La famiglia FERRARI (nonno materno) / I luoghi di origine della famiglia FERRARI
I LUOGHI DI ORIGINE DELLA FAMIGLIA FERRARI

L’OLTREPO’ PAVESE
L’Oltrepò Pavese è un'area della provincia di Pavia con superficie pari a circa 1097 km² e una popolazione di 146 579 abitanti, che deve il suo nome alla peculiarità di trovarsi a sud del fiume Po, in pieno Appennino Settentrionale, territorio geograficamente e morfologicamente molto simile a quello appartenente all'Emilia. L'Oltrepò Pavese è letteralmente incuneato tra l'Emilia-Romagna, con la provincia di Piacenza a est e il Piemonte, con il Tortonese in provincia di Alessandria a ovest. Da sottolineare inoltre che nella parte più meridionale, percorrendo per pochi chilometri l'Alessandrino o il Piacentino, si trova il confine con la Liguria, più precisamente con la città metropolitana di Genova.
Geografia
Ha forma triangolare; un lato è costituito dal corso del Po, il vertice opposto, verso sud, dalla massima elevazione della provincia di Pavia che è il monte Lesima (1724 m). Il territorio è costituito da una parte pianeggiante, cui segue verso sud un'ampia zona collinare, e infine (nel vertice meridionale), una zona montuosa (Appennino ligure). Le massime elevazioni, oltre al citato monte Lésima, sono il monte Chiappo (1700 m), la cima della Colletta (1494 m), il monte Penice (1460 m).
La sua struttura è condizionata dalla valle principale, la valle Staffora che forma il confine occidentale, dall'alta val Tidone, che scorre principalmente nel Piacentino formando il confine orientale, e da un complesso reticolo di piccole vallette e rilievi collinari che si trovano tra le due valli principali. Il suo principale corso d'acqua è la Staffora, gli altri torrenti sono: l'Ardivestra, la Versa e la parte alta del Tidone con una parte del lago di Trebecco. Nella parte più meridionale dopo il passo del Brallo, nel comune di Brallo di Pregola, il territorio pavese è posto in val Trebbia e il confine è segnato dal fiume Trebbia.
Fino al 1923, anno in cui il Circondario di Bobbio fu separato dalla provincia di Pavia, l'Oltrepo Pavese (e di conseguenza la Lombardia) confinava direttamente con la Liguria.
Centri principali: Voghera, Casteggio, Broni, Stradella, Varzi.

STORIA
DALLE ORIGINI FINO AI MALASPINA
I primi documenti scritti, riguardanti il territorio che attualmente costituisce la Comunità Montana dell’Oltrepò Pavese, risalgono al secolo IX d.C. Per ricostruire la storia anteriore a quella data occorre rifarsi alle documentazioni e testimonianze, offerte in genere dal materiale archeologico. Grazie al ritrovamento, nelle Valli Staffora, Tidone (Castellano, Salice Terme, Castelliere di Guardamonte o di Monte Vallassa presso S.Ponzo Semola[1], Zavattarello) e nel vicino Bobbiese (Bobbio, Zerba) di utensili e di manufatti in pietra levigata, in bronzo e in ferro, databili nelle rispettive età[2], è possibile affermare che le nostre montagne ebbero un antico popolamento.
I liguri
L ’attuale Provincia di Pavia, già nel l° millennio a.C., fu senz’altro abitata da popolazioni liguri, suddivise in varie trib ù. Il popolo ligure, infatti, era distribuito nei territori dell’attuale Liguria, del Piemonte meridionale, della parte occidentale della Lombardia, dell’Emilia e della Toscana settentrionale. Relativamente al Pavese, i Liguri denominati Levi e Marici erano insediati a Nord del fiume Po, mentre altri, quali i Celelati, i Cerdiciati, gli lriati prediligevano la pianura e i colli a Sud del Po, cioè l’Oltrepo Pavese.
I Galli o Celti
L ’invasione dei Galli o Celti (IV sec. a.C,) spinse le popolazioni liguri del Vogherese e del Casteggiano ai margini collinari e montani. Le trib ù liguri, quindi, abitanti la parte settentrionale delle vù facilmente a contatto con i popoli celti della pianura oltrepadana pavese e di quella limitrofa piacentina, dovettero subire maggiori infiltrazioni ed influssi che non quelle abitanti le zone montagnose meridionali. I Galli erano ù evoluti dei nostri primi abitatori; è lecito quindi presumere che i Liguri abbiano assimilato innovazioni circa 1’agricoltura e l’uso dei metalli pur conservando la trama autonoma dell’organizzazione tribale e della confederazione. La civiltà derivata dalla fusione dell’elemento ligure e celtico fu rispettata dai Romani conquistatori (II sec a.C.) come risulta anche se riferita alle vicine valli genovesi ed alessandrine, dalla celebre Sententia Minucà costitu ì la base della successiva Civiltà romana.
I Romani conquistatori
La penetrazione di quest’ultima nelle valli della nostra Comunità avvenne lentamente e non rivest ì quell’importanza che ebbe invece per la pianura padana, alla quale diede la sua inconfondibile impronta con la «centuriatio[3]» .A Sud del Po, assunse particolare importanza Voghera (allora denominata Iria), la quale, per la felice ubicazione sulla «via consolare Postumia», da Cesare (44 a.C.) fu inclusa fra le colonie militari, unitamente a Piacenza, Tortona (Derthona), Serravalle Scrivia (Libarna). Sempre nella fascia pianeggiante e collinare oltrepadana e precisamente nei territori di Casteggio, Montebello della Battaglia, Mairano, Montalto e Lirio, si sono rinvenuti reperti archeologici che attestano una non indifferente e precoce colonizzazione romana. I Romani, a differenza dei Liguri, si dedicavano maggiormente allo sfruttamento agricolo che non alla pastorizia e alla caccia, qindi le zone pianeggianti si prestavano meglio allo scopo. I ritrovamenti archeologici romani del Monte Penice, di Cecima, S. Ponzo, Bagnaria, Varzi, Casanova Staffora, Romagnese, Zavattarelloontalto Pavese e l’importante fornace romana di Massinigo, testimoniano che nella nostra zona vivevano popolazioni già romanizzate nei primi secoli dell’era volgare[4]. Il fondovalle dello Staffora, generalmente poco abitato dalle trib ù liguri, offriva buone nuove terre da sfruttare, la vicinanza a Voghera e alle principali vie di comunicazione permettevano scambi e contatti umani con le colonie della pianura; le persecuzioni contro i cristiani, sanguinose specialmente nei centri urbani: questi (ed altri) sembrano essere stati motivi sufficienti al locale popolamento romano.
La fornace romana di Massinigo
Invasioni barbariche: i longobardi
Nonostante le frequenti invasioni barbariche (primi decenni del V sec, d.C.) contro il vasto e secolare Impero di Roma, solo con la discesa dei Longobardi in Italia e con la presa (572 d.C.) e l’erezione di Pavia al capitale del loro Regno, si ha modo di vedere il nostro Oltrepo e le valli adiacenti bobbiesi inserite nel modello di vita inaugurato dai nuovi conquistatori, convertiti al cristianesimo dal Pontefice Gregorio Magno (primi anni del sec, VII).
S. Colombano e il Monastero di Bobbio
Sotto il Regno di Agilulfo (591-615) e della famosa Regina Teodolinda, sua sposa, giunse alla corte di Pavia il monaco irlandese Colombano, il quale, ricevette in dono dai sovrani Bobbio e il suo intorno, unitamente ad una chiesa diroccata, dedicata a S. Pietro Apostolo. Il Santo monaco giunse a Bobbio nel 614 ed ivi mor ì il 23 novembre del 615. Il celebre monastero di Bobbio, iniziato da Colombano, venne denominato la «Montecassino del Nord» e rappresentò uno dei pi ù vivaci centri di vita religiosa e di cultura occidentale, durante i secoli del basso Medio Evo. I religiosi bobbiesi salvarono, ricopiandole, numerose opere letterarie classiche, che tuttora si conservano presso biblioteche italiane (Torino, Roma) e straniere (Parigi). I monaci iniziarono anche i grandi dissodamenti e intensificarono le colture sulle terre già dissodate, prima nei dintorni della loro sede nel bacino del fiume Trebbia, poi nelle valli del nostro Appennino, dove costituirono le cosiddette «cellae exteriores» o piccoli monasteri. Tali «cellae» rappresentarono dei poli d’attrazione che favorirono il rifiorire delle attività agricole: la base di futuri nuovi insediamenti e il potenziamento del preesistente popolamento. Numerose celle, nel cui territorio i monaci trasferivano piccole colonie di agricoltori con le loro famiglie, divennero in seguito paesi e centri parrocchiali. Le terre che i Re Longobardi avevano assegnato al monastero furono intensamente valorizzate dall’operosità e dalà agli inizi del Monastero di S. Colombano di Bobbio, ci permettono di indià, ove la vita continua e ferve ancora oggi.
Oberto I
Cos ì mentre il monastero di Bobbio, per i suoi indiscussi meriti in campo religioso, sociale ed economico, continuava ad ottenere protezione e possedimenti dagli Imperatori, successori di Carlo Magno sul trono del Sacro Romano Impero, nella Valle Staffora si affacciava (intorno all’anno 1000) Oberto I Marchese della Liguria Orientale, progenitore della nobile stirpe dei Marchesi Malaspina, che divennero i protagonisti della storia locale.
[1] La stazione o il Castelliere di Guardamonte o di Monte Vallassa fu coperto casualmente da un gruppo di cacciatori che stavano inseguendo una volpe. Rifugiatasi in un anfratto, i cacciatori cominciarono a scavare intorno alla tana per catturare pi ù facilmente la preda, ma a circa due metri di profondità rinvennero numerosi frammenti di fittili. Fortunatamente si avvisò la competente Sovrintendenza alle antichità, che provvide ad eseguire degli scavi sistematici. Venne cos ì alla luce un ingente deposito di materiale archeologico che, secondo l’opinione dell’archeologo Lo Porto, rappresenta un periodo lunghissimo che dal neolitico perviene al secondo secolo dell’era «volgare».
[2] Età neolitica, anteriore all’età del ferro.
[3] «Centuriatio» è la divisione dei terreni, operata dai Romani a favore delle famiglie colonizzatrici. Il «fondo», costituito da un appezzamento di circa 2400 piedi (m. 710,4) di Lato, veniva suddiviso in cento parti e dato a sorte a cento famiglie (centuria). E’ chiaro che i poderi così ottenuti (tutti quadrati o rettangolari) imprimevano al paesaggio una fisionomia caratteristica, che in certe zone di pianura è ancora riconoscibile.
[4] Si tratta di oggetti di uso quotidiano, di ornamenti vari di statuette. A Valverde è stata rinvenuta un ’ara dedicata a Diana, che attualmente si conserva presso il Museo di S. Colombano di Bobbio. Il ritrovamento della fornace dell’età imperiale romana (primi secoli d.C.) avvenuto a Massinigo nel 1957, per opera di muratori impegnati alla costruzione del nuovo edificio scolastico rappresenta la fonte locale pi ù interessante, cui si possa attingere notizie sul grado di civiltà raggiunto da quei nostri progenitori.

DAI MALASPINA FINO AL SECONDO DOPOGUERRA
I Malaspina
Il casato Malaspina (così denominato a partire dal Marchese Alberto verso il 1124), nonostante che col passare degli anni si sia ulteriormente diviso in vari rami, conservò sempre quell’unità che gli dava la forza necessaria per difendere ed affermare la propria influenza politica sulla zona soggetta, estendentesi non solo nella Valle Staffora, ma anche in quella del Trebbia e del Curone, oltre che nella Lunigiana, terra originaria, secondo alcuni Autori. L ’appoggio che i Marchesi seppero tempestivamente dare alla causa Imperiale, opponendosi vigorosamente ad ogni tentativo dei Comuni limitrofi di delimitare e di imbrigliare la loro giurisdizione feudale, giovò alla conservazione del loro predominio e al quieto vivere, dal punto di vista politico, della zona infeudata. Infatti, dapprima (1164) Federico I Barbarossa e, poi, (1220) Federico Il e Carlo IV (1355) confermarono ai Malaspina beni e privilegi con Diplomi, che costituiscono pure fonti indispensabili per la storia dell’organizzazione territoriale locale.
Feudi Malaspiniani
Relativamente al territorio considerato, già col Diploma di Federico Barbarossa ( 1164) i Marchesi Malaspina ottennero l’investitura o la conferma dei Feudi di Pregola, S. Margherita, Menconico, Cella, Monteforte, Varzi, Oramala, Pietragavina, Sagliano, Casarasco, Pizzocorno, Piumesana, Godiasco, Fortunago. Tali circoscrizioni amministrative continueranno nelle successive delimitazioni comunali.
Altri feudi
Non tutto il territorio della nostra attuale Comunità era però soggetto ai Malaspina, Bagnaria, ad esempio, già dal 1157, dipendeva dalla giurisdizione civile dei Vescovi di Tortona, i quali successivamente la subinfeudarono ai Conti di Lavanna. Cecima fu donata (943) dal Re Ugo e dal figlio Lotario, associato al padre nel Regno, al Vescovo di Pavia e ai suoi successori, i quali la tenevano ancora verso la fine del XV sec . Il Feudo di Montesegale, in un primo tempo (1157), confermato al Vescovo di Tortona dal Papa Adriano IV, venne dal Barbarossa assegnato ai Conti Palatini di Lomello. Montalto Pavese, già appartenente alla nobile famiglia Belcredi, fu donato al Comune di Pavia da Federico I Barbarossa nel 1164, successivamente passò ai Duchi di Milano che lo infeudarono a loro volta ancora ai Belcredi. Borgo Priolo, unitamente ad alcuni luoghi della Val Coppa, formava il Feudo di Torre del Monte. Già dei Vescovi di Tortona, Torre del Monte fu ceduta ai Pavesi dal Barbarossa; passò ai Marchesi del Monferrato e quindi ai Visconti nel 1362 ad opera del Generale visconteo Luchino Dal Verme. Zavattarello e Romagnese invece erano soggetti, fin dal secolo IX, al Monastero di Bobbio e al Vescovo, dal l014, anno in cui venne costituita la Diocesi di Bobbio. Dopo varie vicende, il Vescovo infeudò i due luoghi a Iacopo Dal Verme (1387), illustre membro della casata destinata a rivestire notevole importanza nella storia locale. Infine il Feudo di Ruino, che dopo la donazione fatta da Ottone II (972) al Monastero bobbieò al Vescovo e quindi anch’esso ai Dal Verme e ad altri Signori.
I Castelli
Con l’avvento e l’affermarsi dei vari Feudatari, quasi ogni cocuzzolo delle nostre valli fu munito di castello o rocca. Durante i secoli successivi, alcune fortificazioni caddero in rovina e rivivono ancora nel toponimo; altre invece furono ricostruite, in modo speciale nei secoli XV-XVI. Con la Rivoluzione Francese e la conseguente soppressione dei Feudi (1797) ad opera di Napoleone Bonaparte, tali costruzioni, dotate di funzioni difensive e di sorveglianza, divennero pacifiche abitazioni dei discendenti delle nobili famiglie. Attualmente solo qualche castello (Pozzolgroppo, Torre degli Alberi, Montesegale) gode della presenza umana; altri purtroppo versano in uno stato di completo abbandono e di trascuratezza colpevole, ma resistono ancora alle «sberle del tempo ».
Il Ducato di Milano
Non si deve dimenticare che tutta la Lombardia condivise le sorti del Regno d’Italia, governato dopo i discendenti di Carlo Magno, dagli Imperatori e Re di famose casate germaniche. Allorchè a Milano i Visconti, in un primo tempo e gli Sforza, successivamente, riuscirono a diventare delegati dell’Imperatore, dal quale appunto avevano ricevuto le prerogative feudali, anche le nostre vallate si inserirono nel contesto delle vicende del Ducato di Milano e più specificatamente della Contea Pavese, eretta in Principato il 12 giugno 1499.
I Visconti
La soggezione ai Visconti non fu pacifica in tutti i nostri Feudi, se nel 1368 Galeazzo II Visconti ordinò la distruzione del Castello a Nivione (Cfr. Doc. -a) e, nel 1375, mandò ad espugnare la rocca di Montalfeo, dipendente dai Malaspina Godiaschesi. Pure Gian Galeazzo Visconti (1398), per l’ostinata volontà dei Marchesi di Godiasco di non rendergli atto di sottomissione, si trovò nella necessità di distruggere il borgo e di occupare i luoghi fortificati di Piumesana e di Pozzolgroppo. Nel 1411 i Marchesi di Godiasco e di Montesegale si ritrassero dalla sottomissione a Filippo Maria Visconti. Allora il duca ordinò al famoso Conte di Carmagnola di muovere guerra contro i due Marchesi ribelli, i quali si dovettero arrendere per fame. Questo fu l’ultimo episodio guerresco verificatosi a Godiasco, ma non l’ultimo della serie provocata dai Marchesi godiaschesi.
Gli Sforza
Infatti, un secolo dopo (1514), il Duca Massimiliano Sforza spedì le sue truppe contro il marchese Bernabò, reo tra l’altro di aver liberato il Cardinale Giovanni de Medici (poi Papa Leone X) mentre veniva forzatamente condotto in Francia (Cfr. Doc. b). Benarbò Malaspina di Godiasco sostò nella inaccessibile rocca di Cella di Varzi, ma, per il tradimento di un certo Petrus Oagninus, dal fortilizio fu, condotto a Voghera, fu squartato vivo il 20 settembre 1514.
Dipendenza straniera
L ’Oltrepò Pavese, come pure il vicino Bobbiese, condividendo le sorti dello Stato di Milano, passò dal dominio francese a quello spagnolo con la Pace di Chàteau-Cambresis (1559) e vi rimase fino al passaggio sotto quello austriaco in forza dei Trattati di Utrecht (1713) e di Rastadt (1714). Dopo un trentennio circa di appartenenza alla Casa d ’Austria, col Trattato, di Worms (settembre 1743), l’Oltrepò Pavese, diviso in Vogherese e Bobbiese, fu ceduto da Maria Teresa d’Austria a Carlo Emanuele III di Savoia, in ricompensa dell’appoggio prestatole nella guerra di successione austriaca, mentre Pavia e il suo intorno invece continuò ad appartenere alla Corona austriaca.
Governo Piemontese
Il Trattato di Aquisgrana (1748) confermò al Re di Piemonte e di Sardegna la cessione fatta cinque anni prima.
La Provincia di Voghera
Nel medesimo anno il Governo piemontese eresse Voghera a capoluogo di Provincia, comprendente non solo l’Oltrepo Pavese e il Bobbiese, ma anche parte del territorio dell’attuale Provincia di Alessandria.
Napoleone Bonaparte
Napoleone Bonaparte, vittorioso nelle «campagne» d’Italia, inserì il Vogherese nel dipartimento di Genova, dipendente direttamente dalla Francia. La fine dell’epopea napoleonica e la reintegrazione in Europa dell’equilibrio pre-rivoluzionario, operata dal Congresso di Vienna (1815), ripristinò le condizioni politiche del 1748, che perdurarono fino al 1859.
La Provincia di Bobbio
Nel 1815 anche Bobbio era stata elevata a sede di Provincia e ciò a spese di quella di Voghera. Relativamente al territorio dell’attuale Comunità Montana, la nuova Provincia di Voghera comprendeva allora (1815) i Comuni di Godiasco, Montesegale, Rocca Susella, Borgoratto Mormorolo, Staghiglione, Montalto Pavese, Trebbiano, Pizzocorno, S.Ponzo, Cecima quella di Bobbio invece i Comuni di Pregola, S. Margherita, Cella di Bobbio, Menconico, Varzi, Pietragavina, Sagliano-Crenna, Bagnaria, Val di Nizza, S. Albano, Fortunago, Ruino, Valverde, Zavattarello e Romagnese.
La Provincia di Pavia
Nel 1859, in seguito alla seconda guerra d’indipendenza, la nuova provincia di Pavia, inglobò i territori tradizionali, già appartenenti al glorioso Principato. Perciò le pertinenze politico-amministrative delle provincie di Voghera e di Bobbio furono aggregate a Pavia e i due capoluoghi vennero ridotti al rango di sede di Circondario, conservando la precedente superficie territoriale provinciale.
Vita della nostra gente
Le popolazioni locali non avvertivano però, se non minimamente, i cambiamenti che, lungo il corso dei secoli, si verificavano nel Governo della zona. Per loro si trattava sempre di ubbidire e di lavorare, onde condurre una esistenza tranquilla e produrre quelle derrate indispensabili al proseguimento della vita, la meno grama possibile.
Artigiani e burocrati
Solo le popolazioni di Varzi, Godiasco, Rivanazzano, Zavattarello conducevano una esistenza meno stentata, già dai secoli” alto-medioevali (XI -XV). In queste località fiorì quella schiera di uomini d’arme e di artigiani (fabbri, maniscalchi, calzolai...) che provvedevano alla difesa del castello e del borgo e alla costruzione di quei manufatti indispensabili alla vita della popolazione. Si formò pure un ceto di persone addette al funzionamento della giustizia e della adeguata applicazione delle leggi statutarie, ai pubblici servizi (manutenzione della viabilità, regolazione delle acque, stima di beni, controllo dei pesi e misure, banditori di ordini marchionali, esattori…).
Varzi e il commercio
I centri menzionati, ma in modo speciale Varzi, si affermarono come luoghi di sosta e di ristoro per le numerose carovane di cavalcature in transito (Cfr . Doc. c). I Marchesi Malaspina infatti, costituirono dei procuratori che favorissero la sicurezza dei viaggiatori e dei mercanti diretti nel bobbiese, nel piacentino e nel genovese e stipularono coi Pavesi convenzioni particolari, relative ai traffici commerciali tra Pavia e Genova attraverso le valli Staffora e Trebbia. In margine alle attività commerciali si affermavano tutte le infrastrutture ad esse inerenti: taverne e stallazzi, botteghe di sellai e maniscalchi. Del movimento commerciale nelle nostre valli, Varzi si trovò indubbiamente privilegiata se ebbe l’autorizzazione al cambio di moneta e alla riscossione del pedaggio. Nelle nostre valli passava pure (consenzienti i Malaspina) un rigoglioso commercio clandestino di sale che, dal litorale ligure, era diretto a Voghera, Pavia, Milano e perfino a Bellinzona. Commercio illegale quest’ultimo che rappresentò la più notevole delle eccezioni e conferma quel modo di vita semplice ed onesto della nostra pacifica e laboriosa popolazione.
Gente onesta
Sì, gente pacifica e laboriosa, che agisce giustamente e non gradisce le ingiustizie; che ha amato ed ama la propria libertà e l’ha difesa e la difende dai vari totalitarismi; che purtroppo ha dovuto soccombere dinanzi alla forza degli esosi dominatori stranieri nei secoli XVI-XIX. Nel 1° decennio dell’800, a Zavattarello furono inviati dal governo francese adeguati rinforzi di gendarmi per tenere sotto controllo le popolazioni, scese in rivolta perchè esasperate dalle continue guerre napoleoniche, che richiedevano indiscriminate coscrizioni, requisizioni di cavalcature, buoi e cereali, tassazioni e spogliazioni continue.
Unità d’ltalia
Allorchè nel dominio delle nostre vallate, al francese succedette il Governo piemontese e quindi tutta l’Italia fu unita al Regno di Piemonte (1861), la vita quotidiana delle popolazioni locali, non più turbata da alcun torbido politico e militare, seguitò secondo quel caratteristico ritmo tradizionale di laboriosità (Cfr. Doc. d).
Vie di comunicazione
Le antiche vie (sentieri e mulattiere), intersecanti il nostro Appennino, intermedio tra il litorale ligure-tirrenico e la pianura padana, furono messe in crisi dalla lenta e silenziosa evoluzione del secolare ritmo di vita, divenuto più sensibile agli spostamenti commerciali e ai contatti umani. Alla Strada Statale n. 461 Voghera-Varzi-Bobbio aperta al traffico nel 1852, si aggiunsero, intorno al 1870, la Godiasco-Val Ardivestra e la Casteggio-Val Coppa-Borgoratto Mormorolo; nel 1880 la Ponte Nizza-S. Albano, che successivamente proseguì sia verso Torre degli Alberi sia verso Valverde-Bivio di Zavattarello; nel 1874 la Varzi-Zavattarello, mentre, già dal 1867, era iniziato il tronco Stradella – Val Versa – Zavattarello e nel 1880 la diramazione tra Zavattarello e Romagnese; nel 1890 da Varzi partiva la provinciale del Brallo attraverso Casanova Staffora. Si era cioè tracciata quell’ossatura viaria, ampliata ed asfaltata in seguito ed ulteriormente arricchita di nuovi collegamenti: vie comunque che hanno offerto maggior vivacità e favorito il sorgere di nuovi insediamenti.
Riforma del 1923
La Riforma burocratico-amministrativa, iniziata dal Governo dell’epoca ( 1923) , abolì i Circondari di Voghera e di Bobbio e quasi dimezzò il numero dei Comuni, unificandoli. Il Bobbiese, propriamente detto, passò alla Provincia di Piacenza, come pure, in un primo tempo i Comuni dell’alta Val Tidone: Romagnese, Zavattarello e Ruino.
La «Provincia Madre»
La popolazione di questi Comuni, intimamente legata a Pavia, reagì alle decisioni governative con proteste scritte, indirizzate alle competenti Autorità provinciali e centrali. Dopo varie vicende, tra cui la cosiddetta “marcia su Bobbio” degli uomini dell’alta Val Tidone, si effettuò il referendum del 27 febbraio 1925, che stabilì, quasi al 100%, la volontà di appartenere a Pavia, la “Provincia Madre”: volontà accettata finalmente anche dalla Camera di Roma, a grandissima maggioranza (Cfr. Doc. e). A riforma attuata, i Comuni della zona considerata, assommavano a quindici: Pregola, S. Margherita Staffora, Menconico, Varzi, Ponte Nizza, Val di Nizza, Godiasco, Montesegale, Fortunago, Borgoratto Mormorolo, Borgo Priolo, Montalto Pavese, Ruino, Zavattarello e Romagnese. La riduzione del numero dei Comuni aveva, come fu detto, tra gli altri scopi, anche quello di formare “organismi più efficienti e con maggiori possibilità di sviluppo economico”. Non subirono rilevanti modificazioni territoriali i Comuni di Brallo di Pregola, Menconico, Romagnese, Ruino, Fortunago, Montesegale, Rocca Susella, Borgoratto Mormorolo e Godiasco; mentre quelli di S. Ponzo, Pizzocorno, Trebbiano e Cecima costituirono il nuovo Comune di Ponte Nizza; VaI di Nizza assorbì S. Albano; Zavattarello inglobò Valverde ; Varzi unifìcò i Comuni di Bagnaria, Sagliano e metà à andò ad ingrandire il Comune di S. Margherita Staffora.
L ’ultimo dopoguerra
Tali delimitazioni amministrative si mantennero inalterate fino al 1947, anno in cui Bagnaria riacquistò al sua autonomia. Nel 1956 gli ex-comuni di Cecima e di Valverde ridivennero indipendenti rispettivamente da Ponte Nizza e da Zavattarello. Nessun’altra modificazione è intervenuta fino ad ora; per cui i Comuni che attualmente formano la Comunità Montana dell’Oltrepò Pavese assommano a diciannove e si denominano precisamente: Brallo di Pregola. S. Margherita Staffora, Menconico, Varzi, Bagnaria, Ponte Nizza, Val di Nizza, Cecima, Godiasco, Rocca Susella, Montesegale, Fortunago, Borgoratto Mormorolo, Montalto Pavese, Borgo Priolo, Ruino, Valverde, Zavattarello e Romagnese.

CULTURA
La musica dell'Oltrepò pavese, compreso nell'area delle Quattro Province, è tradizionalmente eseguita con piffero dell'Appennino, müsa e fisarmonica. La müsa, una cornamusa appenninica a un solo bordone, è forse lo strumento più caratteristico e che attira le maggiori curiosità. Al giorno d'oggi vi sono solo un paio di costruttori e anche i suonatori sono rimasti in pochi. Lo strumento cadde in disuso a inizio del XX secolo, soppiantata dalla più moderna fisarmonica. Negli ultimi anni è ricomparsa ed è tornata ad accompagnare il piffero, unendosi addirittura alla fisarmonica. È possibile ascoltare i suonatori di questi strumenti alle feste da ballo nei paesi e nelle frazioni montane (o in quelli delle tre province limitrofe) o in alcuni festival folkloristici che si tengono in estate.
In occasione di sagre, feste del patrono, festival folkloristici, celebrazioni della Pasqua (Romagnese) o del Carnevale è possibile assistere all'esibizione degli strumenti tipici che eseguono musiche da ballo come la giga (a due o a quattro), la monferrina o l'alessandrina. In particolare il paese di Cegni ha conservato la tradizione del carnevale, con la storia della povera donna che deve sposare l'uomo brutto che viene rappresentata con la partecipazione di tutta la frazione e di molti turisti il sabato grasso e il 16 di agosto. Presente la tradizione del calendimaggio che nell'alta val Tidone prende il nome di galina grisa.
ECONOMIA
Sono coltivati soprattutto la vite (vino marchio D.O.C. Oltrepò Pavese) in collina, frumento, mais e barbabietola da zucchero nella pianura (che, a differenza del resto della provincia di Pavia, è asciutta).
Nella fascia collinare, ricca di vigneti, vi sono oltre 4000 cantine, che danno lavoro a una discreta quantità di residenti e muovono un discreto giro d'affari.
Nella fascia montana, un territorio poco conosciuto, lavorano ancora piccoli produttori di formaggi, miele, salumi (salame di Varzi), frutta, produttori che hanno scelto di allevare animali autoctoni in via d'estinzione, produttori che con il loro operato lottano contro l'abbandono del territorio e contribuiscono al recupero dei terreni incolti, e ristoratori che utilizzano questi prodotti per riproporre i piatti tipici.