellissime cose che scrivevi”. Da quando mi sono messo a romanzare, a puntate, la storia della mia famiglia ho scoperto che tanta gente è affascinata da questi racconti, incuriosita dai fatti che narro, attratta in qualche modo da tutte queste notizie interessanti che, sembra parlino solo della mia famiglia ma, in realtà, si generalizzano in un contesto più ampio e variegato cioè i luoghi, le situazioni, i territori comuni a tante altre persone. La storia dei miei Degiorgi, gente non facoltosa ma squattrinati bifolchi (buona parte di loro avevano questa condizione), diventa la storia comune di ogni persona che ha vissuto insieme a loro le medesime situazioni.

Alla “parte 40” del mio racconto avrei voluto fermarmi perché ero arrivato a parlare sia di mio papà Adriano (äl Dègo) che di mia mamma Albertina e non volevo spingermi oltre perché non volevo parlare del presente.

Poco più di una settimana fa ho trovato una signora molto gentile (che non nomino), di origine pievese, che ha seguito sempre tutti i miei post (suo papà era molto amico del mio) e si è raccomandata affinché non li interrompessi. Quindi non ho più dubbi e da questo momento riprendo nuovamente i miei racconti.

 

D’altro canto, della mia famiglia non fanno parte solo i Degiorgi ma anche un’altra famiglia molto importante della quale ho a disposizione molti dati interessanti che condividerò volentieri: la famiglia Ferrari, ovvero il cognome di mia mamma.

All’inizio non volevo parlare di loro perché, soprattutto nelle generazioni più lontane, ritenevo ci fosse poca “pievesità” ma ho cambiato idea ed ora sono pronto a raccontarvi in modo dettagliato, la genealogia della famiglia Ferrari fino ad arrivare a mia mamma Albertina.

In alcuni post precedenti a questo ho parlato di mamma in modo approfondito e preciso ma vorrei, come ho fatto con i Degiorgi, discorrere dei suoi antenati.

Rispetto a loro, per i Ferrari mi sono fermato un po’ prima ma posso ritenermi soddisfatto perché ho fatto un salto nel passato piuttosto considerevole, spingendomi fino alla fine del ‘600.

Come per i Degiorgi i capostipiti sono stati “Antonj et Margha”, vissuti nel pieno XVI secolo, per i Ferrari sono stati “Jo Batta et Marta” (scritti in quel latino usato per convenzione da tutte le parrocchie della cristianità, dal Concilio di Trento in poi), vissuti tra il XVII e il XVIII secolo.

Se per i Degiorgi ho parlato solo ed esclusivamente di Lomellina, per i Ferrari i luoghi sono diversi e mi trovo nei territori dell’Oltrepò Pavese. La loro storia si snoda tra le Valli Scuropasso e Tidone, luogo dove la famiglia si sposterà intorno alla metà dell’800 dal borgo di Rocca de’ Giorgi (non a caso anche il nome di questo posto si riaggancia al mio cognome) a quello di Zavattarello.

Parlando di Rocca de' Giorgi, posso dire che è stata sede di un'antica pieve della diocesi di Piacenza, fortificata fin dall'alto medioevo da Aimerico. Si chiamava infatti Rocca di Aimerico quando, nel 1164, è citata tra i luoghi dell'Oltrepò che passarono sotto il dominio pavese. Successivamente fu governata dalla famiglia pavese Campeggi, per cui prese il nome di Rocca Campesana; passò poi sotto il dominio dei Sannazzaro, e per matrimonio a Fiorello Beccaria, che ricostruì la Rocca che da allora fu detta Rocca di Messer Fiorello, o Roccafirella. Nell'ambito del dominio dei Beccaria, giunse al ramo di Montebello, appartenendo al feudo di Montecalvo. Estinti nel 1629 i Beccaria, fu acquistato dai conti Giorgi di Vistarino (feudatari anche della vicina Pietra de' Giorgi), dai quali col tempo prese il nuovo nome (Mons.Clelio Goggi, Storia dei comuni e delle parrocchie della diocesi di Tortona, pagg.314-315)

Le ricerche sulla famiglia di mia mamma hanno avuto luogo nel 1993, quando all’età di 22 anni, stavo svolgendo il servizio civile presso la Casa Albergo di Zavattarello ed appassionato ed inesperto ricercatore, mi recai proprio a Rocca de’ Giorgi trovando, con grande delusione, la chiesa e la casa parrocchiale chiuse. Quel borgo era così popolato che attesi quasi un’ora prima di trovare qualcuno a cui chiedere informazioni.

Trovai un signore anziano che, molto gentile, mi disse: “Guardi che qui non c’è nessuno, il prete non risiede qua!”. Lo sbaglio fu mio che non chiesi a nessuno prima di avventurarmi in mezzo ai “bricchi” e tornai a casa (a Zavattarello, non a Pieve) senza risultati utili. Informandomi meglio (dovevo farlo prima) scoprii che l’Amministratore Parrocchiale di Rocca risiedeva al Santuario della Madonna del Soccorso alla Scorzoletta (frazione di Pietra d.G.). Contattai il sacerdote che, molto disponibile, mi permise di consultare tutti i registri della Parrocchia di San Michele Arcangelo di Rocca.

Con le informazioni che avevo a disposizione, arrivai sul luogo delle mie ricerche, il parroco mi ritirò i documenti e mi aprì quel bellissimo armadio custode della “mia” storia famigliare.

E su e giù per i monti per qualche settimana (ecco perché le ricerche sono anche costose in termini economici e di tempo), riempii il mio blocco notes di dati ed appunti utili a ricostruire un bell’Albero Genealogico di 8 generazioni fino a mia mamma, scoprendo cose nuove ed aneddoti interessanti.

I registri parrocchiali hanno inizio dai primi dal primo decennio del ‘700 per i battesimi, mentre i matrimoni e le morti partono un po’ dopo. Non come a Borgofranco purtroppo, i registri non hanno permesso di andare oltre questi anni ma nonostante questo sono riuscito a risalire ai capostipiti che come avevo già menzionato prima, si chiamavano Giovanni Battista Ferrari e Marta Calatroni. Nonostante la parrocchia sia già citata nei sinodi piacentini del 1623 e del 1686 come “plebs Sancti Michaelis de Rocca Georgiorum”, non esistono documenti in archivio se non dopo il primo decennio del ‘700. Ho pertanto delle lacune più o meno di cent’anni che rimarranno tali (pazienza!!).

Dei capostipiti non ho atti in cui vengono citati. Per fortuna i documenti dei loro figli parlano di loro con nome e cognome (“ex Jo Batta Ferrari et Martha Calathrona jugalibus” ovvero “di Giovanni Battista Ferrari e di Marta Calatroni, coniugi”). Questi miei antenati diretti moriranno sicuramente nel ‘700 ma purtroppo non ho trovato nulla per mancanza di dati nei registri.

Comunque nel periodo in cui nascono “Jo Batta et Martha”, (in una visita pastorale del 1685), Rocca contava 89 anime da comunione e 53 non da comunione: in tutto 142 anime: una piccola comunità.

La storia della famiglia Ferrari continua … nel prossimo racconto!

TANTISSIMI ANNI FA … (PARTE 42)

 

Riprendono le storie della famiglia Ferrari parlando dei due capostipiti che ho rinvenuto dalle ricerche a Rocca de’ Giorgi, ovvero di Giovanni Battista Ferrari (JoBatta) e Marta Calatroni, i miei antenati diretti dai quali è iniziata la discendenza fino a mia mamma Albertina.

Ferrari è un cognome comunissimo, lo possiamo trovare ovunque, in ogni parte dell’Italia. Da uno studio dello scorso 2020, ci sono 26.204 famiglie che portano questo cognome nel nostro paese senza contare tutti quelli che, durante il periodo dell’emigrazione (fine ‘800-inizio ‘900), si sono spostati.

In prevalenza, Ferrari è diffuso nel Nord Italia (87,5%), quindi nel Centro Italia (9,1%), poi al Sud e nelle Isole (3,3%).

Giovanni Battista, vissuto tra la seconda metà del ‘600 ed il primo trentennio del ‘700, sposa la signorina Marta Calatroni. Questo cognome potrebbe derivare dal “cognomen” latino Calatro di cui si ha un esempio nel I° secolo con il Duomviro Caius Sattio Calatro.

I cognomi Calàtro Calatrone sono praticamente unici e dovrebbe trattarsi di errori di trascrizione del più comune Calatroni che è specifico dell'Oltrepò Pavese. Ci sono 162 famiglie in Italia ma è soprattutto in questa zona in cui ce ne sono di più.

Dei miei capostipiti non ci sono dati precisi nell’archivio parrocchiale perché sono nati prima della scrittura dei registri. Figurano soltanto nominati nei documenti del figlio Giovanni Ferrari (“ex Jo Batta et Martha Calatrhrona iugalibus”), rocchese di nascita, rimasto nei luoghi natii per tutta la sua lunga vita.

E di lunga vita si è trattata perché Giovanni (Joannes) è vissuto ben 87 anni (annorum octoginta septem). Un’esistenza lunga, dura, un periodo storico non facile, lavoro, fatica, sacrifici in territori montani non semplici da raggiungere e anche da viverci. Quello che svolgevano i miei antenati, in quel periodo, era un lavoro agricolo in quei terreni scoscesi, collinari, poco pianeggianti, difficili da lavorare ma tutto fatto rigorosamente o a mano o con la forza animale. Era una bassa manovalanza sfruttata molto e pagata poco, tante ore ogni giorno per portare a casa nemmeno il necessario per “tirare avanti”. Non compare la professione di “Jobatta e Martha” ma è sicuro che non erano benestanti. Certo è che in quel periodo c’erano i Conti Giorgi di Vistarino, che nel 1629, estinto il ramo dei Beccaria, acquistarono la Rocca e tutti i possedimenti attorno ad essa. Ho ragione di credere che, molto probabilmente, i miei antenati e non soltanto loro, lavoravano al servizio di questi benestanti signori.

Nel 1722 nasce il loro figlio Giovanni (Joannes), l’ascendente diretto della mia famiglia, oltre ad altri 6 figli per un totale di 5 femmine e 2 maschi.

Delle 5 femmine, soltanto 1 sopravvivrà e darà origine, perdendo il cognome Ferrari, alle generazioni della famiglia del marito di cognome Saviotti (anche questo diffuso in Oltrepò). Le altre moriranno tutte in tenera età e dei due maschi, soltanto Giovanni “metterà su” famiglia mentre l’altro fratello, Domenico, morirà nel 1720 a soli 6 mesi.

Ed è arrivato il momento di parlare di Giovanni Ferrari, figlio di Giovanni Battista e Marta Calatroni, classe 1722. Giovanni, fin da piccolo, sarà sicuramente già coinvolto nei lavori domestici e nei campi. Rimasto l’unico maschio, è probabile che si facesse riferimento a lui per ogni tipo di aiuto. Giovanni diventa grande e nel 1748, all’età di 26 anni, si sposa con la signorina Violante Ferrari (“Viola”), di un anno più giovane, classe 1723, sempre nata a Rocca come Giovanni da una famiglia di umili origini con lo stesso identico cognome: Ferrari. Per mancanza di fonti sufficienti non posso stabilire se ci fu un punto di origine tra queste due famiglie dello stesso cognome. E’ anche vero che in quelle zone, il cognome Ferrari era (ed è tutt’ora) molto diffuso quindi è normale poter trovare anche queste omonimie e far sembrare “tutti parenti”. La mancanza di fonti, rispetto alla mole di dati a cui ho avuto accesso per i Degiorgi, non mi ha permesso ulteriori approfondimenti pertanto, passo oltre.

Giovanni e Violante (a volte viene scritto Violante, a volte anche Viola) saranno una famiglia normale, come tante, vissute sempre all’ombra della Rocca che ancora oggi, ormai ridotto ad un rudere, svetta sul culmine del borgo. Giovanni e Violante sono due contadini, nati nel pieno ‘700, entrambi lavoratori della terra, contadini. Dal loro matrimonio, celebrato nel 1748 nella chiesa di San Michele Arcangelo di Rocca, avranno 8 figli dei quali Carlo Ferrari sarà il mio punto di riferimento, l’ascendente diretto che porterà a mamma Albertina.

Per il resto, la vita di Giovanni e Violante, scorrerà tranquilla, nella totale normalità fino al raggiungimento, per entrambi, del nuovo secolo: l’800. Moriranno molto anziani (chiaramente per l’epoca erano considerati dei “longevi”), lei ad 80 anni nel 1803, lui addirittura ad 87 anni nel 1809, in pieno periodo napoleonico; Napoleone, questo personaggio, storicamente abbastanza noto e famoso, fece il suo passaggio anche nell’Oltrepò Pavese. A Marengo (14 giugno 1800) avrebbe colto uno dei suoi più sfolgoranti successi. Ma Napoleone, sceso in Italia per chiudere i conti con gli austriaci, preparò quella straordinaria vittoria nei cinque giorni, fra il 9 e il 13 ottobre 1800, trascorsi in Oltrepò Pavese. Il grande generale attraversò il territorio come una folgore, da Stradella a Voghera, sconfiggendo le avanguardie asburgiche a Montebello (4 giugno 1800). Due battaglie dure, cruente (a distanza di 10 giorni l’una dall’altra), che avrebbero reso onore al grande Imperatore. E’ quasi scontato pensare che Napoleone, durante la sua permanenza in queste terre, non abbia evitato di rifocillarsi di prelibatezze come l’ottimo salame dell’Oltrepò, un succulento piatto di ravioli ed un altrettanto squisita gallina lessata con ripieno.

Del resto, a pancia piena si combatte meglio, non solo le battaglie ma anche la vita, tutto!!!

Spero che, parallelamente a questo personaggio “corso” di passaggio, anche i miei poveri antenati, Giovanni e Violante Ferrari con i loro figli, abbiano sempre trovato da mangiare, magari non quelle prelibatezze che ho menzionato ma quello che riuscivano, nel loro piccolo, a coltivare, a lavorare e raccoglierne i frutti, dopo un duro lavoro, ogni santo giorno.

La storia continua …

TANTISSIMI ANNI FA … (PARTE 43)

 

Continua la storia della famiglia Ferrari attraverso le notizie che ho rinvenuto e trascritto grazie alle mie ricerche genealogiche in quel di Rocca de’ Giorgi, paese in cui ha avuto origine l’ascendenza di mia mamma Albertina. Mi ero fermato alla generazione di Giovanni e Violante Ferrari (“Joannes et Viola”), sposatasi a Rocca nel 1748, nella Parrocchia di San Michele Arcangelo. Avranno 8 figli dei quali Carlo Ferrari sarà l’ascendente diretto di mamma Albertina.

Parlando di Carlo Ferrari (Carolus), nasce a Rocca de’ Giorgi nel 1752 e viene battezzato nella parrocchia di San Michele Arcangelo. Sposerà una ragazza di Rocca, Rosalba Saviotti (nata nel 1758, “filia ex Caroli et Catta Verga”). Il matrimonio sarà celebrato nel 1784, lui 32enne e lei 26enne. In questo stesso anno in cui Carlo e Rosalba si sposano, Alessandro Volta inventa l’elettrometro (uno strumento che misura le cariche elettriche) e James Watt brevetta la locomotiva a vapore.

Storia importante che corre parallela ai fatti di vita quotidiana, contadina, servile, fondata sui valori della famiglia e del lavoro.

E della mia antenata Rosalba Saviotti, che dire? Il cognome potrebbe derivare dal nome medievale Savio, Savius (dall'italiano antico sapio, "sapere"). Il cognome Savioni, rarissimo, dovrebbe essere milanese. Saviotti ha un ceppo nella provincia di Pavia ed uno in quella di Ravenna. Ci sono 234 famiglie con questo cognome. Emilia Romagna, Pavia e Montalto Pavese (Oltrepò) è diffuso maggiormente. Difatti, Carlo, il padre di Rosalba è nato proprio a Montalto Pavese, non molto distante dalla Rocca. Di questa famiglia ho notizie certe sulla sua discendenza; Carlo e Rosalba hanno avuto 7 figli, tutti maschi. Questi sono i nomi: Giuseppe Maria (1785), Giuseppe Pietro Maria (1788), Luigi (1791), Carlo Giuseppe (1793), Giovanni Antonio (1794), Pietro Giuseppe (1796), Pietro Giuseppe (1798). Per queste persone non ho approfondito il discorso delle parentele collaterali (per diversi motivi) ma mi sono limitato a seguire più nel dettaglio il secondogenito della coppia, vale a dire Giuseppe Pietro Maria (che facendo due conti con le generazioni era il trisavolo di mamma Albertina). I fatti sono sempre trattati nel luogo di Rocca de’ Giorgi, come tutti gli altri è nato, vissuto e morto in questo luogo.

Volendo concludere il discorso sulla generazione prima della sua, ovvero di Carlo Ferrari e di Rosalba Saviotti (i suoi genitori), moriranno entrambi a Rocca, lei all’età di 60 nel 1818 mentre lui, Carlo, all’età di 68 anni nel 1820. Il suo atto di morte riporta chiaramente queste parole: “Carolus Ferrari ex Jo et Viola, vid. Saviotti Rosalba uxor suae, aetatis annorum sexaginta octo”. Siamo appena dopo il periodo Napoleonico, un’Italia che ha da attendere ancora 40 anni per chiamarsi “unita” ma la “restaurazione” pone le basi a grandi moti rivoluzionari che avrebbero avuto inizio da lì a poco. La prima ondata di moti scoppiò nel 1820 in Spagna, dove i militari insorti strapparono al re una costituzione. Si ebbero moti anche in Italia, organizzati dalla Carboneria nei regni delle Due Sicilie (1820) e di Sardegna (1821). Anche qui la costituzione fu ottenuta. La Santa alleanza, però, represse con le armi gli insorti: nel 1823 tutte le costituzioni erano state revocate. Anche i moti nel 1825 in Russia, furono stroncati. Solo i Greci riuscirono a ottenere l’indipendenza dai Turchi nel 1829, grazie all’appoggio delle potenze europee.

Una nuova ondata di moti sconvolse l’Europa nel 1830. In Francia fu cacciato Carlo X e si formò la monarchia liberale di Luigi Filippo d’Orléans; il Belgio ottenne l’indipendenza dall’Olanda. Nonostante il fallimento dei moti in Polonia e in Italia, l’Europa della Restaurazione era ormai disgregata: alla Santa alleanza ridotta ad Austria, Russia e Prussia si opponeva la ‘cordiale intesa’ degli Stati liberali e costituzionali (Inghilterra e Francia). L’età della Restaurazione era finita: i cambiamenti provocati in molti paesi dalla rivoluzione industriale e la nascita di nuove idee e correnti politiche prepararono il clima per una nuova ondata di moti nel 1848-49 (ndr). Questa parallela storia altisonante, più di quella dei poveri Carlo e Rosalba Ferrari (dü povär cristiän), ha sicuramente influenzato la vita di quell’epoca anche nelle loro terre ed i fatti che si sono susseguiti, sicuramente non di facile interpretazione da parte di due contadini come loro, sono stati i protagonisti indiscussi della loro quotidianità.

Basti pensare a quanto avranno dovuto faticare per spostarsi, ogni giorno, da lassù fino a valle, non di certo con le automobili ma con carretti sgangherati (cärät scäsà) trainati dal loro asino, mulo, cavallino se non addirittura a piedi. E quante soste avranno fatto lungo quel torrente, lo Scuropasso. Nasce nel comune di Colli Verdi, presso la località Pometo, e scorre verso nord, in una valle piuttosto stretta e profonda tra le colline dell'Oltrepò attraversando i comuni di Rocca de' GiorgiMontalto PaveseMontecalvo VersiggiaLirioPietra de' Giorgi e Cigognola.

E’ la terra dei miei antenati materni, i Ferrari, che vissero sempre in queste terre. E il mio racconto vuole proseguire parlando di loro e, riprendendo dall’ultima generazione che ho trattato, parlo di Giuseppe Pietro Maria Ferrari, secondo figlio di Carlo e Rosalba Saviotti, nato e vissuto alla Rocca de’ Giorgi per tutta la sua vita. Non visse tantissimo, solo 60 anni (per l’epoca era già un fortunato perché la vita media era piuttosto bassa in quel periodo storico) ma durante questi anni, ci sono risvolti interessanti che vale la pena di approfondirli ma per farlo ho bisogno un po’ di tempo per riordinare le idee quindi, l’appuntamento con il lettore, è rimandato al prossimo racconto… sempre qui alla Rocca, sempre con i Ferrari.

Continua…

 

TANTISSIMI ANNI FA … (PARTE 44)

 

Riprende il mio racconto da uno dei miei ascendenti diretti. Ero arrivato a parlare di Giuseppe Pietro Maria Ferrari, nato a Rocca de’ Giorgi nel 1788, un personaggio vissuto a cavallo tra il ‘700 e l’800. Dai documenti sarà sempre annotato solo come Giuseppe (“Josepho de Ferrari” in quel latino usato sempre per la solita convenzione). La sua vita avrà, come tutti i suoi antenati, uno scenario monotematico: la Rocca, con i suoi scorci caratteristici di borgo arroccato sulle colline dell’Oltrepò ed incastonato nella come una pietra preziosa nella Valle Scuropasso. In quel periodo, a governare quei luoghi ci sono i Conti Giorgi di Vistarino, feudatari sia di Rocca che di Pietra de’ Giorgi e di Calignano (comune soppresso che ora fa parte di Cura Carpignano, ndr.G.Uff. n.339 dell’8-9-1872).

I Ferrari, come tante altre famiglie, sicuramente lavoravano come contadini, braccianti nelle terre e nei possedimenti dei Giorgi. Non conosco la professione di Giuseppe, dai documenti non figura. Purtroppo, in archivio parrocchiale (dove ho fatto le ricerche), non ci sono quei registri utili a capire qualcosa di più di un nucleo famigliare, chiamati “Stati delle anime”. Se fossero stati presenti, avrei potuto capire meglio la situazione famigliare rinvenendo (di solito c’era scritto) anche il mestiere che svolgevano. Non importa, in quell’epoca o eri un medio borghese, o un signore altolocato o un “povr’òm”. Ritengo che la terza ipotesi sia la più accreditata.

Giuseppe, come dicevo prima, nasce nel 1788 e raggiunta l’età di 23 anni, nel 1811, si sposa con una ragazza di Rocca, Giuseppina Faravelli che ha 20 anni (mi piace pensare che la chiamavano Pipìnä), nata nel 1791.

Il cognome Faravelli potrebbe derivare, direttamente o tramite delle varianti, dal nome medioevale Faravellus, di cui si hanno tracce in registrazioni milanesi risalenti al 1260. Potrebbe però anche derivare da un termine arcaico che ha dato poi origine al vocabolo farabolone, "imbroglione", ma anche "chiacchierone". Si trovano tracce di queste cognomizzazioni agli inizi del 1300 a Verona in atti scritti da un certo notaio veronese "Ser Barchinum quondam filìum Magistri Uliveti de Feraboli notarium Verone", ed anche nella seconda metà del 1600 con Bartolomeo Ferabolus fu Gaspare Notaio principale citato tra i notai operanti nelle terre bergamasche soggette alla Repubblica Serenissima di Venezia. Il cognome Faravelliè ben diffuso nel pavese. Faravoloè praticamente unico. Faraboli, molto raro, è tipico di Parma e del parmense. Feraboliè un cognome tipicamente lombardo, diffuso soprattutto a Cremona e nel cremonese. Ferraboli, leggermente più raro, è tipico di Brescia e del bresciano. Ci sono 299 famiglie in Italia con questo cognome ma la maggior parte è in Lombardia, nell’Oltrepò Pavese (ndr. Heraldrys Institute of Rome, ricerca origine etimologica dei cognomi italiani).

Dal matrimonio tra Giuseppe Ferrari e Pipìnä Faravelli nascono 3 figli di cui 2 femmine e un maschio. Purtroppo questa generazione avrà vita breve (come ahimè succedeva in quel periodo) perché i tre bambini moriranno tutti nel giro di pochi anni: Giuseppina nel 1811-1811, Maria Albina 1813-1815, Carlo Giuseppe 1815-1816.

Un crudele destino quello della famiglia di Giuseppe perché, per il momento è avverso. Nel 1815, tra l’altro, morirà la figlia Maria Albina e 3 giorni dopo la nascita del terzo figlio Carlo Giuseppe, nel 1815, morirà la povera giovane moglie a soli 24 anni. Nell’atto di morte viene scritto “ob morbus” che era una dicitura piuttosto comune quando non si sapeva bene cosa fosse la causa della morte (potrebbe essere stata, dati i soli 3 giorni dal parto alla morte, una complicazione insorta dopo la nascita del terzogenito, magari la manifestazione di un’improvvisa infezione, dato che la gente partoriva in casa nelle condizioni igieniche che lascio ad immaginare).

E Giuseppe Ferrari (il mio quadrisavolo) è solo, senza moglie e con un figlio piccolissimo che morirà l’anno dopo, nel 1816. Di certo, gli aiuti non saranno mancati perché, non è come adesso, tra persone ci si aiutava tantissimo.

Passano un paio d’anni da quei brutti ricordi e Giovanni trova un’altra compagna che sposerà in seconde nozze nel 1818. Si tratta di Maria Teresa Ruggeri (probabilmente era chiamata “Tirèsä”), una giovane 27enne della Rocca. Sarà lei la mia quadrisavola a tutti gli effetti, quella con cui Giuseppe farà proseguire la generazione fino a mamma Albertina.

Questo cognome piuttosto generico e diffuso, Ruggeri, deriva dal nome germanico Hrodgaer composto da hroth, "fama, gloria" e gaira, "lancia" e significa pertanto "lancia gloriosa/chi dà gloria con la lancia". Il cognome si attesta e si diffonde a partire dal basso Medioevo grazie al successo del poema cavalleresco l'Orlando furioso dove Ruggero era l'eroe saraceno che si convertirà al cristianesimo. Il cognome Ruggeriè assolutamente panitaliano anche se più diffuso al centronord. Nella località di Ruino (tra l’altro poco distante dalla Rocca) si contano molte persone che hanno questo cognome, in provincia di Pavia 60 famiglie e in Lombardia, più di 1600 (ndr. ndr. Heraldrys Institute of Rome, ricerca origine etimologica dei cognomi italiani).

Maria Teresa Ruggeri nasce a Rocca de’ Giorgi nel 1791. Probabilmente, lei e Giuseppe si conoscevano (data la modestissima estensione del territorio in cui vivevano) e si sposano nel 1818. Lei ha 27 anni ed è il primo matrimonio, lui ne ha 30 e gli sono andate male troppe cose.

Considerandola una sorta di riscatto con il destino, Giuseppe e Maria Teresa mettono su famiglia e stavolta le cose gireranno per il verso giusto.

Nasceranno 7 figli tra il 1819 ed il 1831. Voglio elencarli: Giovanni Antonio 1819, Maria Caterina Angiolina 1821, Antonio Agostino Maria 1824, Costantina 1825, Maria Angela Rosa 1827, Eugenio Pasquale e Tommaso Domenico nel 1831. Gli ultimi non sono gemelli anche se nati nello stesso anno: il primo nasce a gennaio del 1831, il secondo a dicembre del 1831, ad 11 mesi di distanza. Ed è proprio l’ultimo figlio, Tommaso Domenico (conosciuto poi come nònu Dumìnic) che sarà il bisnonno di mia mamma Albertina, il mio trisavolo.

La vita di questa famiglia scorrerà in modo piuttosto regolare, di questi 7 figli, solo 3 sopravvivranno. Giuseppe Ferrari morirà alla Rocca nel 1848 all’età di 60 anni, mentre la moglie Maria Teresa Ruggeri, nel 1847 all’età di 56 anni. Per l’epoca in cui siamo, Giuseppe e Maria Teresa hanno già vissuto molto perché l’età media, alla metà dell’800 era ancora molto bassa.

Questi personaggi che ho citato, i miei quadrisavoli materni, saranno le ultime persone a vivere solo in un posto. Il loro figlio Tommaso Domenico (nònu Dumìnic) sarà la prima persona della mia famiglia Ferrari a spostarsi e oltre alla Rocca, nominata per circa 2 secoli, sentiremo parlare di un altro bellissimo borgo non molto lontano: Zavattarello.

E la storia continua ….

TANTISSIMI ANNI FA … (PARTE 45)

 

Nel precedente racconto avevo concluso parlando di quella generazione che da Rocca de’ Giorgi si è spostata dalla Valle Scuropasso alla Val Tidone, nel luogo di Zavattarello. Avevo accennato soltanto un nome ma questa persona ha unito due realtà distinte, mettendole in unione e sinergia tra il passato ed il presente che poi sarebbe diventato il futuro della mia generazione. Il punto di riferimento, il mio ascendente diretto (materno), l’ultimo dei 7 figli di Giuseppe Ferrari e Maria Teresa Ruggeri (tralasciando i primi 3 figli avuti con la prima moglie Giuseppina Faravelli) è Tommaso Domenico Ferrari (a volte scritto anche “Tomaso”), che mio nonno Giovanni, classe 1891, ha conosciuto e lo ricordava come “nonu Dumìnic”.

La generazione di mia mamma (lei, gli zii Guido, Maria, Amelia ed Enrica) non lo hanno ovviamente conosciuto perché è morto alla fine dell’800 (nel 1897 per la precisione).

Ma è di lui che vorrei parlare e comincio proprio ora: Domenico Tommaso Ferrari nasce il 1°dicembre 1831 alla Rocca. E’ un anno ricco di avvenimenti importanti: Giuseppe Mazzini è esule in Francia, a Marsiglia e poi, nel luglio di questo stesso anno, fonderà la Giovine Italia. In questi anni, 1830 e 1831, anche in quell’Italia non ancora unita, avvengono importanti Moti Rivoluzionari (erano già accaduti un decennio prima), partendo dal Ducato di Modena (il capo era Ciro Menotti che fece una brutta fine).

Storia a parte, Tommaso Domenico era il mio trisavolo. Da fondi piuttosto attendibili, in alcuni “stati delle anime” ritrovate in archivio parrocchiale (per questo periodo qualcosa c’era), lui faceva il “fornaciaro” cioè lavorava in un forno, in una fornace. E’ storicamente nota la presenza di numerose fornaci in Oltrepò Pavese, già dalla fine del ‘600 - inizio del ‘700 ed era ancora molto fiorente in quel periodo. L’anno in questione è il 1844 e Tommaso Domenico è un ragazzino di 13 anni; nulla di sconvolgente perché a quell’età si era già stanchi di lavorare. Questo impiego, non è come oggi, durava dalle 10 alle 14 ore al giorno, in situazione assolutamente prive di precauzioni, di sicurezze, con contratti inesistenti, tutto a “cottimo”. E si lavorava soprattutto nella stagione fredda, per il resto del tempo si andava in campagna dedicandosi all’agricoltura e, per chi aveva le “bestie”, all’allevamento. Era una vita dura e quello che si capisce, solo dai documenti, è che il giovane Domenico ha iniziato molto presto a “tribülà” (io uso, per comodità, il mio dialetto lomellino, anche se siamo in Oltrepò, dove la “parlata” è un po’ diversa). Non credo che Domenico lavorasse alla Rocca (che era molto piccola anche allora) ma in qualche centro vicino più grande in cui esisteva una fornace: a Cigognola e a Broni ce n’erano di grandi. E tutti i “fornaciai” arrivavano, andando indietro nella storia, dalla vicina Svizzera. Ho trovato questo articolo di giornale (ndr Provincia Pavese 18-2-2007) che vorrei citare, per far capire quanto fossero presenti queste realtà nel territorio: “C'era un tempo in cui le ciminiere delle fornaci dominavano l'orizzonte, come le torri di San Gimignano. Il simbolo e la forza di un Oltrepò che traeva la sua linfa vitale non solo dal grano e dalla vite, ma da un altro prodotto della terra che la natura gli ha donato in abbondanza: l'argilla. L'altro «oro nero» che, dalla seconda metà dell'Ottocento, aveva alimentato l'industria dei mattoni, con un'energia e un impeto tali da innescare dei processi di trasformazione della società. L'Oltrepò attirava lavoro anche da oltre confine, persino dalla ricca Svizzera famiglie intere varcavano la frontiera per stabilirsi qui. In ogni casa, almeno una persona lavorava <in ti furnàs>, la loro presenza era cosi fitta da impregnare persino l'aria”.

La famiglia Ferrari è potuta sopravvivere e proseguire anche grazie a questo lavoro, duro ma importante e fondamentale per poter “tirà ävänti”. E il mio trisavolo Domenico cresce, diventa grande e trova, in un comune vicino a Rocca de ‘Giorgi che è Montecalvo Versiggia (sempre nella stessa vallata), una ragazza che sarà la sua futura compagna e moglie per tutta la vita: Maria Rosa Crosio (l’avranno chiamata Rusìnä? Chi può dirlo?)

Il cognome Crosio potrebbe derivare da soprannomi religiosi legati alla Croce di Cristo o alle Crociate. Il cognome Croce è panitaliano con maggiore concentrazione in Lombardia, Lazio e Piemonte.
Croci, Crosi, Crosio è tipico del centro nord, nordovest Lombardia ed Emilia in particolare (non a casa questa parte di territorio confina con l’Emilia Romagna). Crocini è tipicamente toscano, Crocioni è umbro, Crocetta è trevisano e padovano, Crosato è veneto, della provincia di Treviso in particolare. Crucetti è quasi unico, Crucitti è calabrese, del reggino. Crocetti è tipico del centro Italia. Crocetto, raro, ha un piccolo ceppo nel napoletano ed uno nel potentino (ndr)

Dopo questa curiosità vado avanti. Maria Rosa Crosio nasce a Montecalvo Versiggia il 10 dicembre 1840, (da Carlo e Luigia Buscaglia).

All’età di 21 anni, il 2 febbraio del 1861, diventerà la mia trisavola, convolando a giuste nozze con lui, Tommaso Domenico Ferrari. Si sposeranno a Rocca, non nel paese natale di lei (come accadeva di solito) perché probabilmente la famiglia di lei si era già trasferita (è una mia ipotesi). Dall’atto di matrimonio Maria Rosa è una sarta e lui, come ho detto prima, un operaio di fornace. Lui ha 30 anni, lei 21 e dal loro matrimonio nasceranno 6 figli tra i quali, Giuseppe Carlo Luigi, sarà il mio bisnonno materno (da tutti verrà chiamato “nònu Pipô”).

I sei figli di Domenico e Rosa nasceranno a Rocca, tutti tra il 1862 e il 1877.

Intorno al 1890 la famiglia Ferrari si sposterà da lì al paese di Zavattarello facendo alcuni cambi di casa, prima alla frazione Bozzeda (lä Busèdä) e poi definitivamente alla frazione delle Moline (äl Müléen) in cui le due generazioni successive (fino ad arrivare a mia mamma) troveranno i loro natali e la loro dimora.

Domenico Ferrari e Rosa Crosio, hanno probabilmente seguito il loro figlio Giuseppe (il mio bisnonno) che ha trovato moglie a Zavattarello.

Questo paese, purtroppo, sarà la loro ultima dimora. Infatti, Rosa Crosio, morirà a soli 51 anni (per l’epoca era anche un’età discretamente soddisfacente) il 27 febbraio 1892 mentre il marito Domenico, il 6 febbraio del 1897 all’età di 66 anni.

Prima di chiudere gli occhi, assaporeranno la gioia di diventare nonni, appena in tempo per nonna Rosa che ne vedrà soltanto uno, Giovanni, papà della mia mamma Albertina, mio nonno.

La storia quindi … continua…

TANTISSIMI ANNI FA … (PARTE 46)

 

In questo racconto sui Ferrari che prosegue la storia della famiglia di mia mamma Albertina, leggeremo di personaggi un po’ più vicini ai nostri giorni, indubbiamente ancora lontani dai tempi moderni ma più contemporanei. Persone vissute a cavallo tra l’800 e il secolo scorso (il nostro ‘900), uomini e donne più intraprendenti, un po’ più girovaghi dei personaggi del loro passato, rimasti per oltre 2 secoli nel borgo di Rocca de’ Giorgi. Con Domenico Ferrari (1831-1897) e la moglie Rosa Crosio (1840-1892) che sono stati i miei trisavoli materni, si sono viste nuove realtà, non molto lontane ma comunque interessanti ai fini delle scoperte, dei modi di vivere e del cambiamento. Il borgo di Zavattarello (stupendo, bellissimo!!!) sarà il nuovo scenario che si presenterà da qui in poi.

Il motivo del trasferimento di questa coppia da Rocca a Zavattarello è sicuramente da ricercare in una persona che ha fatto capolino nella vita del loro figlio Giuseppe Ferrari, il mio bisnonno.

Seguitemi nella lettura e lo scopriremo insieme!!!

Intanto Giuseppe è il primogenito dei miei trisavoli Domenico e Rosa. Viene battezzato nella Chiesa Parrocchiale di Rocca de’ Giorgi, dedicata a San Michele Arcangelo, il 4 febbraio 1862 (era nato il 3) e gli vengono dati i nomi di Giuseppe Carlo Luigi (Giuseppe era il nome di suo nonno e Carlo quello del suo bisnonno che non li ha conosciuti). Di questi tre nomi, ne verrà usato sempre e soltanto uno: Giuseppe. Era il nonno di mia mamma Albertina e loro, i nipoti, lo chiamavano “nònu Pipô”.

E’ il 1862 quando Giuseppe nasce, l’anno in cui l’Italia è appena stata “fatta” ed è ancora fresca quella battaglia avvenute a poca distanza da lì, a Montebello, che ha visto scontrarsi gli eserciti franco-piemontesi contro gli austriaci (seconda guerra d’Indipendenza).

All'alba dell'unità d'Italia, proprio nel 1859, l'amministrazione piemontese fu riformata (Decreto Rattazzi del 23 ottobre 1859): le province furono ridotte a circondari di nuove più ampie province coincidenti con le vecchie divisioni; i territori piemontesi dell'attuale provincia dunque erano destinati ad essere uniti alle province di Novara, Alessandria e Genova. Ma l'annessione della Lombardia al regno di Sardegna permise di unire le tre ex province di Lomellina, di Voghera e di Bobbio alla provincia di Pavia. Quest'ultima peraltro restituì a Milano la zona di Abbiategrasso e di Binasco, ma conservò a Pavia quella di Vidigulfo e di Landriano. (n.d.r. dalla mia buona e vecchia enciclopedia Motta, quella di carta)

Giuseppe, come ho detto prima, sarà il primogenito di Domenico Ferrari e Rosa Crosio. La coppia avrà altri figli che sono i seguenti: Celestino nel 1865, Luigi Antonio Ernesto nel 1867, Maria Ermenegilda Lauretta nel 1870, Pietro nel 1874 ed infine Ercolina nel 1877. Di questi figli, sopravvivrà soltanto Maria Ermenegilda Lauretta, detta Gilda che dalla Rocca si sposterà a Canneto Pavese (A.Parr-Roc.d.G)

Facendo seguito alle mie ricerche negli archivi arrivo al collegamento tra Rocca e Zavattarello. Scopro infatti che Giuseppe Ferrari, nel 1890 (quando ha 28 anni) sposa una ragazza di questo borgo chiamata Filomena Delbue (che ha 24 anni). Ecco il perché del suo trasferimento con i genitori in questo luogo a me così tanto caro. Il matrimonio della coppia avviene il 19 aprile 1890 nella Parrocchia di San Paolo Apostolo in Zavattarello. Dall’atto di battesimo scopro che la mia bisnonna Filomena è stata chiamata Filomena Maria Matilde, nata il 10 gennaio 1866 (battezzata il giorno seguente), il parroco era Don Giuseppe Rettani (1864-1868).

La mia bisnonna era figlia di Luigi Delbue (1838-1914) e di Angela Bevilacqua (1838-1896), che erano altri miei trisavoli (ne ho scoperti davvero tanti dalle mie ricerche, considerando che ogni individuo ne ha 16).

La grande gioia, per me, è l’aver scoperto l’esistenza di questo cognome, DELBUE come un marchio di fabbrica per Zavattarello, una famiglia che ha sempre abitato li, non fin dalla notte dei tempi ma fino al termine dei registri dell’archivio (dai primi del ‘600). Dispongo, per chi è di Zavattarello e fosse interessato, della genealogia completa della mia bisnonna fino al lontano 1608 con Antonio Delbue che sposa Maria Dedominici. Il cognome “Del Bue” (presente ancora oggi a Zavattarello con diverse famiglie) dovrebbe stare ad indicare che il capostipite fosse una persona benestante, in epoca medioevale, così come ai tempi degli antichi romani, il possedere animali era un chiaro indicatore di agiatezza, ma non si può escludere che possa in qualche caso derivare da un toponimo come la contrada Del Bue di Mantova o quella veronese Cà del Bue (Origine dei cognomi italiani ndr.)

Ecco l’albero per ascendenti diretti:

 

-        Delbue Antonio (1608) + Dedominici Maria (1612)

-        Delbue Jacopo (1634-1712) + Bevilacqua Antonia (1634-1699)

-        Delbue Giacomo (1659-1740) + Buscaglia Maria (1660-1729)

-        Delbue Paolo Andrea (1689-1747) + Marini Giovanna (1652-1726)

-        Delbue Giovanni (1721-1786) + Gazzotti Maria Antonia (1732-1807)

-        Delbue Giuseppe Antonio Benedetto Francesco (1764-1838) + Rufinazzi Teresa (1770-1834)

-        Delbue Giuseppe Antonio (1800-1870) + Buzzi Maria (1803-1855)

-        Delbue Luigi (1838-1914) + Bevilacqua Angela (1838-1896)

-        Delbue Filomena, la mia bisnonna + Ferrari Giuseppe, il bisnonno.

 

Come si può notare anche dai cognomi di tutte le consorti dei Delbue, sono tutti tipici di quella zona ed ancora oggi li troviamo: Gazzotti, Buscaglia, Marini, Buzzi, Rufinazzi ed altri ancora.

Non dispongo dei rami paralleli alla mia bisnonna ma posso citare i nomi della sua famiglia, i suoi fratelli e sorelle (magari qualcuno potrebbe scrutare i suoi avi ancora oggi viventi a Zava, metto il nome e l’anno di nascita): Enrico Giuseppe 1864, Carlo Benedetto 1868, Giovanni Antonio 1870, Angelo Felice 1873, Carlo Benedetto Angelo 1877, Antonia Maria Francesca 1880. Potrebbero essere tranquillamente i bisnonni o i trisavoli di qualche Delbue che oggi risiede a Zavattarello.

Comunque, curiosità a parte (e quando parlo di tutte queste situazioni io mi dimostro costantemente curioso), Giuseppe e Filomena (“nònu Pipô” e “mamä Flumènä”) risiederanno nel territorio di Zavattarello per il resto della loro vita, prima nella frazione Bozzeda (dove nascerà mio nonno Giovanni) e poi nella frazione delle Moline dove nasceranno gli altri figli e dove la famiglia dei miei bisnonni rimarrà.

E ci resteranno fino alla loro morte. Il bisnonno Giuseppe rimarrà vedovo il 24 febbraio 1934 quando a 68 anni morirà la bisnonna Filomena Delbue; lui raggiungerà la ragguardevole età di 80 anni, lasciando per sempre le sue belle colline nel pieno della seconda guerra mondiale, il 31 marzo 1942, in quegli anni in cui quel maledetto “Olocausto” mieteva vittime come le mosche. Ma questa è un’altra storia … dura, crudele e triste storia….

Continua…

TANTISSIMI ANNI FA … (PARTE 47)

 

Di generazione in generazione sto salendo pian piano verso un periodo sempre più vicino ai giorni nostri. Come in tutte le cose, i dati di partenza portano a scoprire un mondo sconosciuto. Attraverso le notizie d’archivio, quando purtroppo non si ha più quella memoria orale (data dal troppo tempo che separa i fatti dai giorni nostri) si può ricavare quasi tutto. Dico quasi perché i fatti raccontanti assumono sempre un altro sapore rispetto ad altrettanto utili, ma molto più freddi, dati presi da documenti, certificati, atti e note scritte. Arrivato a questo punto, le testimonianze scritte nei documenti e la memoria delle persone che ho conosciuto, si fondono quasi a formare un tutt’uno ed appare straordinario ed affascinante tutto quello che si può apprendere da un racconto piuttosto che da un pezzo di carta.

Anche se tutta la storia che ho scritto è stata presa da tanti libri, registri, archivi e pezzi di carta trovata ovunque, nulla di tutto questo potrà mai sostituire il “vissuto” e il “raccontato”.

E proprio in questo punto della mia ricerca sulla famiglia di mia mamma Albertina voglio tralasciare per un attimo i documenti per far posto alle memorie ed ai racconti di chi, su questa generazione, ha conosciuto di persona i fatti.

I miei bisnonni Giuseppe Ferrari e Filomena Delbue (precedentemente citati) non sono due personaggi di cui ho letto soltanto nei documenti ma sono stati conosciuti e vissuti dalla generazione prima di me che me li ha potuti raccontare, descrivere e che ha cercato di farmi capire com’erano.

Due persone buone, dedite al lavoro nella campagna, alla casa, alla famiglia. La bisnonna Filomena, ricordata soltanto da zio Guido, da zia Amelia e da zia Maria (mamma era troppo piccola ed Enrica non era ancora nata) era una donnina minuta, dalle mani callose e dal volto pieno di rughe; aveva due occhi scuri penetranti ma dolcissimi (ricordo quelli di mia mamma) che brillavano al sole come due perle preziose. Nonna Filomena era costantemente con il suo “scusälòn” (sia in estate che in inverno), i capelli – di quel grigio chiaro senza alcun riflesso dorato - raccolti nei fianchi da due rudimentali spilloni da bàlia. Anche Orietta, la cugina di mamma, che era del ’27, la ricordava quando era una bambina (è morta nel ’34). I ricordi ancora più nitidi sono per il bisnonno Giuseppe. Contrariamente a nonna Filomena, tutti i nipoti lo hanno conosciuto (è morto nel 1942) e lo ricordavano come un uomo sempre piuttosto imbronciato da sembrare perennemente triste, scuro in viso ma “bràv mé un tòc äd pän”; non abbandonava mai il suo cappello, in qualunque situazione meteorologica (era sempre quello). Capelli molto corti, sopracciglia foltissime e baffoni lunghi, quasi a coprire la bocca, curvo per il peso della fatica e della vecchiaia (è morto ad 80 anni).

E dei loro figli faceva parte anche mio nonno Giovanni, il primogenito dei sei. Ecco l’elenco completo: Giovanni Giuseppe (1891-1962) mio nonno, Angelo 1893 emigrato in America; Carlo 1896 emigrato pure lui in America; Benedetto Domenico (1899-1986); Felice e Giuseppe nati nel 1903, una coppia di gemelli morti poche ore dopo la loro nascita.

Il mio ascendente diretto è Giovanni, mio nonno. Purtroppo non l’ho conosciuto ma, rispetto agli ascendenti passati per i quali mi sono fidato soltanto di documenti, mi hanno raccontato tante cose. Mia mamma, i miei zii mi hanno parlato continuamente di lui ed oggi, lo menziono come se lo avessi veramente conosciuto di persona. Cosa potrei dire di nonno Giovanni? E’ piuttosto scontato dire che era una persona meravigliosa, buona perché sarebbe stupido parlare male della propria famiglia ma da quanto ho potuto “assorbire” dai miei eccellenti testimoni, nonno Giovanni era veramente così. Nato in quella frazione di Zavattarello, la Bozzeda il 18 marzo 1891 (lä Busèdä o lä Busègä - ho chiesto aiuto ad un amico perché non sapevo dove fosse questa frazione e me lo ha spiegato perfettamente, grazie Armando!) e battezzato il giorno seguente nella Parrocchia di San Paolo Apostolo, nel capoluogo, dall’arciprete Don Lorenzo Mirani (parroco dal 1886 al 1909). Gli vengono dati i nomi di Giovanni Giuseppe (Giuseppe ricorda il nome di suo padre, del suo bisnonno ma anche la festa di San Giuseppe, proprio nel giorno del suo battesimo). Nella sua vita sarà sempre, per tutti, “nònu Giuàn” (per i suoi figli era chiamato – nella parlata oltrepadana di quei luoghi – “pupà”). Giovanni è il primogenito ed anche il primo Ferrari della nuova generazione a non essere nato a Rocca de’ Giorgi. Da papà Giuseppe e mamma Filomena erediterà, come mi hanno sempre ribadito tutti, quella bontà d’animo, quella gentilezza, quella pacatezza e quella genuinità di un uomo d’altri tempi. Il nonno era sempre pronto ad aiutare il prossimo, gli amici, i famigliari, tutti. Chiunque gli chiedesse un favore, lui “sä sfàvä”. La sua preoccupazione era quella di far star bene gli altri, cosa che applicò alla sua famiglia, trasmettendo grandi valori e sani princìpi ai suoi discendenti (mamma, caratterialmente, era uguale al nonno, mi diceva). Lavorava come manovale in campagna, tante ore al giorno, fin dalla giovane età fin che scoppia la Prima Guerra Mondiale e lui è chiamato alle armi. E’ il 1915, Giovanni ha 24 anni. Viene “sbattuto” un po’ lontano da casa, nel Veneto ma è proprio da questa terra lontana dalla sua che nascerà qualcosa di bello, di magico, che germoglierà in un incontro che, seppur casuale, darà vita al suo prossimo futuro. Incontrerà una giovane donna bellissima, Costantina Danesin (la mia nonna), classe 1899, prima di una numerosissima famiglia di Martellago (Venezia), paese dove la nonna è nata. Resterà oltre 2 anni nel Veneto e quando, nel 1918, la guerra giunge al suo termine, dovrà tornare a casa ma, con una solenne promessa: sistemare quelle due o tre cose per poi tornare e portare con se per sempre la sua Costantina. Nel 1920 succederà davvero e Giovanni e Costantina si sposano, nella chiesa Parrocchiale di Martellago.

Il contadino di Zavattarello si unirà alla contadina di Martellago, la zona collinare si mescolerà con la piatta pianura della laguna. Costantina emigrerà dal suo paese e non vi farà più ritorno. Una nuova famiglia si formerà e la storia proseguirà nel prossimo racconto …

TANTISSIMI ANNI FA … (PARTE 48)

 

Nella pace e nella serenità della notte, senza pretese di essere uno scrittore, riesco a dare il meglio di me e i pensieri scorrono veloci attraverso la tastiera del mio computer che non mi abbandona mai (neanche adesso che sono in ferie). Non l’ho lasciato a casa perché dovevo proseguire la mia storia, la storia della famiglia di mia mamma perché sono arrivato ad un momento importantissimo: nonno Giovanni conosce nonna Costantina ed insieme, nel 1920, nella chiesa parrocchiale di Martellago (VE), formano una famiglia cristiana, fondata sull’amore, sulla fiducia reciproca e sul rispetto che durerà per tutta la loro vita; valori profondi che insegneranno anche ai loro figli.

Prima di parlare di lui però vorrei spendere due parole per la totalità della sua famiglia, fatta di altri fratelli che accompagneranno la sua esistenza, chi per tanto e chi per poco. Lui è il primogenito, nasce nel 1891; a Giuseppe e Filomena Delbue (i miei bisnonni) nasceranno Angelo nel 1893 e Carlo nel 1896. Entrambi, nei primi anni ’20 emigreranno in America e purtroppo di loro non so assolutamente nulla. Mamma non ha mai parlato di questi suoi due zii perché hanno lasciato l’Italia senza più tornarci quando loro non erano ancora nati. Da un lontanissimo racconto di zio Guido Ferrari (il fratello di mamma, il primogenito nato nel 1921) lui ricordava (che glielo raccontava il nonno) che partì prima Angelo, trovò un lavoro e chiamò anche il fratello Carlo. Entrambi, a sistanza di qualche anno l’uno dall’altro partirono senza mai più rivedere mamma Filomena e papà Giuseppe. Una volta là, cercarono di convincere anche mio nonno Giovanni a raggiungerli ma non riuscirono a dissuaderlo perché nel frattempo si era sposato con nonna Costantina e avevano zio Guido troppo piccolo per poter andare via. Sarebbe poi tornato, avrebbe magari lavorato là un paio di annetti, avrebbe racimolato un po’ di soldini, avrebbe magari migliorato il destino della sua famiglia ma non fece niente di tutto questo. Restò a Zavattarello con la sua Costantina. Nonna era veneta di origine, di Martellago (provincia di Venezia). Classe 1899, al battesimo Costantina Emma Danesin, prima di tanti tanti fratelli e sorelle. Sto cercando, un po’ faticosamente (quegli insignificanti 400 km di distanza sono un dettaglio), di ricostruire le origini della sua famiglia e ci sto ancora lavorando.

Qui apro una parentesi doverosa per ringraziare un amico (sapendo di andare fuori tema ma lo faccio, intanto non c’è nessuna “prof” che mi mette un brutto voto): un amico che conosco da poco, che non ho mai incontrato ma che incontrerò prima o poi, che nutre la mia stessa passione di ricercatore, genealogista, topo d’archivi (chiamiamolo come vorrebbe essere chiamato). L’ho conosciuto qui su FB, mettendo un post sulla pagina di Martellago riguardante la mia nonna. Diverse persone mi hanno risposto e le ringrazio una ad una ma l’amico Federico Manente, così si chiama questo straordinario signore, non finirò mai di ringraziarlo perché ha tracciato la genealogia di nonna Costantina fino al suo bisnonno, nato a Mogliano Veneto nel 1797 e trasferito poi a Martellago con la sua numerosissima famiglia (sarà, questa parte di ricerca, la protagonista di altri post, qui su FB). Grazie Federico, di cuore.

Scusate il “voluto” fuori tema e riprendo il racconto sulla famiglia Ferrari. I miei racconti, così indegnamente rappresentati, hanno tante “frenate”, nel senso che prima di riprendere un argomento lasciato in sospeso, ne devo trattare un altro che è importante ai fini di non tralasciare nulla. Nonno Giovanni aveva un altro fratello, Benedetto (all’anagrafe Benedetto Domenico Ferrari) nato nel 1899. Da lui, un’altra parte della famiglia di mia mamma ora vive nel comune di Bagnaria, vicino a Varzi. Benedetto nasce sempre a Zavattarello e nel 1926 sposa una bellissima fanciulla di nome Felicina Bonini (classe 1900, figlia di Michele e di Garbarini Annunciata). Dal loro matrimonio nascerà Orietta Ferrari, nel 1927. A differenza di Giovanni, mio nonno, che avrà 5 figli, lui avrà solo Orietta. Abiteranno poi a Bagnaria, Orietta si sposerà con Bruno Lucchelli (da Montesegale). Dal loro matrimonio nascerà Liliana, ora 64enne. Liliana, sposata con Andrea Scianni, avrà una figlia, Ilaria, ora 23enne. Benedetto morirà anziano, nel 1986 all’età di 87 anni e Felicina nel 1993 a 93 anni.

Ho cercato di riassumere la vita e la discendenza di zio Benedetto e di zia Felicina, due persone che non ho soltanto conosciuto attraverso freddi documenti ma ho potuto gustare piacevolmente il loro ricordo andando spesso a trovarli con mamma e papà, mangiando in compagnia quelle ottime merende fatte di “sälàm äd Vàrs e vin bòn, una bélä mìcä gròsä äd pän fai in cà”. Bellissimi momenti che non dimenticherò facilmente.

Dopo questa doverosa “frenata” di ricordi, proseguo il racconto parlando di nonno Giovanni. Come avevo già detto, il nonno raggiunge la nonna a Martellago, facendo quella solenne promessa, la sposa e la porta a casa.

E’ il 1920, era appena finita la “grande guerra” e tutti dovettero rimboccarsi le maniche per riportare quell’Italia un po’ martoriata, ad una situazione accettabile per vivere e per garantire un futuro alla loro discendenza che non tarda ad arrivare: nel 1921 nasce Guido, nel 1924 Maria, nel 1928 Amelia, nel 1930 la mia mamma Albertina e per finire, nel 1935, nasce Enrica. I figli nasceranno tutti a Zavattarello, precisamente alla frazione “Le Moline” nella casa che oggi non esiste più, per intenderci (parlo per gli zavattarellesi) tra la trattoria Mirani e la casa di Guido Mirani ed Antonietta Cavalleri (oggi non c’è più nessuno), in quel tratto che si immette nel cortile dove abitava Lina Delbue, dove c’era la “Cà dä Schù”, proprio verso il vecchio mulino (al Mülèen) che da il nome alla frazione.

La mia mamma e i miei zii cresceranno qui, tutti e cinque, tra giochi semplici, in quella frazione allora popolosa di ragazzi, a giocare e a correre a “pè pär térä” (“ä pè biùt” come diceva mia mamma), felici e spensierati; peculiarità caratteristiche in ogni bambino in quell’epoca, molto diversa da oggi, assolutamente priva di quella tecnologia che … per quello che dovevano fare … non era assolutamente necessaria.

Sarebbero diventati tutti grandi, troppo in fretta e le loro strade si sarebbero presto divise ed i loro destini avrebbero parlato di altri paesi, di altri territori e … anche di luoghi troppo lontani.

Varrà la pena di raccontare questi fatti ma non adesso. La storia continua….

 

TANTISSIMI ANNI FA (PARTE 49)

 

Dovrei ora, per un dovere di cronaca e per rispettare la sequenza cronologica, parlare della famiglia di mia mamma ma di loro ho già trattato in post precedenti e, volutamente, non ho seguito lo scorrere del tempo. Chi ha seguito attentamente tutti i miei “poco prolissi” racconti, avrà potuto leggere tutte queste storie, del loro susseguirsi, del loro intreccio fatto di date, di nomi, di ascendenti e di discendenti.

Cercherò di parlare della vita dei miei nonni Giovanni e Costantina, due anime buone; lei donna di casa, un po’ contadina, un po’ custode saggia del focolare domestico, a casa ad accudire ai suoi figli che sarebbero diventati, tra il 1921 e il 1935, cinque. Lei era una donna buona, sempre pronta ad aiutare il nonno e gli altri, sempre alle prese con i problemi di ogni giorno, sempre di corsa dalla mattina alla sera, come fanno un po’ tutte le mamme per i loro figli e per la famiglia. Inizialmente la nonna Costantina aveva in casa la suocera e il suocero, morti entrambi a Zavattarello, la mia bisnonna Filomena Delbue nel 1934 e il mio bisnonno Giuseppe Ferrari nel 1942.

Avranno dato sicuramente anche loro una mano in casa ma alla nonna mancavano sicuramente i suoi genitori che rimasero a Martellago (Venezia) senza mai rivederla più. Nonna Costantina era la prima di una numerosissima prole, la mamma, Cazziol Maria morì molto presto e nonna Costantina, classe 1899, dovette fare, oltre che da sorella, anche da mamma ai suoi fratelli e alle sue sorelle, tutti più piccoli di lei.

Nonno Giuseppe Danesin era un povero contadino (un villico) ma ha fatto parte dei Reali Carabinieri, mestiere che esercitò per 5 anni.

Della famiglia di mia nonna Costantina so molto poco, a Martellago, ormai, nessuna persona – anche la più anziana – la ricorda più. Si sposò nel 1920 e lasciò il suo paese proprio in quell’anno. Un fatto di 100 anni fa che nessuna memoria vivente potrebbe ricordare e raccontare.

Da Zavattarello alla Lomellina, prima a Cairo e poi a Pieve del Cairo, a Mede, la vita della famiglia Ferrari proseguirà in queste terre.

Dalle Moline di Zavattarello, partiranno le figlie a fare le “mundaris”; partirà Maria nel 1939, a soli 15 anni, poi mia mamma Albertina nel 1948, al compimento dei suoi 18 anni, poi zia Amelia e li seguirà zio Guido che troverà lavoro come “cantuniè”. La nonna Costantina e il nonno Giovanni seguiranno i figli e a Zavattarello rimarrà soltanto zia Enrica e zio Guido, prima di seguire le sorelle in Lomellina.

Enrica sarà l’unica a rimanere legata alla sua terra natale, costretta poi ad andare a vivere a Bagnaria dallo zio Benedetto e dalla zia Felicina, quando Guido lascerà Zavattarello.

Enrica seguirà, alcuni anni dopo, una strada senza ritorno che la porterà via dalla sua Italia per sempre, per seguire il futuro marito Teresio Caffetti di Romagnese che porterà tutta la sua famiglia in Argentina. Enrica, pur non dimenticando mai la sua amata patria, partirà per la volta di Eldorado Misiones, all’estremo nord dell’Argentina, al confine con il Paraguay.

Per nonno Giovanni e per nonna Costantina sarà un distacco troppo grande che non sarà più colmato nonostante l’amore per gli altri 4 figli sarebbe sempre stato eterno. Al nonno mancava la sua bambina, quella più piccola ed il suo cuore non resse a tale emozione.

Era il 1959 quando Enrica partì e a nonno Giovanni, già minato da problemi respiratori, peggiorò la sua asma che lo portò alla morte nel 1962 all’età di 70 anni. Nel 1962, mamma e zio Guido abitavano a Cairo, zia Maria a Pieve, zia Amelia a Mede. La nonna Costantina rimase a Cairo con la mamma e lo zio finchè poi, nel 1967, si sposò e portò con se la nonna a Mede.

Mamma rimase sola a Cairo dove lavorava per il Caseificio Combi; anche lei nel 1970 si sposò con il Dego, mio papà e l’anno dopo nacqui io.

Intanto la nonna Costantina, a Mede dallo zio Guido, spesso, veniva a Pieve a trovare la mamma e la sua amata amica, consuocera, quasi una sorella a cui voleva un bene smisurato, la nonna Teresa (nònä Tirisìn, mamma di papà) che viveva in casa con noi.

Negli ultimi anni di vita della nonna Teresa, io ero molto piccolo ma qualcosa ricordo (poco purtroppo), vedevo quasi ogni settimana la nonna Costantina che la veniva a trovare, ripetutamente. Io ero un bambino di 4, 5 anni e non capivo fino in fondo tutto questo trambusto e queste sue visite sempre più frequenti.

Era il 1976, anno in cui avevo 5 anni, la nonna ne aveva 86 e li aveva già compiuti perché era allena iniziato Novembre e lei li compiva a Luglio.

Una delle ultime visite della nonna Costantina alla nonna Teresa lasciarono in me un segno indelebile che ricorderò sempre. Quando si dice che tra anziani, si sentono determinate cose che noi non potevamo capire, questo successe. Nonna Costantina disse, in buon dialetto lomellino alla nonna Teresa, ormai costretta a letto e verso i suoi ultimi giorni: “Tirisìn, stà tränquìlä che dä chi e dü o trì mès, veni là äncä mì”. E la nonna Teresa le diceva: “Mä no Custäntìnä, si ch’ät dìsi, t’è ancura giùnä, tä ghè ancurä tèmp” (lei rispetto alla nonna Teresa aveva 9 anni in meno).

E molto probabilmente nonna Costantina aveva un presentimento, si sentiva qualcosa che diede ragione alla sua frase che non era stata detta “tanto per parlare” ma che nascondeva una triste verità.

Nonna Teresa si addormentava per sempre il 7 novembre del 1976 e nonna Costantina il 31 gennaio dell’anno successivo, il 1977, proprio circa 3 mesi dopo, come lei aveva tristemente “predetto”. Nonna Teresa aveva 86 anni, nonna Costantina 78. Non avevo ancora compiuto i 6 anni e le mie nonne erano volate in cielo. Da quel momento in poi, quelle due nonne che avevo a malapena fatto in tempo a conoscere, sarebbero state i miei due angeli custodi, per sempre. E la storia, comunque, continua …

 

 

TANTISSIMI ANNI FA … (PARTE 50)

Dalla Marca Trevigiana all’Oltrepò Pavese in 150 anni.

 

La storia riprende e, continuando a parlare di nonna Costantina Danesin, la mamma di mia mamma Albertina, vorrei fare un passo indietro parlando di quelle sue origini venete (lei lo era, fino al midollo) che sono riuscito, grazie all’aiuto di un amico che vive nel suo paese natale che è Martellago in provincia di Venezia, a rinvenire e ricostruire. Ringrazio tantissimo Federico Manente che nutre la mia stessa passione di ricercatore d’archivio, che è riuscito con i dati che già aveva a disposizione, a ricostruirmi un albero genealogico abbastanza nutrito di nomi e grazie al quale sono risalito, oltre alla nonna, ad altre 4 generazioni più indietro cioè al suo trisavolo (considerando me e mio figlio ho ricostruito fino alla settima generazione)

La cosa impressionante che ho notato (pur non essendo assolutamente sorpreso da questo fatto) è stato il numero di nomi in ogni generazione; famiglie con 10, 12, 14 figli, spazi temporali di oltre 20 anni tra il primo figlio e l’ultimo e questo si sussegue ripetutamente per ogni generazione, dalla più vecchia che ho rinvenuto fino all’ultima che è quella di mia nonna Costantina.

Da molto tempo avevo questo desiderio che – in tutta onestà – si sarebbe potuto realizzare meglio diversi anni fa quando, probabilmente, alcuni miei zii (fratello e sorelle di mia mamma) e anche mia mamma stessa, avrebbero potuto aiutarmi con informazioni, nomi e diversi ricordi su mia nonna Danesin Costantina, veneta di nascita ma anche di origini, una famiglia che nasce nelle zone tra il trevigiano e il veneziano, in quei paesi dell’entroterra veneto a pochi passi da Treviso e da Venezia, un po’ pianeggianti, un po’ collinari, a pochi passi dalle montagne ma che respirano aria di mare perché molto vicini alla laguna. Il paese natale di mia nonna è Martellago (in provincia di Venezia), una località nell’hinterland di Mestre, un paesone molto grande che supera i 20.000 abitanti oggi grazie alle due popolose frazioni di Maerne (oltre 7.000) e Olmo (oltre 5.000). Paragonandoli ai nostri borghi lomellini, potremmo considerarli delle piccole città ma, da quanto ho potuto notare, nel Veneto, i paesi sono tutti piuttosto grandi rispetto ai nostri minuscoli agglomerati.

Dalle prime notizie che ho a disposizione, la famiglia Danesin (parlo del ramo di mia nonna) arriva a Martellago nella prima metà dell’800 dalla non lontana Mogliano Veneto (provincia di Treviso), passando prima da Trivignano (ora sotto la città metropolitana di Venezia). Da una prima ricostruzione, ancora in corso di elaborazione, posso trarre già diverse conclusioni perché sono in possesso di molti dati e tantissimi nomi. A tutto questo devo un grazie speciale ad alcune persone che ho conosciuto tramite FB (a volte anche i social network servono a qualcosa se si usano in modo intelligente) iscrivendomi alla pagina “Sei di Martellago se…” e chiedendo informazioni su mia nonna attraverso la stesura di un post. Mi hanno risposto in molti ma tra tutte queste persone che si sono interessate al mio caso ce ne sono state tre in particolare (i signori Doriano Trevisan, Gianluca Damiani e Federico Manente) che hanno preso a cuore questa mia richiesta perché essendo un cognome, Danesin, ancora molto diffuso a Martellago, mi hanno subito indicato i canali giusti da seguire. In particolare il signor Federico Manente (studioso di storia locale e appassionato come me di ricerche genealogiche), aveva già i dati a disposizione dall’origine dei registri parrocchiali fino al 31 dicembre 1900.

Mia nonna, nata nel 1899, era la prima della famiglia, i dati, dopo di lei, mancano ancora tutti ma sono fiducioso di riuscire a recuperarli nei prossimi mesi. Certamente non è una ricerca facile, la faccio per corrispondenza, per telefono, per email, via internet anche perché 400 km di distanza (tra Pieve del Cairo e Martellago) non sono pochi e il posto in cui mi dovrei recare (un giorno ci andrò perché anche qui c’è una parte delle mie origini) non è proprio dietro l’angolo. Nulla è impossibile: intanto ho molte informazioni che prima non avevo e non ci speravo assolutamente ma grazie all’amico Federico (una persona veramente gentile, squisita e disponibilissima, praticamente una vera e propria manna dal cielo), questo è stato reso possibile.

Mi mancano ancora tante informazioni che sicuramente andranno a riempire il mio bagaglio famigliare ma, piano piano, ci sto lavorando.

Attraverso il sito internet del comune di Martellago, ho avuto modo di consultare i Fascicoli ESDE che parlano della storia dei comuni del miranese, del trevigiano e del veneziano in cui ci sono tantissime notizie storiche, curiosità, statistiche, nomi, date, elenchi riguardanti anche le zone di mio interesse, i posti in cui la famiglia di mia nonna ha vissuto e vive tutt’ora. E così, per curiosità, controllando ogni singolo fascicolo, ho proprio trovato tantissime informazioni riguardanti anche componenti della mia famiglia, ascendenti sia collaterali che diretti.

Curiosità e piacevoli sorprese hanno suscitato in me emozioni, stupore, sentimenti di gioia e quel grande desiderio, che prima o poi si realizzerà, di andare a Martellago e visitare i luoghi di mia nonna, luoghi cari che non conosco assolutamente. Soltanto leggendo i dati che mi sono arrivati, ho preso contatto con persone che non conoscevo, scoprendomi parente diretto o indiretto. Considerando che mia nonna, nata nel 1899, è stata la prima della sua numerosa famiglia, oggi, a Martellago, ci saranno sicuramente cugini di mia mamma e parenti stretti di cui ignoravo ed ignoro ancora l’esistenza. Devo dire però che, attraverso i miei post, alcune persone si sono già fatte sentire perché hanno visto il cognome uguale al loro e da qui ho scoperto molte sorprese, piacevoli verità che ci sono sempre state ma che io non conoscevo. Ho parenti a Martellago? La risposta, senza ombra di dubbio, questa: “Assolutamente, si!!”

La storia a questo punto si fa interessante quindi, riprendo fiato, mi fermo qui e do appuntamento ai lettori che mi seguono, al prossimo post.

Questa volta faremo un viaggio nel nord est dell’Italia, un po’ lontano dalla destinazione finale, l’Oltrepò Pavese, una tappa che probabilmente la famiglia Danesin non si sarebbe sognata nemmeno di andare a mettere radici. Ma “al cuor non si comanda” e nonna Costantina non ha avuto dubbi sul suo futuro. Continua …

 

TANTISSIMI ANNI FA ... (PARTE 51)

Dalla Marca Trevigiana all’Oltrepò Pavese in 150 anni.

 

Siamo pronti a percorrere un viaggio in quella terra veneta che ha dato i natali a mia nonna Costantina? Certamente! E allora si parte!

Siamo intorno alla seconda metà del ‘700, non ho una data precisa ma ho due nomi che, per il momento, sono i capostipiti della famiglia Danesin. Siamo a Mogliano Veneto, una popolosa cittadina di quasi 28.000 abitanti, nella provincia di Treviso al confine con quella di Venezia. In quel periodo però Mogliano era un piccolo borgo e intorno al 1765-1770 era sotto la Repubblica di Venezia capeggiata dal Doge, uno degli ultimi perché non più in là di circa 30 anni, nel non lontano 1797, la Serenissima sarebbe poi caduta e tutto quel territorio sarebbe passato sotto gli austriaci, poi sotto i francesi e nuovamente sotto gli austriaci.

Ma i miei capostipiti nascono sotto la dominazione veneziana e si chiamano Giovanni Battista (Giobatta) Danesin e Peruzzo Maria. Come ho detto prima, non ho le date precise di nascita e i loro nomi compaiono soltanto negli atti di uno dei loro tanti figli, Domenico, il mio ascendente diretto. A Mogliano Veneto non ho ancora fatto ricerche ma ho ragione di credere che siano nati e morti nello stesso luogo, senza spostarsi ma è soltanto una ipotesi non ancora confermata dagli atti.

La provincia di Treviso, chiamata anche Marca Trevigiana, in quanto corrispondente a grandi linee al feudo medievale che portava questo nome, è limitata dalle province di Venezia, Padova, Vicenza, Belluno e Pordenone. Un tempo veniva definita “Marca zoiosa”, cioè zona di confine, vero e proprio ponte naturale fra Venezia e il mondo germanico, ma anche terra festosa, in quanto luogo prescelto dai nobili veneziani per edificarvi quelle sontuose dimore di villeggiatura, che ancora si possono ammirare lungo il Terraglio, antica strada di collegamento tra Treviso e Mestre.

Ed è proprio da qui che voglio partire, un po’ timidamente, un po’ meno sicuro – rispetto alle altre storie – perché non ho così tante informazioni. Certamente non mi inventerò nulla e mi baserò soltanto sui dati che ho a disposizione. Giovanni Battista Danesin e Maria Peruzzo hanno tantissimi figli, sono moglianesi DOC, sono villici entrambi cioè persone di campagna, dedite al lavoro nei campi. Tra la numerosa prole c’è il bisnonno di mia nonna Costantina che si chiamava Domenico Danesin. Nasce nel 1797 a Mogliano (diventata poi Mogliano Veneto per distinguerla dalla Mogliano nelle Marche) proprio quando la Serenissima Repubblica di Venezia cade, dopo oltre mille anni di storia gloriosa.

Partirò da Domenico che, nel 1819 sposa una ragazza moglianese, Caterina Carraro, classe 1800. Da alcune indicazioni anagrafiche su di lei è figlia di Pasqualin (probabilmente si chiamava Pasquale ma non è detto perché, nel Veneto come in tante altre zone, il soprannome era quasi d’obbligo perché chiariva molto meglio “la persona” rispetto ad una normale identità anagrafica). Dal loro matrimonio – tenetevi forte – nasceranno ben 12 figli. Non era strano, affatto, le famiglie erano tutte numerosissime ma, rispetto alle ricerche fatte in Lomellina, in Oltrepò ed in tante altre località, in questa zona, il numero di figli che ho trovato ha superato ogni mia aspettativa. E’ certo e documentato che tanti bambini, purtroppo, morivano subito o in tenerissima età. Il grande sconforto della famiglia, che oggi si manifesterebbe in maniera devastante con una “resa totale”, non prendeva mai il sopravvento e una perdita veniva immediatamente rimpiazzata da una nuova nascita: da una fine c’era sempre un nuovo inizio.

Dalla semplice lettura degli atti di questa numerosissima famiglia (14 persone senza contare, magari, anche la presenza – in queste famiglie patriarcali – dei nonni) si evince un flusso territoriale, uno spostamento in massa da Mogliano, a Trivignano per poi giungere a Martellago, terra in cui la famiglia di mia nonna rimase e permane tutt’ora.

Domenico Danesin e Caterina Carraro, come ho detto prima, sono i bisnonni di mia nonna Costantina, pertanto i miei quadrisavoli.

Le mie ricerche, non potendole fare personalmente ma pur sempre seguito dall’amico Federico Manente che mi ha praticamente trasmesso tutti i dati necessari, sono state arricchite dalle attente letture dei fascicoli ESDE. Cosa sono? Sono dei fascicoli di ricerca e studio – a cadenza annuale – sulla storia del Miranese, Mirese, Veneziano e Trevigiano. Esde è l’anagramma di Dese, il fiume che attraversa queste terre.

Grazie a queste interessantissime consultazioni disponibili in rete, ho potuto trovare tantissime curiosità sulla mia famiglia e ho scoperto che Caterina Carraro in Danesin (detto Cinciola), una volta trasferitasi a Martellago, dal 1859 al 1865 ha fatto la “levatrice”, l’ostetrica.

Anche la curiosità sul soprannome Cìnciola (o Cìncioea) ha fugato il mio interesse e quando ho chiesto cosa volesse dire, in molti mi hanno risposto: “non vuol dire nulla”. Ma i Danesin, almeno, tutto il ramo della mia famiglia ha questo appellativo e in ogni documento, loro sono i “Cìnciola”, da sempre, anche oggi.

Spero che non voglia dire nulla di male. Non me lo avranno voluto far sapere? Chi lo sa … lo scopriremo nel prossimo post.

… continua …

 

 

TANTISSIMI ANNI FA ... (PARTE 52)

Dalla Marca Trevigiana all’Oltrepò Pavese in 150 anni.

 

Proseguo con il mio racconto sui “Cìnciola” ripartendo da Domenico Danesin e Caterina Carraro, i bisnonni di mia nonna Costantina. Si sposano a Mogliano Veneto nel 1819 e dal 1820 fino al 1843 inizierà la loro vita famigliare con la nascita di 12 figli.

Ed ecco la lunga carrellata di queste “creature”, molte delle quali, purtroppo, moriranno troppo presto, prima che la vita si accorga di loro.

Ecco tutti i nomi di questa numerosa famiglia:

 

Nel 1820, a Mogliano, nasce ANNA MARIA DANESIN che si mariterà con tale Casarin nel 1852, emigrando nel borgo di Robegano (frazione di Salzano, Venezia) dove morirà nel 1896.

 

Nel 1822 nasce sempre a Mogliano LUIGI DANESIN che sposerà Antonia Maria Bellato (1825-1875), trasferendosi poi a Martellago, morirà nel 1896 come la sorella Maria. Da Luigi Danesin e Antonia Maria Bellato nasceranno ben 14 figli, tutti a Martellago.

Il primo di questo “squadrone” è Giacomo Andrea ma il piccolo avrà vita breve in quanto concluderà la sua esistenza nel giro di pochi mesi, nel 1848.

Sarà poi la volta di Andrea Valentino, nato nel 1849 (gli viene dato il nome, Andrea, del fratellino morto l’anno prima) e sposato con Regina Stevanato. Andrea è nel comitato dell’Asilo infantile “Virtus et Labor” istituito nel 1919 per accogliere tutti i bambini sia del paese che di fuori (fascicolo ESDE n. 14. Pag.126). Dal loro matrimonio nasceranno 9 figli: Antonia Emma nel 1878 (sposata a Luigi Olivo Mozzato), Angelo Francesco Erminio nel 1880 (sposato con Lucia Casarin), Oliva Amalia nel 1882 (sposata nel 1900 con tal Libralesso), Maria Giovanna nel 1884, Gertrude Enrichetta Maria nel 1886, Luigi Ferdinando Maria nel 1889, Giovanna Maria Adele (1891-1893), Amalia nel 1893, Adele Teresa nel 1896, Giuseppe Giovanni nel 1898

Terzo figlio di Luigi e Antonia Maria Bellato sarà Teresa (1851-1869) morta nubile a 18 anni; sarà la volta di Domenico Antonio, il quartogenito, ma anche lui avrà una permanenza brevissima per pochi mesi del 1853; poi Maria, nata e morta nel 1854; ed ancora Maria, nata nel 1855 e sposata a Saggio (frazione di Marcon) nel 1884 con tale Mazzolin; poi ancora, Caterina (1857-1858) morta ad un anno; sarà la volta di Giulio, nato nel 1860; poi Clementina Maria nata nel 1861 e morta l’anno dopo nel 1862; poi Marco Antonio nato nel 1863 e morto nel 1864; ancora Giovanni nato nel 1865 e morto nel 1866; e ci sarà Giovanni Giobatta nato nel 1868 e morto nel 1869; ancora un bambino nato morto (sine nomine) nel 1869 e l’ultimo Francesco Girolamo nato nel 1871 e morto nel 1873.

 

Con la nascita del terzo figlio di Domenico Danesin e Caterina Carraro, siamo al 5 settembre 1824 non più a Mogliano bensì a Trivignano (oggi sotto il comune di Venezia). Tra il 1822 e il 1824 la famiglia di Domenico si sposterà da Mogliano a Trivignano, più verso la laguna e nascerà LORENZO DANESIN che sposerà nel 1845 la signorina Giovanna Caterina Spolaor (classe 1825, nata a Santa Maria in Sala). Dal loro matrimonio nasceranno 6 figli: Luigia Virginia nel 1848, Filomena nel 1849, Angelo nel 1851, Adeodato nel 1853 (che morirà qualche mese dopo), Adelaide nel 1855 e Angela Giuditta nel 1857.

 

E siamo al quarto figlio di Domenico e Caterina Carraro, PIETRO DANESIN, nato a Trivignano il 4 luglio 1826. Sposerà, a Martellago, nel 1850 la signorina Virginia Zampieri (1828-1869). La coppia avrà 12 figli: Danesin Margherita Maria (Martellago 1850 – 1850), Danesin Isidoro (Martellago 1851 – 1881) sposato con Chin Colomba a Martellago nel 1878 dalla quale avrà 2 figli: Attilio Antonio (Martellago 4.5.1879) e Pietro Isidoro (Martellago 6.11.1881) nato postumo, dopo la morte del padre a soli 30 anni. Danesin Angela Maria (Martellago 1852 – 1879) sposata a Martellago nel 1873, maritata Damiani, Danesin Angelo (Martellago 1854), sposato a Martellago nel 1895 con Vanzetto Stella - 3 figli: Margherita (Martellago 1896), Giovanni Vincenzo (1898), Virginia Ester (1900). Danesin Candido (Martellago 1856) sposato a Martellago nel 1883 con Dainese Margherita Maria (Martellago 1859) – 4 figli: Arcangelo (Martellago 1883), Antonio Mario (Martellago 1886) sposato a Robegano nel 1907 con Pizzato Oda Marcellina (Mirano 1886), Maria Luigia Irma (Martellago 1888), Silvestro Innocente (Martellago 1890). Dal fascicolo ESDE n. 10 del comune di Martellago, pag 24: il 5 novembre 1916, il Reggimento Fanteria in linea comunica la dispersione di Danesin Silvestro (di Candido) della 118°Fanteria a seguito di un combattimento avvenuto l’11 ottobre 1916 a quota 208 Sud. Poco tempo dopo si venne a sapere che lo stesso Silvestro Danesin risultò prigioniero in Austria presso Sigmundsherberg.

Sesto figlio di Pietro Danesin e di Virginia Zampieri saranno 2 gemelli:  Danesin Caterina (Martellago 1858 – 1886), morta nubile e  Danesin Luigi (Martellago 1858) sposato a Martellato nel 1883 con Franzoi Antonia (Martellago 1859) – 3 figli: Caterina Ester (Martellago 1889) sposata con Favaretto Giordano (Martellago 1882), Carlo (Martellago 1892), Danesin Placido (Martellago 1896). Sugli figli maschi di Luigi e Franzoi Antonia ci sono punti interessanti che ho trovato tramite i fascicoli ESDE.

Dal Fascicolo ESDE n.13 del comune di Martellago pag.130. Le polizze gratuite in segno di riconoscimento: compare Favaretto Giordano, fu Alfonso e fu Chinellato Marianna. In caso di morte desidera che il valore della Polizza sia pagato alla moglie Danesin Caterina Ester (di Luigi). Data di richiamo alle armi 16.6.1916, arma e corpo a cui appartenne e presso il quale prestò servizio: 80°Fanteria. Data di uscita dalla zona di operazione: 27.12.1916. Azioni belliche o fatti d’arme a cui partecipò: Monte Maggio, Monte Corno, Bainsizza. Foglio matricolare n. 9034, mandato in congedo illimitato il 28.12.1918. La moglie non prese le 500 Lire spettanti ma almeno riabbracciò il marito che tornò a casa sano e salvo.

Dal Fascicolo ESDE n. 10 del Comune di Martellago pag.24: da un telegramma datato 7 Luglio 1917, si viene a conoscenza che Danesin Placido (di Luigi) è prigioniero nella località austriaca di Sigmundsherberg. In un secondo fascicolo Esde, il n. 13 si apprende che il 17 aprile 1917, a mezzo telegramma espresso della Croce Rossa Italiana comunica che: “Danesin Placido di Luigi, 228°reggimento fanteria, trovasi prigioniero al 22 gennaio 1917, internato a Sigmundsherberfg in buona salute”.

La famiglia di Luigi Danesin e Virginia Zampieri è molto numerosa e devo elencare ancora 5 figli: Danesin Filomena Maria (Martellago 1860), Danesin Arcangelo (Martellago 1861), Danesin Silvestro (Martellago 1862– 1863), Danesin Silvestro Antonio (Martellago 1864– 1888), celibe, Danesin Margherita Maria (Martellago 1854–1879), nubile.

Pietro è l’ultimo figlio di Domenico e Caterina Carraro nato a Trivignano. La coppia, che continuerà ad aumentare la sua famiglia, si trasferirà a Martellago (VE) e … la storia continua.

 

 

TANTISSIMI ANNI FA ... (PARTE 53)

Dalla Marca Trevigiana all’Oltrepò Pavese in 150 anni.

 

Nell’ultimo racconto avevo riportato due notizie errate per cui, mi devo ravvedere su questo particolare: avevo letto male i miei appunti asserendo che Pietro Danesin (sposato con Virginia Zampieri) era l’ultimo figlio di Domenico e Caterina Carraro nato a Trivignano. Nessuno di voi, conoscendo la storia, non si sarebbe accorto di nulla e avrei potuto tranquillamente proseguire indisturbato ma le cose vanno dette correttamente altrimenti i fatti diventano “fiction” e allora potrei dire qualsiasi cosa che mi passa per la testa.

Ancora due figli nasceranno a Trivignano ovvero Giorgio Danesin nel 1828 e Giuseppe Smeragdo Danesin nel 1830.

Tracce di loro ci sono anche in una pubblicazione che non riguarda né Mogliano, né Trivignano né tantomeno Martellago ma altri borghi sempre nel trevigiano che sono Preganziol e Salzano.

I Danesin erano i “Cìnciola” ma c’era un ceppo ancora più vecchio detti “Mantelìn”. I dati che ho rilevato dal libro “Le famiglie antiche di Preganziol” (Grimaldo-Vecchiato, 2009) coincidono con i nominativi che avevo già in mio possesso.

 

Tornando comunque ai figlio di Domenico e Caterina Carraro, GIORGIO DANESIN nasce a Trivignano il 5 agosto 1828, sposato con Angela Pizzato a Teseggia, frazione di Scorzè, nel 1858. La famiglia si trasferisce a Martellago dove nascono Emilio Filippo nel 1862 e Agostino Antonio nel 1864.

 

Il sesto figlio è GIUSEPPE SMERAGDO DANESIN e nasce a Trivignano il 4 agosto 1830, si sposa a Rio San Martino (frazione di Scorzè) nel 1860 con Favero Domenica (nata a Noale nel 1840). Da questa coppia, risultano due figli (presi dal libro di Preganziol) che sono Benedetto (1862-1932) e Domenico (1867-1951). Nei registri di Martellago, infatti (dove poi buona parte della famiglia si era trasferita) non avevo trovato nulla. Non mi dilungo sulla genealogia di questi rami. Giuseppe Danesin morirà nel 1905 all’età di 75 anni.

 

Settimo figlio di Domenico Danesin e Caterina Carraro è STEFANO DANESIN, nato a Martellago nel 1833; da lui ho una genealogia piuttosto numerosa. Sposato nel 1855 con signorina Maria Elisabetta Zampieri, nata a Martellago nel 1829. Dal Fascicolo ESDE n. 2 pag. 222 del comune di Martellago si apprende che Elisabetta Maria Zampieri (detta Menegotto) in Danesin (detto Cinciola), dal 1897 al 1900 ha fatto la “levatrice” (ostetrica). Non ho l’anno di morte di Elisabetta ma nel 1900 era ancora vivente e praticava questa attività (come indicano questi fascicoli). Da Stefano ed Elisabetta nasceranno 9 figli di cui: Giobatta 1855-1855, Teresa 1856-1876, nubile morta a 20 anni; Domenico 1858-1859; Graziadio Luigi 1859, sposato nel 1883 a Martellago con Maguolo Teresa (Martellago 1861), la coppia va via dal paese; nascerà poi Elisabetta Lucia 1861-1864; Luigi Sebastiano 1864, sposato a Martellago nel 1892 con Castellaro Luigia Teresa (1869-ancora vivente nel 1940); Maria Elisabetta 1865-1869; Emilio Francesco 1867, sposato nel 1892 con Fusaro Luigia Giovanna Angela; Antonio Giovanni 1868, sposato nel 1896 con Zorzetto Maria (1876); molti di questi avranno prole e purtroppo, molti figli nasceranno dopo il 1900, anno dal quale non ho dati a disposizione perché le ricerche sono ancora in corso. Mi voglio però soffermare in particolar modo sui numerosi figli di Luigi Sebastiano, nato a Martellato nel 1864 e sposato con Castellaro Luigia Teresa; dei loro figli (almeno 7 fino al 1900) c’è anche Paolo Giuseppe che sarà poi Don Paolo di Ponte della Priula di Susegana e anche Giuseppina, nata nel 1901 e morta a Spresiano all’età di 110 anni nel 2011, vedova Turri. Dalle cronache Esde, la famiglia avrà altri 5 figli per un totale di 12.

 

Altra serie di 3 figli di Domenico e Carraro Caterina sono DANESIN PASQUALE nato e morto a Martellago nel 1835, DANESIN PASQUALE nato e morto nel 1836 e DANESIN GIOBATTA nato nel 1837/1838. Eccetto i primi due nominati, sui quali il destino non fu benevolo, su Giobatta, o Giovanni Battista o Giovanni, la vita fu piuttosto lunga, 92 anni.

 

Ultimi due figli di Domenico e Caterina Carraro, nel 1840 DANESIN MARIA LUIGIA ANNUNZIATA, maritata a tal Campagnaro nel 1858, porta giovane all’età di 26 anni nel 1866;

 

Ultimo ma non meno importante (anzi, per me, il più importante e senza nulla togliere agli altri) è DANESIN ANTONIO, nato a Martellago nel 1843, il mio ascendente diretto ovvero il mio trisavolo (il nonno di mia nonna Costantina). Tra suo fratello, il primogenito nato nel 1820 e lui, l’ultimo nato da Domenico e Caterina Carraro, ci sono esattamente 23 anni di differenza; un lasso di tempo di una generazione, potrebbero essere padre e figlio, invece no: sono due fratelli. Anche lui fa parte di questa famiglia Danesin detti “Cìnciola” e, ancora oggi, sono chiamati così; quando ho intrapreso le ricerche della famiglia di nonna Costantina, chiedendo informazioni alle persone del posto, tutti mi chiedevano: “Ma abitavano in Via delle Motte?”; “Erano quelli di quel grande caseggiato appartenuto alla Diocesi di Treviso?”; “Erano i Cìnciola?”; con tutto il rispetto, purtroppo non so nulla di tutto questo. E’ il mio passato, mi appartiene perché c’è parte delle mie radici a Martellago ma purtroppo è un passato che non conosco abbastanza.

Continua …

 

 

TANTISSIMI ANNI FA ... (PARTE 54)

Dalla Marca Trevigiana all’Oltrepò Pavese in 150 anni.

 

Continuando a parlare di questi famigerati “Cìnciola”, proseguo il racconto degli antenati della mia nonna, Danesin Costantina.

Prima di arrivare a lei ho ancora un po’ di strada da fare ma, nel frattempo, da Mogliano, passando da Trivignano, sono arrivato a Martellago, il paese dove lei è nata nel 1899, che ha dato anche i natali a suo padre e a suo nonno, ultimo dei 12 figli di Domenico Danesin e di Caterina Carraro; come ho menzionato nel post precedente, è proprio questa famiglia, quella dei “Cìnciola” di Mogliano a spostarsi verso la laguna. Domenico e Caterina moriranno a Martellago, lui nel 1872 e lei nel 1869. La loro numerosa famiglia ha toccato, in questi anni, 3 borghi: 2 figli nati a Mogliano, 4 figli nati a Trivignano e gli ultimi 6 figli a Martellato.

Ed è proprio Antonio Danesin, l’ultimo loro figlio che era praticamente il nonno di mia nonna Costantina a nascere a Martellago nel 1843.

In quell’anno, Martellago, sotto il Regno Lombardo Veneto governato dal sovrano Ferdinando I d’Asburgo Lorena vive la sua realtà prettamente agricola e vede, proprio in questo anno, la costruzione della “Strada di Maerne” come un’evoluzione urbanistica del territorio di questo borgo.

Antonio Danesin (uno dei tanti Cìnciola), sposerà nel 1869 una ragazza di Martellago, Antonia Dainesem, classe 1847 (le coincidenze sulle assonanze sia del nome che del cognome sono impressionanti): Antonio lui, Antonia lei, Danesin lui, Dainese lei. Lui ha 26 anni, lei 22 e, dal loro matrimonio nasceranno 12 figli tra i quali, il mio bisnonno Giuseppe. Non sono a conoscenza se i due cognomi potessero aver avuto la stessa origine ma a Martellago ci sono entrambi i cognomi e sembrano avere un andamento parallelo, senza mai intrecciarsi tra di loro. Non approfondisco l’argomento perché non ne sarei assolutamente capace ma posso citare alcune ipotesi che ho preso da una pubblicazione del 2015 “Nomi, cognomi, soprannomi di Salzano” di Franco Spolador. Dalle ricerche fatte attraverso gli atti parrocchiali, il cognome Danesin compare molte volte quindi, anche qui, la presenza di questa famiglia (i due comuni sono confinanti). Danesin (Dainese non compare a differenza di Martellago) potrebbe accostarsi a Danese cioè proveniente dalla Danimarca; più realistico potrebbe derivare dal patronimico Angelo (d’Anseìn cioè Angelino oppure Angiolino quindi Angelo). A Salzano non figurano i Cìnciola ma i Mantellìn (che sembrerebbe il ramo dei Danesin più “attempato”). Le mie ricerche sulle origini del nome si fermano qui ma, un giorno, grazie anche a persone del luogo, potrei approfondire tutte quelle mie curiosità che la distanza (quasi 400 km) non mi permette di fare così agevolmente come se fossi vicino a casa. Quando sarò in pensione, calcolando che ho 50 anni, chissà quando? Non lo so! So soltanto che i ricordi dei “vecchi” si stanno sempre più assottigliando e i racconti saranno sempre di meno (lo dico con un filo di tristezza).

Scusate le mie continue divagazioni sull’argomento ma, non me ne vogliate: è solo per far capire quanto mi sta a cuore questo argomento così interessante e vitale che è la storia della mia famiglia, delle nostre famiglie.

Dicevo di Antonio Danesin, il mio trisavolo (nonno di mia nonna) che con Antonia Dainese ha ben 12 figli; non tutti – purtroppo – sopravvivranno ma molti di loro daranno vita a generazioni di cui, ancora oggi, ci sono i discendenti. Voglio menzionare tutti i loro figli, soffermandomi un po’ di più sul mio bisnonno. Ecco i figli: la prima è Regina Maria 1869, sposata a Moniego frazione di Noale nel 1893 con tale Vallotto; c’è Antonia 1870, Domenico Costante (Martellago 29.4.1875 – 1899), Ettore Giovanni (Martellago 26.12.1876), Ferdinando Giovanni (Martellago 14.10.1878), Margherita Maria (Martellago 1881 – 1881), Lorenzo Umberto (Martellago 1882) sposato con Favaretto Emilia (i bisnonni di Lunella Zuin), nel 1916 ha 5 figli di 8, 6, 4, 2 ½ e 3 mesi (ho dei dati mancanti), Amalia Maria (Martellago 1885), Amabile Caterina (Martellago 1887 - 1921) maritata con Luise Giuseppe (1887-1954); non da questo ramo, con l’Amabile Danesin ma con la seconda moglie di Giuseppe Luise, discende la genealogia dell’amico Doriano Trevisan, martellacense di nascita ma residente a Spinea; poi abbiamo Giulia Graziosa (Martellago 1890 – 1891) e Giulia Maria (Martellago 1893 – 1896). Ho lasciato volutamente per ultimo il terzogenito dei 12 figli di Antonio e Antonia: Giuseppe Danesin, il mio bisnonno, nato a Martellago il 29 ottobre 1872, sposato a Martellago con la signorina Maria Cazziol, nata nel 1879, la mia bisnonna. Di lei non so nulla; da fonti non documentate ma dai racconti di mia nonna che faceva a mia mamma (quando è morta non avevo ancora compiuto i 6 anni) diceva che sua mamma, Maria Cazziol appunto, morì giovane e prima di lasciare Martellago, fece da mamma a tutta la sua famiglia.

La mia bisnonna a volte è annotata come Cazziol, a volte come Cassiol. Le lettere “z” e “s” in veneto potrebbero essere state interpretate diversamente da chi scriveva l’atto quindi ritengo che si potesse annotare in questi due modi differenti. Resta il fatto che, cosa alquanto curiosa, nell’atto di matrimonio di mia mamma, il cognome della nonna è arrivato fino a noi come Cascioli e non come, alla veneta, Cazziol o Cassiol.

Certo è che, dai fascicoli ESDE del comune di Martellago, Maria era figlia di Michele Cazziol (in questo caso è scritto così) e di Maguolo Rosa che, nel 1877, faceva la “tessitrice” (ESDE n.2 a pag. 219). Del bisnonno Giuseppe Danesin, alcune fonti arrivate fino a noi attraverso i racconti tramandati, sappiamo che ha militato 5 anni nei Reali Carabinieri a Martellago in giovane età, prima di sposarsi nel 1899 con la Maria Cazziol. Lui ha 27 anni, lei 20 e nello stesso anno in cui si sposano nasce Costantina Emma, la mia nonna. Qui la storia si fa interessante, saremo a Martellago ancora per un ventennio e poi, per ragioni di cuore, nonna Costantina abbandonerà il suo paese e non vi farà più ritorno.

Continua …

 

 

 

TANTISSIMI ANNI FA ... (PARTE 55)

Dalla Marca Trevigiana all’Oltrepò Pavese in 150 anni.

 

La mia nonna Costantina, battezzata come Danesin Costantina Emma, nata nel 1899 a Martellago, è la prima figlia di Giuseppe Danesin e di Maria Cazziol. Per il momento, le ricerche a Martellago finiscono qui, nell’attesa di riprenderle il più presto possibile. Dai racconti di mia mamma, di mio zio Guido in particolare, essendo il primo figlio di mia nonna (il più vecchio di solito ha più ricordi) ho appreso che nonna Costantina era la prima figlia dei miei bisnonni, la più vecchia. Peccato! Le mie ricerche finiscono già qui. L’amico Federico Manente di Martellago, grande ricercatore d’archivio come me, ha fatto i miracoli e mi ha fornito dati così utili, non su un piatto d’argento ma su un piatto d’oro, che io – “gasato” come non mai – ero contentissimo perché stavo ricostruendo un passato che non conoscevo, un passato “veneto fino al midollo” che vedeva protagonista mia nonna con tutta la sua ascendenza. Grazie a lui, il merito è soprattutto suo, sono riuscito a risalire abbastanza indietro da capire che “Marca Trevigiana” era la zona in cui tutto era partito, in cui tutto parlava di quella famiglia, i “Cìnciola”. Il mio capostipite è Giobatta “Cìnciola” Danesin. I soprannomi erano l’identificativo delle persone per eccellenza: non esisteva un nome ed un cognome senza un soprannome e, molto spesso, veniva riportato anche negli atti ufficiali di stato civile (o anche in quelli in parrocchia). Sfogliando i registri dello stato civile, pre unità d’Italia, quindi nel periodo Napoleonico e post Napoleonico, noto la presenza quasi “invadente” del soprannome della persona. Negli atti di morte viene scritto il cognome, il nome e la parola “detto …” per identificare meglio la persona, come se senza un soprannome, quella persona sarebbe stato difficile riconoscerla. Anche ai posteri quindi, veniva lasciato questo segno, oggi – purtroppo – quasi del tutto scomparso. Il soprannome del passato è stato sostituito dal più moderno “nick name” o “user name”.

Quindi il nick name dei Danesin era “Cìnciola” ed è questo il perché nonna Costantina si definiva la “Cìncioèta”. Nessuno di noi, forse nemmeno mia mamma, capiva il significato di questa parola che ogni tanto nonna menzionava. Lei non parlava molto della sua infanzia, della sua vita a Martellago; perse la mamma molto presto, quando era ancora una ragazza e la vita per lei fu, probabilmente, talmente dura e dolorosa che – quando i suoi figli (mia mamma compresa) le chiedevano come fosse quel periodo nel veneto, lei cambiava discorso dicendo: “Niente, si viveva e basta!”

Di nonna conosco le cose che sono state tramandate da lei stessa, conosco pochissimo della sua famiglia. Grazie all’amico Federico Manente, conosco una buona parte del suo passato ma non il suo presente (per ora).

Nonna non è mai stata prolissa nel raccontare la sua vita passata, quel passato che probabilmente le faceva male e la infastidiva.

Durante la prima guerra mondiale, tra il 1915 e il 1918, conosce un ragazzo, lo chiamava “bel morèto” che poi fu un riferimento importante per la sua vita: suo marito Giovanni Ferrari, mio nonno.

Classe 1891, quando scoppiò il primo conflitto mondiale, fu chiamato per servire la patria e si trovò, in quegli anni, nel Veneto, in quel di Mestre.

Nonna lo conobbe lì, quando in quegli anni della guerra, si spostava dal suo paese, Martellago, a Mestre per lavorare. La famiglia di nonna non aveva certamente l’automobile, non so neanche se avesse la bicicletta. Da Martellago a Mestre c’erano circa 9 km e ogni giorno, a piedi, percorrendo la strada Castellana, la giovane Costantina andava a fare la sarta (mamma ricordava che nonna le diceva: “Mì, da giovane, cusìva e filàva”). In quegli anni, nonna Costantina, conobbe il nonno che non era proprio un suo conterraneo ma arrivava da molto lontano, figlio di un’altra terra. Nonna, di sangue trevigiano-veneziano, nonno dell’Oltrepò Pavese, un incontro casuale, non voluto. Il destino ha voluto che il nonno andasse così lontano da casa per trovare la donna della sua vita. Costantina era bellissima quando la incontrò in quegli anni, lui aveva 26-27 anni, lei ne aveva 18-19. Giovanni portava i classici baffi (chi non li portava in quegli anni) da farlo sembrare magari più vecchio di quello che era.

Si frequentarono per un po’ e quando la guerra finì era il 1918 e nonno, a 27 anni dovette tornare a casa, felice da una parte e infelice dall’altra perché non avrebbe più rivisto la sua Costantina.

Ma nonno le fece una promessa e le avrà detto più o meno così: “Torno a casa, metto a posto le mie cose, ci scriviamo, mi organizzo, torno e ti sposo”.

Non so se sia andata veramente così ma mi piace crederlo. Non c’erano gli sms, i messaggi WhatsApp e tantomeno il telefono in casa ma le lettere. Nonno sapeva leggere e scrivere, era andato a scuola, aveva imparato qualcosa e anche nonna lo sapeva fare. Dopo un periodo di circa 2 anni, nonno Giovanni mantenne la promessa che fu quella di tornare a Martellago, sposare Costantina nel 1920 e portarla a Zavattarello, in Oltrepò Pavese, attraverso un interminabile viaggio di circa 350 km, percorrendo quasi tutto il nord Italia per fermarsi in un luogo che sarebbe stato per lei la sua casa, per sempre. Dal 1920, nonna e nonno rimasero a Zavattarello, in quel paese in cui le colline adornano il paesaggio, salame ed il vino sono buoni e l’aria ti fa venire fame. Dal loro matrimonio nasceranno 5 figli tra i quali la mia mamma. La sua vita, basata sui sani principi del lavoro, della famiglia, dei figli fu normale, felice, onesta ma con diverse ombre che la resero un po’ infelice per tutta la vita: la figlia Enrica che se ne andò in Argentina e che non vide più e purtroppo la mancata possibilità di tornare a Martellago, a rivedere la sua terra, le sue radici e sicuramente tante persone care che aveva lasciato tanti anni prima.

Purtroppo, quando ci fu la possibilità di un ritorno nella sua terra natale, nel 1977, il destino fu piuttosto crudele e le impedì di realizzare il suo desiderio: sopraggiunse la sua scomparsa.

Nonna Costantina Danesin, la “Cincioèta” come ogni tanto si definiva, aveva percorso la sua vita, la sua strada (facendone anche tanta) ma con quel grande rammarico che l’ha accompagnata fino alla fine. Diceva sempre: “Se sà dove se nàse ma non se sa dove se finìse”. E lei non avrebbe mai immaginato di non tornare più nella sua Martellago.

Nessuno, oggi, al suo paese la ricorda: sono passati troppi anni e la memoria, anche del più anziano, non potrebbe parlarmi di lei.

FINE.

 

TRA UN “TANTISSIMI ANNI FA” E UN ALTRO.

“Cercare”: che gran bella parola.

 

Sono in attesa di alcune informazioni utili per poter proseguire le mie ricerche, la mia storia famigliare, ricostruire il mio passato pezzo per pezzo. Prima di concludere l’argomento che stavo trattando ed iniziarne uno nuovo, ho bisogno di queste informazioni.

Le risposte arrivano sempre abbastanza lentamente, ci sono degli iter burocratici da seguire e, spesso, le richieste, sono accompagnate da lunghi tempi di attesa. Quasi sempre, le attese sono supportate da informazioni ma “anche no”. Le attese restano tali perché, chi riceve la richiesta, non la considera, la accantona o, addirittura, la ignora. Le ricerche sono lunghe anche per questo motivo: se tutto quello che volessimo cercare lo trovassimo in sequenza temporale sarebbe una “figata pazzesca” ma sarebbe troppo facile fare le ricerche e tutti, me compreso (e non mi definisco assolutamente tale) saremmo degli storici provetti.

Non avete idea, nonostante la mole di racconti che ho scritto grazie alle tantissime informazioni accumulate nei decenni, di quante lacune ho ancora su alcuni argomenti famigliari.

Il “cercare” e il “far cercare” sono due cose che certamente, possono far arrivare allo stesso risultato ma riuscite ad immaginare quanto sia affascinante poter approcciarsi direttamente alla fonte?

Mi domanderete: “Scusa Carlo, ma tutto quello che hai scritto e che stai scrivendo ancora non ti basta?”. E mi chiederete anche: “Dopo l’opera monumentale sulla tua famiglia, hai ancora bisogno di altro?”. Le risposte alle vostre domande, già le conoscete perché sapete come sono fatto.

Il mio desiderio sfrenato di scrivere, di condividere con gli altri, di sapere di più sul mio passato, è diventata ormai una sorta di “patologia cronica” cioè di un qualcosa che hai da tanto tempo e non va più via perché non esiste una cura. L’unica cura è solo di mantenimento ed è quella di continuare a cercare. E questo termine, “cercare”, è veramente una gran bella parola.

«Cerchiamo con il desiderio di trovare, e troviamo con il desiderio di cercare ancora», diceva il grande Sant’Agostino. E giustamente, perché noi siamo “sete di vita” e non ci accontentiamo finché non troviamo ciò che la sazia. Possiamo fare di tutto per mettere a tacere il nostro cuore, possiamo perfino pensare di essere sbagliati non essendo mai soddisfatti di quello che troviamo e invece questo è proprio il segno della nostra grandezza, un nostro punto di forza.

Se penso a quanto tempo ho dedicato alle ricerche per documentare ogni fatto accaduto, direi che ho passato il 70% della mia vita per una missione ben precisa: capire da dove provengo, conoscere date e nomi dei miei antenati, scrutarne il loro passato per sapere tutto, o almeno il più possibile, su di loro. Da quel lontano giorno del 1986, sono passati 35 anni e da inesperto ed incapace 15enne che si sentiva come una spugna in grado di assorbire ogni cosa per creare un bagaglio di conoscenza, posso dire di non aver ancora trovato tutto. La mia sazietà è soltanto apparente perché, immancabilmente, quando mi sento appagato da tutto ciò che ho fatto e da tutti i dati che possiedo, scaturisce – spesso per puro caso – una notizia, una curiosità, un documento mai trovato prima, che alimenta di nuovo la mia curiosità, proietta la mia mente verso nuovi stimoli e riapre nuovamente un discorso che avevo considerato chiuso e finito (sapete quante volte è capitato?).

Attraverso queste nuove indicazioni, riparte un discorso di ricerca sul campo e allora si inizia a prendere contatti con chi potrebbe essere custode di queste informazioni mancanti (parrocchie, comuni, archivi vari).
La rubrica “TANTISSIMI ANNI FA”, nata per caso da alcuni spunti storici sulle mie ricerche famigliari, che pensavo di chiudere quasi subito e dopo è arrivata alla 40ma parte, ha proseguito per altre 15 parti ed oggi sono arrivato a scriverne 55. Ogni volta che dico di aver finito, spunta fuori una news che mi induce di nuovo a cercare come se la storia non avesse mai una fine. Mi dovrete sopportare ancora per un bel po’. Del resto, la vita stessa di ognuno di noi, è una continua ricerca.

TANTISSIMI ANNI FA (PARTE 56)
Dalla Marca Trevigiana all’Oltrepò Pavese in 150 anni.
 

Con questo racconto, arrivo quasi al dunque, alla fine dell’esposizione dei fatti riguardanti mia nonna Costantina Danesin. Attendevo alcune informazioni utili che sono arrivate ed ora è tutto molto più chiaro e preciso. I ricordi, spesso, soprattutto quando le persone erano lontane, sia anagraficamente che territorialmente, arrivano in un determinato modo e tu, non avendoli vissuti di persona, li assorbi come tali senza modificare né il loro contenuto né la loro forma.

Nonna Costantina non parlava molto del suo passato trascorso in Veneto, cambiava sempre discorso quando le venivano fatte determinate domande quindi, non sarà stato così facile per lei, come per tante altre donne o ragazze in quel periodo, in quella condizione sociale, l’approccio con la società, con la vita, con il lavoro e con quello che il destino faceva accadere.

Nonna dovette diventare grande piuttosto presto perché ha dovuto accudire tutta la famiglia e tra l’altro, nel grande casale dei “Cìnciola” di Via delle Motte, tutte le famiglie dei Danesin che ci abitavano, vivevano insieme, in simbiosi, in sinergia, aiutandosi a vicenda tra donne, tra uomini, tra bambini per portare a casa un po’ di sostentamento in un’epoca in cui la fame si faceva sentire, e parecchio!

Ho informazioni nuove sulla nonna, tutti quei dati che, proprio sulla sua famiglia, mi mancavano. Sui miei bisnonni, i suoi genitori, ora conosco un po’ di storia in più che mi permette di parlarne più nel dettaglio.

Giuseppe Domenico Danesin (per i posteri solo Giuseppe), il mio bisnonno, nasce a Martellago il 29 ottobre 1872, militerà per 5 anni, dal 1892 al 1897) nei Reali Carabinieri prima di sposarsi, il 16 aprile 1900, con la signorina martellacense Cassiol Maria Teresa (nata il 14 dicembre 1879).

Qui si apre una parentesi di discussione sul cognome della mia bisnonna perché in diversi atti parrocchiali è annotata come Cazziol, Caziol e anche Casiol. Ma è una discussione che chiudo praticamente subito perché all’anagrafe era ufficialmente Cassiol e per me, vale questa versione.

I miei bisnonni avranno 6 figli di cui, la primogenita, sarà proprio mia nonna Costantina Danesin, nata il 5 dicembre 1899.

Purtroppo il 23 novembre 1912, a soli 33 anni, muore la mia bisnonna Maria Teresa Cassiol lasciando il marito e i suoi 5 figli (uno di loro morì solo di pochi mesi). Nonna Costantina, a 13 anni era già orfana di mamma, costretta, come timidamente diceva lei, a fare da mamma ai suoi e anche agli altri (questo punto rimane ancora dubbio perché non risulta un secondo matrimonio del padre ma lei raccontava di aver accudito tanti bambini (“g’ho fàto da màma a tuti quanti” diceva), a meno che non fossero i figli di vari zii, quindi i suoi cugini). Il mio bisnonno Giuseppe, dai dati che ho a disposizione, rimasto vedovo, non risulta che si sia risposato. Morirà all’età di 76 anni il 16 aprile 1949. Nonna infatti diceva: “El mì papà l’è morto pèna dopo la guera”. E di sua mamma ricordava: “Una donèta mendichèta” (cagionevole di salute). I ricordi di nonna qui, tornano tutti.

La famiglia dei miei bisnonni era così composta, oltre a nonna Costantina:

DANESIN REGINA ANTONIA nata il 30 agosto 1901, sposata con Favaron Riccardo il 14 aprile 1923 nel comune di Martellago, morta a Noale il 22 agosto 1985 all’età di 84 anni;

DANESIN LUCIANO SPIRIDIONE nato il 25 aprile 1904, sposato con Niero Giuseppina nel comune di Martellago il 7 febbraio 1928; non è registrato l’anno di morte;

DANESIN SPERANZA ANGELA nata il 18 ottobre 1906, sposata con Milan Erminio Sante il 25 novembre 1923 nel comune di Martellago, morto a Venezia il 21 agosto 1995 all’età di 88 anni;

DANESIN ANGELO LUIGI nato il 21 aprile 1908 e morto il 21 ottobre 1908 a soli 6 mesi;

DANESIN AMALIA ADELAIDE nata il 21 maggio 1911, sposata con Chinellato Ferruccio Mario il 20 maggio 1933 nel comune di Martellago; morta a Martellago il 31 gennaio 2009 all’età di 97 anni;

Queste persone, a parte Angelo Luigi che è morto a soli 6 mesi, hanno ricevuto tutti le amorevoli cure della mia nonna, per la prematura scomparsa della loro mamma Maria Teresa Cassiol nel 1912.

 

Dato che ogni individuo aveva un soprannome ben preciso (per identificarlo a tutti gli effetti), mi domando ancora chi fosse, tra le sorelle di nonna, la famosa “Zia Mora”. Mia mamma e i miei zii, figli di nonna Costantina, nominavano sempre questa persona (probabilmente aveva i capelli scurissimi) che aveva tantissimi figli. Ancora oggi, ignoro tutto questo. Sarà stata Regina, Speranza oppure Amalia? Non lo so e, continuo a non saperlo. Sarebbe per me molto bello scoprire qualcosa di più su questi fratelli e sorelle della nonna che, essendosi sposati, hanno dato origine a generazioni parallele a quelle di mia mamma. Mamma non conosceva nessuno nel Veneto ma ha sempre detto di avere dei cugini. Purtroppo le vicende della vita e anche la distanza non hanno favorito rapporti con loro.

 

E nonna Costantina? Riprendo il discorso su di lei: nasce a Martellago il 5 dicembre 1899, prima di 6 figli, lascerà la sua terra natia nel 1920, per un destino non avverso, ma per amore. Si sposerà con un giovane arrivato un po’ da lontano, dall’Oltrepò Pavese, un ragazzo che fece il servizio militare nel Veneto e che poi, allo scoppio della prima guerra mondiale, fu richiamato alle armi e andò a finire sempre in Veneto, a Mestre molto vicino a quella Martellago in cui abitava Costantina, questa bellissima ragazza di cui lui se ne innamorò pazzamente. Sul finir della guerra, il nonno, Giovanni Ferrari, le fece una promessa: che sarebbe andato a prenderla per sposarla e portarla con sé, per sempre.

La guerra, nel 1918 finì e Giovanni mantenne la promessa: due anni dopo, il 21 aprile 1920, tornò a Martellago per sposare Costantina per portarla poi a Zavattarello, un bellissimo paese dell’Oltrepò Pavese, vicino ai colli piacentini. Non riuscirei a dettagliare quel giorno ma posso immaginare un insieme di emozioni: felicità da una parte e tristezza dall’altra. La gioia del matrimonio, della festa con tutta la sua famiglia riunita si mescolava con la tristezza di dover lasciare, e purtroppo per sempre, il suo paese. Mi sembra di vedere la scena: gli sposi, papà Giuseppe, tutti gli altri parenti (i miei bisnonni di Zavattarello chissà se saranno andati a Martellago) e la piccola Amalia che aveva 9 anni, davanti a tutti a fare la “damigella” (non so se si usava) per il corteo nuziale dal grande casale dei “Cìnciola” fino alla Chiesa Parrocchiale. Sto usando un po’ di immaginazione ma potrebbe essere andata veramente così. Uno degli ultimi giorni lieti di Costantina.

Ecco perché forse la nonna conservava sempre quel velo di tristezza in fondo al cuore. Troppe erano le vicende che aveva passato in gioventù, tanti dolori, tanta povertà e poi un distacco definitivo per un destino già scritto.

Costantina Danesin morirà all’età di 78 anni il 31 gennaio 1977 a Mede (un paese della Lomellina dove emigrò da Zavattarello negli anni ’50): una vita dedicata alla famiglia di 5 figli: Guido (1921-2013), Maria (1924-2002), Amelia (1928-2011), Albertina che era la mia mamma (1930-2012) ed Enrica (1935-1996) ognuno di questi con figli, nipoti e anche pronipoti.

E poi ci sono anch’io, Carlo Degiorgi, figlio di Albertina che ho 50 anni e, con la curiosità di un bambino, sto cercando di ricostruire quel passato che non conoscevo, scoprire un luogo – quello di Martellago – in cui non ci ho mai messo piede e che un giorno, molto presto, andrò a visitare.

Del resto, nel mio piccolo, un pezzo del mio cuore è rimasto lì a Martellago.

FINE

TANTISSIMI ANNI FA (PARTE 57)

 

I Volpini, oltre ad essere quegli animali ricchi di astuta furbizia, sono anche alcuni miei antenati cioè la famiglia della mia bisnonna paterna. Dalla storia e dalle origini dei cognomi italiani e dalle numerose ricerche fatte in rete ho trovato: VOLPE, VOLPES, VOLPI, VOLPIN, VOLPINI, VOLPINO, VOLPON, VOLPONE, VOLPONI VULPETTI.Volpe è panitaliano, ma con prevalenza al sud, Volpes è tipicamente palermitano, Volpi è tipico dell'Italia centrosettentrionale, Volpin è tipico del padovano. Volpini sembra tipico della fascia centrale, Toscana, Marche, Lazio e Umbria. Volpino, assolutamente rarissimo, potrebbe essere del pavese, Volpon, molto molto raro, è del bellunese, Volpone ha un piccolo ceppo in Liguria, uno più consistente nel pescarese. Volponi ha qualche presenza in Lombardia, nel modenese, nel fiorentino, con un ceppo nelle Marche ed uno, il più significativo, a Roma e a Guidonia. Vulpetti, rarissimo anch'esso, sembrerebbe originario del trapanese.

Nel corso del tempo, possono esserci state anche variazioni, errori di trascrizione da parte dei funzionari preposti. Il cognome della mia antenata l’ho trovato scritto in vari modi: Volpi, Volpini, Volpina e chi più ne ha più ne metta. Dagli incroci delle persone comunque la famiglia era la stessa.

Tutti questi cognomi dovrebbero derivare, direttamente o tramite forme ipocoristiche o accrescitive, da soprannomi legati a caratteristiche somatiche o comportamentali inerenti al concetto di furbizia, astuzia, e velocità proprio tipiche della volpe.

Al di là di ogni ragionevole dubbio, Volpini è il cognome che aveva la mia bisnonna paterna: Maria Rosa Ercolina Volpini (1850-1936, chiamata e ricordata da tutti come “Mamä ‘Rculìnä”), moglie del mio bisnonno Degiorgi Giovanni Antonio (1843-1924, chiamato “päpà Giuänìn”). Mio papà, che era del 1922, l’ha conosciuta perché quando è mancata, aveva 14 anni.

Ercolina nasce a Pieve del Cairo il 3 marzo 1850; era appena terminata la prima guerra d’indipendenza (1848-1849) conclusa con la Pace di Milano e la piccola Ercolina muoveva i suoi primi passi incerti della sua vita, una lunga vita che sarebbe durata 86 anni. Siamo sotto il Regno di Sardegna e il sovrano è Vittorio Emanuele II di Savoia che verrà nominato, solo un decennio più tardi Re d’Italia.

Ercolina, nel Censimento del 1858, come ho rinvenuto dalla scheda di famiglia, abita alla Pellegrina di Sotto e in totale sono segnate sette persone. In questo anno sono censite 115 persone divise in 22 famiglie (T’a ghé in ment… pag. 83 – Mario Angeleri 2013). La curiosità più evidente è quella che il compilatore del censimento, annota i maschi come Volpini e le femmine come Volpina (avranno sicuramente parlato in dialetto e avranno detto: “Mi son un Vulpìn e lë l’é nä Vulpìnä”). I dati delle persone tornano tutti, le età, i luoghi di nascita ed è singolare il modo in cui lo hanno scritto. Il capofamiglia è Carlo Volpini, il mio trisavolo, padre di Ercolina, nato “alla Villa” (difatti nasce a Villabiscossi nel 1824), la madre Giuseppa Volpina nasce a Valeggio (nel 1826, il suo cognome era Lodola), poi ci sono i tre figli: Ercolina di 7 anni, Maria di 5, Giuseppe di 3. Non sono ancora nate Giuseppa, Filomena e Rosa Angela (rispettivamente nel 1858, 1861 e 1867). La Maria che ha 5 anni morirà nel 1942 ad Albenga all’età di 90 anni (ma questa è un’altra storia). Nel censimento viene annotato un Francesco, di 31 anni, con cognome Volpini ma il rapporto di parentela è “sconosciuto” (chi sarà mai stato questo Francesco?). Chiude la famiglia la nonna Giuseppa Volpina, di 60 anni nativa di “Lagna” (nata ad Alagna nel 1797, di cognome Laudazi, o scritto anche Audazio). Queste approssimazioni nella compilazione, l’uso dei termini dialettizzati della forma parlata riportati addirittura per iscritto nel documento mi fanno sorridere di gusto.

Ma prima di Ercolina, la mia bisnonna paterna, la famiglia da dove proveniva? E’ assodato che fosse una famiglia povera, di contadini che si spostava abbastanza costantemente quando il giorno di San Martino, l’11 Novembre, i contratti di lavoro o continuavano o terminavano e se questo accadeva la famiglia faceva “Sän Märtìn” (trasloco). Comunque Ercolina era figlia di Carlo Volpini (1824-1887) e di Giuseppa Lodola (1826-1890). Carlo nasce a Villabiscossi (ed è l’unico figlio nato li, perché gli altri nasceranno prima a Scaldasole e poi a Pieve del Cairo) e Giuseppa nasce a Valeggio. La famiglia di Carlo e di Giuseppa si trasferiranno a Pieve del Cairo dove, nel 1849 i due ragazzi di sposano. I Volpini di Carlo arrivano tutti dal grosso centro lomellino di Garlasco. Di Giuseppa Lodola, a Valeggio si trova l’atto di battesimo del padre Giuseppe (figlio di Giobatta) nato nel 1789, sposato con Visconti Teresa nel 1811 (figlia di Giovanni). Veniamo ai Volpini e, grazie alle ricerche svolte un ventennio fa nell’archivio parrocchiale di Garlasco scopro un interessante elenco di nomi che, generazione dopo generazione, mi permettono di ricostruire, oltre alla mia bisnonna Ercolina, altre 7 generazioni tutte collocate in Garlasco. Prima di Carlo Volpini, la famiglia non ha assolutamente avuto la necessità di spostarsi perché le condizioni di vita della famiglia, sono state, per generazioni, stabili sia dal punto di vista economico che lavorativo (almeno, questo sembrerebbe).

Sono risalito fino al 1645, trovando l’ultimo Volpini consultabile dai registri parrocchiali che lo considero con la moglie, i capostipiti della famiglia della mia bisnonna:

1-    Carlo Gerolamo Volpini (1645) sposa Lucia Gandolfi (1645) nel 1669 a Garlasco;

2-  Giovanni Battista Volpini (1670) sposa Caterina Rossanigo (1672) nel 1696 a Garlasco;

3-  Carlo Gerolamo Volpini (1696) sposa Teresa Appiani nel 1724 a Garlasco;

4-  Giuseppe Antonio Volpini (1727) sposa Francesca Sampietro nel 1753

5-   Carlo Antonio Volpini (1753) sposa Maria Francesca Tiraboschi nel 1777 a Garlasco;

6-  Giuseppe Antonio Volpini (1779-1850) con Giuseppa Audazio (1797-1867) nel 1816 ad Alagna (nella chiesa di San Germano)

7-   Carlo Antonio Volpini (Villabiscossi 1824 – Pieve del Cairo 1887) sposa Giuseppa Lodola (Valeggio 1826 – Pieve del Cairo 1890) nel 1849 a Pieve del Cairo;

8-  Maria Rosa Ercolina Volpini (Pieve del Cairo 1850 – Pieve del Cairo 1936) sposa Giovanni Antonio Degiorgi (Pieve del Cairo 1843 – Pieve del Cairo 1924) nel 1867 a Pieve del Cairo;

I Volpini oggi: oltre alla mia famiglia, che discende dalla mia bisnonna Ercolina, alcuni suoi fratelli o sorelle hanno dato vita ad altre generazioni parallele alla mia. Maria Volpini (1852-1942), trasferita ad Albenga e poi maritata Stramesi, da Giuseppe Volpini (1855-1930) discende la famiglia Avico perché era il nonno di Pierina Avico (la cuoca delle scuole, quando ero piccolo) e di Giuseppe Avico (äl Bärbòn) padre del caro Renato Avico (äl Bärbunìn) scomparso proprio un anno fa.

Quanti nomi, quante storie di vita ho trattato e quante ne continuerò a fare. In tanti anni di ricerca ho scoperto cose incredibili, parentele con persone che non pensavo di aver a che fare e che invece, i legami con le generazioni mi hanno fatto incrociare.

Finisce questo racconto sui Volpini ma la storia, come sempre, continua…

TANTISSIMI ANNI FA (PARTE 58)

 

Gli argomenti sulla mia famiglia sono stati toccati praticamente tutti ma questa volta mi vorrei soffermare su quei ramoscelli seccati troppo presto, caduti senza che la vita si accorgesse di loro, strappati troppo in fretta da un destino piuttosto crudele ed invasivo.

Sto parlando di tutti quei bambini della mia famiglia che non sono riusciti a “sbocciare” e che, di fatto, hanno avuto – alcuni – una vita talmente breve che nessuno si potesse ricordare della loro esistenza.

In ogni generazione, ripercorrendole dalla più attempata alla più recente, c’è stato almeno un caso del genere, uno per non dire diversi.

Le condizioni di vita di allora erano assai precarie ma ancor più precaria era la medicina, con quelle cure piuttosto rudimentali ed inefficaci. Non esistevano i vecchi “malati” (come oggi): chi aveva la fortuna di invecchiare era solo per un fatto genetico, perché era sano. La medicina non forniva quei supporti necessari alle carenze dell’organismo e si moriva, eccome se si moriva!

Da come ho potuto constatare durante tutti questi anni di ricerche famigliari, considerando in minima parte l’ultimo trentennio del ‘500 (dal Concilio di Trento in poi), il ‘600, il ‘700, il 55-60% dei nascituri non arrivava all’anno di vita, tralasciando i molti casi di bambini nati morti. La situazione migliorerà, seppur di poco, nell’800, secolo in cui la mortalità diminuirà un pochino anche se sarà ancora piuttosto presente.

Partendo dai miei due capostipiti Antonio Degiorgi e Margherita Torre (“Antonj et Margha”), vissuti tra la metà del ‘500 e l’inizio del ‘600 trovo già in loro una circostanza sfortunata. Potrei dire che è stata una famiglia delle meno peggiori per quanto riguarda il destino dei loro figli in quanto, su 6 figli riscontrati, soltanto uno – l’ultimogenito Giovanni – ha avuto una sorte sfortunata. Giovanni Degiorgi era il fratello di Ambrogio Degiorgi, mio ascendente diretto, nato il 10 ottobre 1593 e deceduto il 4 aprile 1594. Il piccolo aveva soltanto 6 mesi di vita quando è prematuramente mancato all’affetto dei suoi cari. E in ogni generazione ne scopro continuamente di casi simili.

Analizzando soltanto gli ascendenti diretti, peggior sorte l’ha avuta la famiglia di Ambrogio Degiorgi (1573-1643) e Barbara Cavezzali (1595-1648) che su 9 figli, soltanto 3 sono sopravvissuti: Angela Francesca morta a 2 mesi nel 1618, Elisabetta morta ad appena 10 anni nel 1629, Antonia Domenica a soli 2 anni nel 1625, Angela Francesca ad un mese di vita nel 1629, Antonia a 12 anni nel 1637 e un’altra bambina, Angela Francesca morta di pochi mesi nel 1630. Quanti lutti, quante campane suonavano “a morto” in ogni anno e, purtroppo, la maggior parte erano rintocchi per la dipartita terrena di innocenti creature come i bambini.

Tra questi 9 figli c’è Angelo Francesco Degiorgi (1633-1702) che, sposo di Caterina Trotti (1635-1690) hanno 4 figli di cui Angela Ludovica muore a solo 1 anno di vita nel 1690. E in questo stesso anno morirà un altro figlio, Paolo Antonio, 18enne, di una malattia chiamata “morbus repentinus”. Un anno tragico per Angelo Francesco Degiorgi il 1690, anno in cui perderà 2 figli e la moglie Caterina.

E tra i figli di questa coppia, sopravvissuto alle insidie della vita c’è il mio ascendente diretto, Giulio Giuseppe Degiorgi (1666-1711) che sposa Trabella Maria Domenica (1672-1710). Hanno la bellezza di 11 figli di cui ben 5 moriranno in tenerissima età: Caterina nel 1693 ad un solo giorno di vita, Rosanna nel 1694 ad otto giorni, Rosanna a 26 giorni di vita nel 1695, il piccolo Biagio a 10 ore di vita il giorno 4.2.1698, Pietro Francesco ad un anno nel 1700. L’ultimo figlio nato sarà Pietro Francesco Degiorgi (1708-1782), mio ascendente diretto che da Margherita Cigalino (1726-1807) avranno solo due figli ed in questo caso, in modo del tutto casuale, nessuno di loro due soccomberà alla precarietà della vita di allora.

Degiorgi Giulio Paolo sarà il mio ascendente diretto e morirà a soli 38 anni nell’anno 1800. Sposa Maria Domenica Biancardi (1760-1829) e da questo matrimonio nasceranno 6 figli tra cui il mio ascendente diretto Pietro Severino Degiorgi (1786-1867). Tra i figli di Giulio Paolo: Angela Maria, morta dopo appena cinque giorni di vita nel 1782, e poi anche Marianna, una bambina nata morta il 12 ottobre 1791, battezzata comunque dall’ostetrica di Borgofranco, Rosa Barberini.

Con Pietro Francesco Severino si arriva nel pieno ‘800, con lui ci sarà lo spostamento della famiglia da Borgofranco a Cairo Lomellino (allora comune autonomo) nel 1824. Sposerà nel 1805 Francesca Guarnaschelli, nativa di Cambiò e da questo matrimonio nasceranno 4 figli ma le cose non andranno così bene. Nel 1806 nascerà un figlio a cui non verrà dato alcun nome, “sine nomine”, battezzato dall’ostetrica Marianna Dall’Occhio, morto subito dopo la nascita. Nel 1807 sarà la volta di Giuseppe che morirà molto piccolo a soli sei mesi di vita. Nel 1813 sarà la volta di un altro bambino “sine nomine”, nato morto. In otto anni di matrimonio, Severino e Francesca, povera gente, non riescono ad avere una famiglia. Passeranno sette anni senza figli e nel 1820, nascerà Felice Fortunato Degiorgi (il mio trisavolo). In questo caso, il nome gli portò piuttosto bene in quanto vivrà 90 anni e morirà nel nuovo secolo, nel 1910. Si sposerà 3 volte ma avrà figli solo dalla seconda moglie, la mia trisavola Santina Sozzi, di Borgofranco. Dal loro matrimonio nascerà il mio bisnonno Giovanni e anche in questa generazioni non mancheranno eventi infausti. Nel 1851 nascerà Caterina che morirà a soli 6 anni nel 1857 e nel 1855 nascerà Ferdinando che morirà ragazzino, a 12 anni di età.

E Giovanni (1843-1924), il mio bisnonno, sposerà Ercolina Volpini (1850-1936) e avrà oltre che a mio nonno Luigi (al Cio) due figli morti presto: nel 1872 morirà Maria Santina, poco prima di compiere 2 anni e nel 1874, il 20 novembre morirà Teresa Maria.

Con questa generazione siamo nel ‘900 e qui, fortunatamente, le cose cambieranno moltissimo nel senso che le condizioni di vita avranno una sorte migliore. Non ci saranno più casi di morti premature, ogni discendente, diretto o parallelo, avrà una vita normale fino ad avere casi di estrema un’estrema longevità.

La situazione che ho appena raccontato, che riguarda la mia famiglia, la possiamo ovviamente generalizzare a tutte le famiglie vissute in questo periodo. Ho analizzato una parte del ‘500, tutto il ‘600, tutto il ‘700, tutto l’800 e anche il ‘900. Statisticamente parlando, man mano che ci si avvicina ai giorni nostri, notiamo una situazione sempre più favorevole ed ottimale.

In quei periodi bui e lontani, ogni famiglia, dalla più agiata alla meno abbiente, ha attraversato momenti particolarmente difficili e tristi e in ogni casa, in ogni focolare domestico, uno o più bambini non ce l’hanno fatta e la storia non finirà mai di piangere quelle innocenti creature a cui non è stato neanche dato un nome. Da parte mia va il massimo rispetto per tutti quei bambini “sine nomine” che il destino ha strappato via dalla vita, troppo presto.

TANTISSIMI ANNI FA (PARTE 59)

 

Da diverso tempo, esattamente dal 4 febbraio di quest’anno, mi sto dilettando a scrivere la storia sulla mia famiglia e così, d’improvviso, quasi come un appuntamento fisso, sta diventando piuttosto piacevole per i lettori, seguire questo cammino che, con un po’ di “sali e scendi”, parte da lontano per arrivare a sfiorare i nostri giorni.

I personaggi che ho trattato fino ad ora, sono stati parte integrante del mio passato, come un punto di riferimento importante affinché tutto potesse essere esposto nei minimi particolari.

Per una persona comune, conoscere il proprio passato dovrebbe essere interessante, motivante, stimolante e di forte impatto. Si conoscono i genitori, i nonni, i loro nomi, le loro date di nascita e purtroppo, in tanti casi, anche quelli di morte.

Per una persona comune, io probabilmente non lo sono (giudicate voi se in positivo o in negativo) è normale non conoscere a fondo il proprio passato più remoto, la propria storia se non ci si documenta “a dovere”, scrupolosamente e con un certo interesse.

Se non si fa questo, rimane una conoscenza limitata, ricordando a malapena qualche episodio raccontato dai propri nonni, di come vivevano quando erano piccoli e di quanto la vita sia cambiata da allora ad oggi. Una persona che ha all’incirca 50 anni, come me oggi, potrebbe iniziare ad appassionarsi al proprio passato, ricordando più piacevolmente e con più interesse episodi che prima apparivano superflui e non così importanti.

Nel mio caso, l’interesse verso il mio passato è arrivato piuttosto presto, quando avevo soltanto 15 anni, nel 1986.

Lo scrissi più volte di quella scintilla che accese la mia mente come una lampadina, la fantomatica “goccia che fece traboccare il vaso” (la classica frase che in ogni libro di storia introduce l’inizio della prima guerra mondiale). In quella lontana giornata di primavera, al cimitero di Pieve con papà, quei tre nomi e quelle tre date che lessi sulla lapide all’ingresso, la mia avventura che sarebbe durata tantissimi anni, ebbe inizio in un modo così improvviso che non feci nemmeno in tempo ad accorgermene. In pochissime settimane quel blocco notes nuovo di pacca che avevo acquistato per prendere appunti, si riempì copiosamente di dati e di tante storie interessanti.

Felice Degiorgi (1820-1910), Giovanni Degiorgi (1843-1924), Pietro Degiorgi (1868-1947), tre nomi come tanti ma che racchiudevano 3 distinte generazioni, nipote, padre e nonno, tre vite differenti, tre periodo differenti, tre epoche molto diverse che andavano dall’allora Regno di Sardegna, appena dopo il periodo Napoleonico, alla neonata Repubblica Italiana. Felice (il mio trisavolo) nacque sotto gli ultimi anni di regno di Vittorio Emanuele I° e visse 90 anni; i suoi occhi videro trasformazioni epocali, i moti carbonari, 3 guerre d’indipendenza, la spedizione dei Mille, l’Unità d’Italia, molti sovrani e spegnersi per sempre nel 1910, pochi anni prima dello scoppio della Prima Guerra Mondiale. Suo figlio Giovanni, il mio bisnonno, che visse 81 anni, nacque sotto Carlo Alberto di Savoia nel 1843 e visse parallelamente con suo padre praticamente gli stessi avvenimenti, assistendo, già da anziano, al primo conflitto mondiale e a tanti cambiamenti sociali, economici e politici. Dopo di lui Pietro, suo figlio (fratello di mio nonno Luigi) che nacque sotto il Regno d’Italia (un’Italia finalmente unita) che visse l’800 assaporandone i cambiamenti e che attraversò due conflitti mondiali (la prima e la seconda guerra) vivendo la fine della monarchia e l’inizio della repubblica, morendo nel 1947.

Queste tre persone, senza ovviamente contare tutti i miei famigliari più cari, sono state il punto di partenza per le ricerche. Se quel giorno non avessi chiesto a papà chi fossero, se quel giorno non mi fossi accorto di loro, probabilmente non avrei intrapreso questo cammino, probabilmente non avrei scritto tutte queste storie. Pietro e Giovanni nacquero a Pieve, Felice nacque a Suardi (allora Borgofranco) e quel desiderio e quella curiosità di sapere chi fosse esistito prima di lui mi portò verso un cammino che oggi, dopo oltre 30 anni, non è ancora finito. Non avrei mai pensato di ricostruire ancora 250 anni di vita oltre a Felice Degiorgi (conoscere soltanto il nome del proprio trisavolo non è proprio cosa da tutti) arrivando fino ad Antonio, ovvero il nonno del suo quadrisavolo (7 generazioni ancora prima di lui). E così facendo trovai che Felice era figlio di Severino, che era figlio di Giulio, che era figlio di Pietro Francesco, che era figlio di Giulio Giuseppe, che era figlio di Angelo Francesco, che era figlio di Ambrogio, che era figlio di Antonio arrivando, quasi senza accorgermene, intorno alla metà del ‘500. Due secoli e mezzo nello stesso luogo, nessuno di loro aveva fatto “Sän Märtìn” a differenza di tante famiglie che hanno gravitato attorno ai Degiorgi, che cambiavano località quasi ogni anno, causando una maggiore difficoltà nel reperire informazioni negli archivi. Considerando la distanza in km tra Pieve e Suardi (circa 5 km), in quel tragitto erano presenti le parrocchie di Borgofranco, Gambarana, San Martino, Cambiò, Cairo, Pieve del Cairo, Gallia. Dopo questo lungo periodo di stallo famigliare, solo con Severino Degiorgi (1786-1867) inizierò a sentir parlare altri borghi ed altre realtà. Saranno proprio queste località ad essere i luoghi natii di tutte le generazioni future. La presenza dei Degiorgi è sempre stata piuttosto circoscritta a questo territorio e il ramo da cui discendo io (non certo con onori, stemmi o blasoni), dai documenti rinvenuti e dalle molte pubblicazioni che ho letto (in ultimo, gli atti notarili presso l’archivio di Stato di Pavia), è presente in Lomellina, proprio a Borgofranco, già dall’inizio del ‘400. Non essendo famiglie nobili, non si parla di loro in modo approfondito ma è già sufficiente ricavare qualche cenno. Non eravamo feudatari, ricchi proprietari, latifondisti, nobili ma soltanto dei contadini, villici e bifolchi.

CONTINUA…

TANTISSIMI ANNI FA (PARTE 60)

 

Dopo un lunghissimo viaggio tra i luoghi in cui la mia famiglia ha vissuto, mi sento come se avessi camminato al loro fianco per tutto questo tempo. Ma come sarebbe stato vivere, anche solo per un giorno, con ognuno di loro? Mettiamo il caso che tutto questo sia possibile.

Una mattina, svegliandomi, mi trovo in una piccola e strana casetta, chissà dove, vicino ad un fiume e, dalla mia camera adiacente alla stalla e al pollaio, vedo da uno spioncino un certo Antonio (chiamato probabilmente “Toni” perché così lo stanno chiamando) che mette il giogo al collo di due buoi per andare a lavorare in campagna e la moglie Margherita (così l’ho sentita chiamare) che sta dando da mangiare alle galline. Queste voci e questi rumori insoliti che non avevo mai sentito prima d’ora mi fanno formulare una semplice domanda: “Dove mi trovo?”. Non è la mia camera, non è il mio letto e le persone attorno a me non le conosco e non le ho mai viste prima d’ora. Ma quei due nomi che sto sentendo pronunciare mi dicono qualcosa.

Antonio viene in camera mia dicendomi che è contento di ospitare il suo “domani” e si augura che questa permanenza sia di mio gradimento. Anche Margherita, molto premurosa e che aveva appena partorito il suo sesto figlio, si mette a mia completa disposizione dicendomi che se avessi bisogno qualcosa non devo esitare a chiedere. Avevo capito bene o Antonio mi aveva appena chiamato “il suo domani”? Stavo vivendo un sogno o era come nel film “Non ci resta che piangere” che, improvvisamente, mi trovavo in un’epoca remota che non era la mia? Antonio e Margherita corrispondevano, in base alle ricerche che avevo fatto, ai nomi dei capostipiti della mia famiglia, che erano contadini e che abitavano a Borgofranco.

Quasi timoroso di chiedere che giorno era, provai: “Oggi che giorno è?” rivolgendomi a Margherita. “Ä sumä äl 20 utùbär däl 1593” rispose la mia probabile antenata. Preoccupato chiesi anche: “Dove siamo?”. E Antonio: “Äl Bùrg, pròpi ä dü pàs däl Po”.

La mia preoccupazione diventò certezza e il desiderio che avevo manifestato alcuni giorni fa, cioè quello di aver detto “chissà come sarebbe vivere all’epoca dei miei antenati” si era avverato. Ma era un sogno o un incubo? Non lo sapevo ancora. Conoscendo a fondo il mio passato, perché fino ad ora lo avevo studiato nei minimi dettagli, ero praticamente sicuro di essere capitato nella casa con Antonio, Margherita e i loro 6 figli Ambrogio, Jacopo, Elisabetta, Pietro, Camilla e il piccolo Giovanni, nato da soli 10 giorni. Non ci potevo credere ma era veramente accaduto: mi trovavo alla fine del ‘500, insieme a due persone di mezza età che mi conoscevano come se vivessi con loro da sempre e tutto quello che pensavo che fosse, lo era davvero.

Mi trovavo in quella situazione strana con il mio quaderno di appunti, come se soltanto quello fosse necessario per districarmi da quella situazione, come se fosse il mio indispensabile lasciapassare che mi avrebbe permesso di andare ovunque e chiedere qualunque cosa. Non avevo altro con me, solo questo quaderno che custodiva il passato, il presente e il futuro.

Nel 1593 Ambrogio aveva già vent’anni, per l’epoca era in età da matrimonio ma non aveva ancora una ragazza, Antonio sarà stato sulla cinquantina e Margherita sulla quarantina. Dopo vent’anni era arrivato il piccolo Giovanni, che sarebbe poi mancato l’anno successivo per quelle banali malattie che mietevano vittime (soprattutto tra i bambini) ma di certo, a loro, non ne feci menzione. Quello che mi spaventava un po’ è che io conoscevo il futuro di queste persone mentre loro stavano vivendo giorno per giorno senza particolari programmi perché in quel periodo, quel genere di persone, lottava solo per sopravvivere.

Io ero lì con loro ma praticamente era come se non esistessi, come se le mie funzioni fossero soltanto quelle di un inerme spettatore in una vita che non mi apparteneva. Il 15enne Jacopo mi chiese: “Carlo, hai qualcosa da fare oggi?”. Io risposi: “No, assolutamente!”. Volevo conoscere una loro giornata tipo, in campagna. Elisabetta, di 13 anni, che stava svolgendo alcune faccende in casa, allora mi disse: “Oggi stai tranquillo, domani mattina andrai al lavoro con i miei fratelli. Mi raccomando, stasera vai a dormire presto perché l’alba sarà vicina, qui si inizia a lavorare alle 5”. Non avevo quel granché da fare, non c’era la televisione, il cellulare, nemmeno la radio, neanche un mazzo di carte per fare il “solitario”. In casa c’era una candela per ogni stanza che illuminava il buio che stava per scendere, inghiottendo ogni cosa. Anche Pietro e Camilla, nonostante fossero ancora bambini, erano stanchi perché avevano già compiti lavorativi importanti e responsabili. In quella casa, come in ogni famiglia di fine ‘500 in Lomellina, ognuno aveva incarichi ben precisi, dal più piccolo al più anziano. Soltanto Giovanni, piccola ed innocente creatura, piangeva quando aveva fame e dormiva quando aveva sonno.

Era bellissimo quel bambino, fragile ed indifeso. Me lo presi in braccio, me lo portai al petto e lo coccolai dolcemente. Stava bene con me, probabilmente sentiva che ero uno “di famiglia”. La cena era una specie di “polentina”, una pappetta densa ma gustosa che mangiai abbastanza voracemente perché, detto tra noi, c’era solo quello (o ät mängi clä mnesträ o ät salti lä fnesträ). Tutti attorno a quel tavolo di legno, papà Antonio a capotavola, mamma Margherita mangiava in un angolino, gli altri figli, seduti, testa china e in silenzio. Si sentiva soltanto il rumore delle mandibole che masticavano quella nutriente poltiglia.

Erano le 8 di sera e, ancora con “äl bucòn in bucä”, l’intera famiglia Degiorgi era pronta per andare a dormire, stanca di una giornata di lavoro intensa iniziata al sorgere del sole e finita al suo tramonto.

Papà Antonio mi diede una forte stretta di mano, mamma Margherita un amorevole bacio sulla fronte. I ragazzi vennero a salutarmi, tutti: Jacopo mi mise la mano sulla spalla, Elisabetta mi diede un bacio sulla guancia, Pietro e Camilla (che avevano rispettivamente 11 e 7 anni) mi fecero un inchino recitandomi una filastrocca contadina e Ambrogio mi abbracciò forte a se dicendomi: “Sarai stanco, hai fatto un lungo viaggio. Sono felice che tu sia qui perché vuol dire che tutto è andato come doveva andare” (non so se le sue parole nascondessero qualche indizio ma sarebbe stato proprio lui il mio ascendente diretto, come se lui lo sapesse già)

Il piccolo Giovanni nel frattempo si era addormentato tra le mie braccia. Pertanto feci il gesto di darlo a mamma Margherita per metterlo nella sua culla. Lei mi guardò dolcemente e mi disse: “No, tienilo tu perché con te è al sicuro”. Avevo una responsabilità incredibile perché, tra le mie braccia, stavo custodendo il mio passato e di conseguenza, stavo proteggendo anche me ed il mio futuro. Ero felice, sereno ma conoscendo il destino di tutti, mi misi a piangere di nascosto perché quella creatura innocente che stringevo tra le mie braccia sarebbe stata portata via troppo presto, in un giorno d’aprile del 1594.

CONTINUA…