
METODOLOGIA GENERALE DI UNA RICERCA GENEALOGICA
La ricerca genealogica prevede una metodologia, suddivisa in quattro tappe, che deve essere seguita in modo sistematico. In primo luogo, si acquisiscono documenti che forniscono dati di carattere genealogico (date di nascita, di morte, di battesimo, di matrimonio e relativi nomi), tramite una ricerca negli archivi dello stato civile, degli archivi parrocchiali o degli archivi di stato (questi ultimi purtroppo, per ragioni di tempo ma anche per poca esperienza e competenza, non sono ancora riuscito a visitarli). Successivamente, si ricavano i dati genealogici di interesse e si procede alla loro elaborazione: classificazione dei dati e costruzione delle diverse linee di ascendenza e discendenza. Infine, si redige un testo, in cui vengono illustrate le metodologie adottate durante le ricerche e le fonti consultate, che comprende anche una tavola genealogica sulla quale sono riprodotti i risultati ottenuti.
Durante l'attività di ricerca il “genealogista” (di certo io non lo solo, non mi considero assolutamente un professionista ma sto cercando di fare del mio meglio) può incontrare diversi problemi (ne ho incontrati tantissimi dato che non sapevo bene a cosa andavo incontro), che molto spesso sono causati dalla mancanza di dati genealogici relativi ai soggetti di interesse. Tali problematiche possono essere provocate da numerosi fattori: la distruzione intenzionale o casuale dei documenti (incendi per prevenire il diffondersi di malattie contagiose, guerre, conflitti, deterioramento naturale dei documenti dovuto alle condizioni del luogo in cui sono eventualmente collocati i documenti), la mancanza di istituzioni ufficiali e ordinamenti giuridici riguardanti l'andamento demografico della popolazione (stato civile, anagrafe ecc). Sicuramente il fattore “epoca” è quello che più influisce sulla ricerca genealogica. Difatti la disponibilità delle fonti è molto diversa a seconda del periodo in cui è vissuto il soggetto da studiare e la sua famiglia.
Problematiche tipiche
Il percorso, che porta il genealogista (se posso indegnamente considerarmi tale) all'individuazione dei soggetti e delle relazioni, ed alla costruzione dell'albero genealogico del ceppo familiare, non è privo di ostacoli. I problemi da affrontare sono essenzialmente quattro: incertezze di data, varianti del nome, incertezze di relazione e omonimie, incertezze sulla lettura di contenuto in lingue e/o in scritture non usuali. Tali problemi possono presentarsi in misura diversa, a seconda della quantità di dati genealogici che si è riusciti a raccogliere. Tuttavia, la raccolta di dati genealogici presuppone una ricerca sulle fonti (pubbliche e private) che non sempre porta a risultati soddisfacenti, a causa della scarsità dei dati genealogici presenti e, spesso, anche alla poca collaborazione di chi ci mette a disposizione le stesse fonti (gli interlocutori – archivisti, impiegati, parroci - poco disponibili o addirittura che impediscono la consultazione dei volumi).
ESPERIENZA SULLE RICERCHE GENEAOLOGICHE FAMIGLIARI
Quello che sai tu è il punto d’inizio della tua ricerca.
Si parte dalle cose facili, trascrivendo le informazioni di tutti i parenti che conosci. I dati fondamentali sono nome e cognome con eventuali soprannomi, professione, luoghi e date di nascita, morte e matrimonio. Fratelli, genitori, zii, nonni, cugini, chiunque ti venga in mente. I luoghi sono davvero importanti quando si fa ricerca genealogica in Italia: se è possibile, segnare la parrocchia esatta in cui si sono tenuti eventi religiosi come matrimoni, battesimi, morti. E una volta le parrocchie erano veramente tante ed indipendenti; anche le frazioni dei paesi erano parrocchie autonome e ognuna di esse aveva un archivio[1]
Chiedi a tutti cosa sanno.
Come sopra: fratelli, genitori, zii, nonni, cugini, eccetera. Domande tipo possono essere: ti ricordi il nome di tuo nonno/nonna? Ti ricordi quando è nato/morto? Dove? Sai che lavoro faceva? Sai se aveva fratelli? E poi: ricordi come si chiamavano i genitori di tuo nonno/nonna? Tutti all’inizio sono imbarazzati e dicono che non si ricordano niente: porta pazienza. Un metodo efficace per raccogliere dati essenziali è procedere per aneddoti, che vengono sempre più naturali di informazioni schematiche.
Una buona idea può essere quella di registrare le interviste che si fanno, in maniera da conservare una copia di tutte le storie che vengono raccontate. Non si sa mai cosa potrebbe tornare utile. Faccio un esempio: se si ha ancora la fortuna di avere la bisnonna ancora lucidissima di mente, questa potrebbe raccontarti dettagliatamente di quando era piccola, dei suo genitori, dei suoi nonni quindi in un normale discorso potrebbero uscire notizie di almeno 5 generazioni oltre la tua[2].
Fatti un bel giro al cimitero. O a vari cimiteri.
Date mancanti e altre informazioni possono essere raccolte facilmente: basta trovare la lapide del tuo antenato! Lo so, è un po’ macabro, ma d’altronde cosa ti aspettavi? Molti comuni hanno un ufficio cimiteriale dove, dando nome e data approssimativa di morte, può essere rintracciata la posizione di una sepoltura, altri invece vai a naso e “te lo devi girare tutto da cima a fondo”.
Questo è il primo momento in cui ti tornerà utile aver parlato con i tuoi parenti ed esserti segnato la parrocchia di appartenenza: soprattutto se ci sono diversi cimiteri, saprai dove andare a cercare. Tieni gli occhi bene aperti! Spesso persone imparentate sono sepolte vicine, e questo può fornire altri nomi e luoghi a cui agganciarsi.
Frugare cassetti, rivoltare soffitte, svuotare armadi.
In teoria questo punto potrebbe venire fatto insieme al punto 2, ma mostrare un minimo di ricerca già effettuata di sicuro renderà i tuoi parenti più propensi a lasciarti investigare nelle loro case. Gli oggetti più inaspettati possono tornare utili: fotografie, santini da morto, annunci di nascita, partecipazioni di matrimonio, ritagli di giornale. Questa fase è un po’ caotica, ma riordinato questo materiale, ti stupirai di quante informazioni hai già raccolto! Già che ci sei, ti conviene scansionare le foto che ti interessano e archiviarle ordinatamente.
LA RICERCA VERA E PROPRIA
Un po’ di ricerche storiche sui luoghi in cui la mia famiglia ha vissuto.
Per via della storia d’Italia, che è complicata e frammentata, questo è il punto in cui si deve indagare sul tipo di documentazione presente nella tua area. Ci sono infatti due tipi di registri: quelli canonici e quelli civili.
I registri canonici sono quelli tenuti dalle parrocchie. Il Concilio di Trento (finito nel 1563) li rese un compito obbligatorio per i parroci, ma non c’era un modo univoco di compilarli. Alcune parrocchie hanno registri che vanno molto più indietro del 1500, altri hanno a malapena quelli obbligatori. Si trovano nelle parrocchie dove sono stati scritti, oppure nelle Curie Vescovili. Quando va bene i registri sono ben tenuti e curati, quando va male ci si trova di fronte ad un archivio lasciato all’incuria sia del parroco (che magari non è nemmeno residente li) che del tempo o addirittura del luogo in cui l’archivio è conservato, poco adatto a mantenere sani dei registri di oltre 500 anni (in cantina, nella vecchia canonica disabitata, dentro un campanile e così via).
I registri civili sono quelli tenuti dall’amministrazione Statale. Prima dell’unità d’Italia (1861 e seguenti, a seconda della regione) non c’era un modo univoco di tenere i registri, cosa completamente dipendente da chi governava l’area in un certo momento storico.
Durante il periodo di dominio austroungarico, e per qualche anno ancora dopo l’annessione (1816-1871), le parrocchie fungevano anche da ufficio civile – quindi quei registri si trovano nelle parrocchie. Prima di allora la città era sotto il dominio di Napoleone, che aveva regole molto precise riguardo ad amministrazione e burocrazia – questi registri sono all’Archivio di Stato.
Ci sono due posti dove trovare i registri civili: il Comune e l’Archivio di Stato. I dati post-unificazione possono essere richiesti direttamente al Comune, quelli precedenti si trovano in Archivio, ma di questi ultimi parleremo più avanti.
A seconda di dove ci si trova, anche i documenti post-1861 si possono trovare in Archivio Di Stato, dopo che il tribunale (che riceve tutte le registrazioni del comune in copia) periodicamente deposita i suoi documenti in Archivio. Prima di fare qualsiasi ricerca, è necessario fare un po’ di analisi storica, capire cosa è dove e organizzare un po’ le idee.
Una volta scelto il punto da cui partire – il più facile, quindi di solito un nonno o un bisnonno di cui si hanno date di nascita o morte certe – si deve capire dove si trovano i registri che ti servono, e da lì riparte la ricerca.
Chiedere al prete.
Partiamo dai registri canonici, che sono conservati in ogni parrocchia e sono davvero ottimi se il nucleo della famiglia non si è spostato più di tanto (è stato anche il mio caso, fortunatamente). A differenza degli uffici pubblici, i preti possono fare quello che vogliono coi loro registri. Se salta fuori il prete diffidente che non ti farà mai vedere niente, è un bel guaio. Ancora peggio è se la parrocchia non ha conservato diligentemente i registri: non serve un genio per capire che tenere libri vecchi 500 anni in uno scantinato non è la soluzione ideale, ma succede anche questo. Se la parrocchia è ospitale, questo è certamente il punto migliore per cominciare la nostra ricerca. Gli atti che possiedono sono in genere battesimo, matrimonio e morte/sepoltura; a volte ci sono anche comunioni e cresime.
Su ogni documento è annotata la data di nascita, il nome dei genitori e certe volte anche la loro età, e in questo modo è facile andare all’indietro a catena. Un altro documento da tenere d’occhio sono gli Stati d’Anime, cioè una specie di censimento ante litteram. Durante la visita periodica alle famiglie, il parroco annotava i nomi, le età e i mestieri di ogni componente di ogni nucleo familiare – quindi ci sono veramente un sacco di dati! Le famiglie erano dette anche “fuochi” per indicare quanti focolari domestici c’erano nella parrocchia e i componenti di tali fuochi erano le “anime”, cioè i famigliari che convivevano.
Nel passato molto più di adesso, le famiglie abitavano spesso in case vicine: siccome il prete andava via per via, spesso si possono trovare rapidamente nonni e zii nel vicinato.
Chiedere al Comune.
Salvo documenti secretati, dopo settanta anni da un evento, il documento relativo diventa di dominio pubblico, quindi le amministrazioni civili sono tenute a dartene una certificazione. Una cosa importante è che il comune non fa ricerche per nessuno: bisogna pertanto avere dati precisi e richieste precise, ai quali risponderanno con il singolo documento richiesto.
Ci sono due cose che si possono richiedere al Comune.
Il primo tipo (gratis) si richiede all’ufficio di Stato Civile e può essere un certificato di nascita, matrimonio, o morte. La cosa che però dà più informazioni è il certificato anagrafico storico. Guarda quanti dati utili! Tutti in un posto! A questo punto puoi mandare un’altra richiesta con i dati del padre e andare indietro quindi a catena fino all’unità d’Italia.
GLI ARCHIVI DI STATO
Registri civili pre-unità d’Italia. Come abbiamo già detto prima, i registri pre-unità d’Italia esistono e sono tenuti in maniera completamente diversa a seconda di chi dominava l’area. Francesi? Austriaci? Spagnoli? Ma anche: in che stato di conservazione sono questi documenti? Te li lasciano toccare o sono diventati fragili come pergamena del Nilo e non ti puoi avvicinare? Ci sono microfilm?
A meno che questi registri non siano indicizzati digitalmente, è un po’ una palla sfogliare enormi libroni con liste e liste di nomi, ma è sempre soddisfacente riuscire a beccare un antenato.
Registri catastali. Cioè documenti che si riferiscono a beni immobili, cioè case, terreni e quant’altro. Quelli vecchi si trovano generalmente all’Archivio di Stato, dove del personale competente potrà aiutarti a consultarli, perché sono documenti un po’ complicati. Si trovano nomi, parentele, date di morte, perché sono registrate anche le eredità.
Atti dei notai defunti. Se negli atti catastali e negli estimi rintracci i nomi dei notai che hanno seguito la procedura, sei a cavallo. In genere una famiglia aveva/ha un notaio di fiducia: spulciando gli atti del notaio, si possono trovare testamenti, costituzioni di dote, accordi vari, quindi altri nomi, date, curiosità.
Gli atti dei notai si trovano in primis agli archivi notarili (consultazioni costose, purtroppo), mentre i più antichi sono negli Archivi di Stato.
Se si è bravi e fortunati, tra catasto e atti dei notai si può arrivare anche fino al 1400 se non più indietro.
Tutto il resto. A questo punto, la ricerca differisce da famiglia a famiglia. Il mondo è pieno di documenti interessanti – vecchi registri scolastici, cartelle cliniche, diplomi, documenti militari, liste dei passaggeri delle navi degli emigranti – che dipendono dalla storia di una persona o di una famiglia.
Tra le cose preferite che mia madre ha raccolto durante gli anni ci sono le cartelle cliniche del nostro antenato richiuso in manicomio a Venezia, le pagelle di vari avi, i diplomi del trisnonno che ha partecipato alla presa di Roma, la lista della dote di una mia trisnonna, gli stati di servizio del mio bisnonno ferroviere… Con fantasia, pazienza e una certa faccia tosta si può raggranellare davvero di tutto. Buona fortuna!
[1] Per esempio Pieve del Cairo, Cairo (oggi sono unite), Gambarana, San Martino la Mandria (oggi sono unite), Gallia, Galliavola (oggi sono unite)
[2] Considerando una normale generazione in 25 anni circa, se tu hai 20 anni, tuo padre ne ha 45, tuo nonno 70, il tuo bisnonno lucidissimo potrebbe essere ancora vivente ed avere 95 anni. Se si ricordasse tutto, potrebbe parlare di suo nonno che se fosse ancora vivente avrebbe 145-150 anni e potrebbe aver raccontato a suo nipote cose ancora più vecchie. Bisogna affrettarsi ad annotare queste cose perché i nostri nonni, bisnonni, sono una fonte di informazioni fondamentale e raccontano quella storia che potrebbe sfuggire da un giorno con l’altro.
LE FONTI DA CUI HO ATTINTO PER LA RICERCA
Le fonti importanti e più comuni per riuscire a svolgere una ricerca genealogica sono date dagli atti dello stato civile e dagli atti parrocchiali.
LO STATO CIVILE
Lo stato civile è costituito da un complesso di disposizioni di legge che regolano la registrazione dei dati, da parte dei Comuni, delle nascite, dei matrimoni e delle morti di tutti i cittadini. Pertanto, dal punto di vista genealogico, lo stato civile ha riservato per me un’importanza notevole. Dal 1866 ad oggi, i registri dello stato civile vengono regolarmente e sistematicamente aggiornati. Ogni volume, quinquennale o decennale, organizzato dettagliatamente con indici contiene tutti di documenti. Tre diversi periodi li contraddistinguono: dal 1866 al 1874 gli atti venivano scritti a mano senza seguire un formulario ben stabilito (e chi scriveva vantava un’ottima calligrafia), dal 1875 fino al 1908 i dati, inseriti sempre a mano, venivano collocati secondo formulari prestamapati mentre dal 1908 tutti gli atti venivano redatti in formulari prestampati arricchiti di nuovi e più numerosi dati, importantissimi per la genealogia della persona in questione che si cercava. I documenti sono pubblici, consultabili e volendo, è anche possibile farsi rilasciare un certificato dall’Ufficiale dello stato Civile.
Unicamente per curiosità informo che la legge che regola lo stato civile oggi in Italia è il Regio Decreto 9 Luglio 1939 n. 1238 chiamato “Ordinamento dello stato Civile”. Lo stato civile non è nato nel 1939 ma molto prima, nel novembre 1865, pochi anni dopo l’unità d’Italia. Pertanto solo dal 1866 è possibile rintracciare tutti i documenti citati.
La Storia dei registri di stato civile italiano: in Italia ha radici antiche. Negli ultimi tempi si stanno rendendo disponibili, tra gli altri, i registri dei periodi storici seguenti:
- Stato civile Napoleonico (SCN 1805-1815) Napoleone introdusse la pratica di tenere dei registri di stato civile in alcune zone dell’Italia fin dal 1806, pratica che fu rigidamente attuata fino a quando egli perse il potere, nel 1815. Per questo motivo, in genere, i registri napoleonici coprono il periodo dal 1806 al 1815.
- Stato Civile della restaurazione (SCR 1815-1865) I documenti di questo periodo sono raccolti in quello che viene talvolta chiamato, almeno nell’Italia meridionale, “Stato civile borbonico”. La ragione è che Ferdinando I di Borbone, re di Napoli, dettò dei cambiamenti relativi ai registri di stato civile napoleonici e al modo in cui dovevano essere tenuti. Sebbene questo tipo di registri fosse stato introdotto nell’Italia meridionale e nel Regno di Napoli già nel 1809, i Borbone lo reintrodussero nel 1816. In Sicilia, questo metodo di registrazione fu adottato solo a partire dal 1820.
- Stato Civile Italiano (SCI 1866-oggi) Nel 1866 si è cominciato a tenere i registri di stato civile italiani con più uniformità in tutta Italia. Nel corso di quell’anno nacque ufficialmente lo Stato civile italiano, che raccoglie gli atti redatti sotto il governo italiano. Prima del 1866, questi documenti venivano generalmente scritti a mano perché i moduli prestampati non venivano sempre forniti. Intorno al 1875, invece, i moduli stampati divennero prevalenti e molti dei nomi delle giurisdizioni italiane iniziarono a cambiare. Nella provincia di Roma non si è iniziato a tenere i registri prima del 1871.
L’ARCHIVIO PARROCCHIALE
L’archivio parrocchiale è l’istituto che conserva la documentazione prodotta nell’ambito delle attività proprie della parrocchia e delle sue funzioni di culto, pastorali e amministrative.
La documentazione conservata negli archivi parrocchiali è una fonte pressoché unica ed esclusiva per la storia della Chiesa stessa, ma anche per la storia di tutti quei piccoli agglomerati urbani e rurali diffusi sul territorio nazionale. È infatti testimonianza dell’attività di una chiesa amministrata dai parroci nel tempo, ma anche delle vicende di un territorio con la sua popolazione: per questo motivo l’archivio parrocchiale può essere ben definito come “archivio dei luoghi e degli uomini che in quei luoghi hanno vissuto”, perché vi è riflessa, oltre alla vita religiosa, anche la realtà culturale, socio-economica, civile e politica. Gli archivi delle parrocchie possono essere molto antichi. Alcuni conservano documenti a partire dal tardo medioevo, ma è solo a partire dal secolo XVI che i parroci sono stati obbligati a tenere un archivio parrocchiale.
In genere sono conservati presso la chiesa parrocchiale, ma non mancano casi in cui, per i più vari motivi, il complesso archivistico è stato trasferito altrove, presso un’altra parrocchia o nell’Archivio diocesano. Gli archivi parrocchiali presentano tratti comuni tra di loro, dovuti all’osservanza di una comune normativa canonica, ma posseggono anche proprie specificità legate alla storia locale e alle caratteristiche distintive di ciascun territorio. Il Codice di diritto canonico (can. 535 § 4) prescrive infatti che nell’archivio parrocchiale siano «custoditi i libri parrocchiali, insieme con le lettere dei Vescovi e gli altri documenti che si devono conservare per la loro necessità o utilità».
Nel 1999 la Conferenza Episcopale Italiana, con articolate disposizioni per la tutela della riservatezza, ha rivendicato il diritto proprio della Chiesa cattolica di acquisire, conservare e utilizzare per suoi fini istituzionali i dati relativi alle persone dei fedeli, agli enti ecclesiastici e alle aggregazioni ecclesiali, e ha ribadito il diritto del fedele alla buona fama e alla riservatezza. Perciò, gli archivi parrocchiali non sono di norma aperti alla consultazione degli studiosi, ma solo riservati alle funzioni proprie delle parrocchie, esercitate dai parroci.
Documentazione conservata: Negli archivi parrocchiali si custodiscono in primo luogo i libri parrocchiali, cioè dei battezzati, dei matrimoni, dei defunti ed eventualmente altri libri secondo le disposizioni date dalla conferenza dei Vescovi o dal Vescovo diocesano (Codice di diritto canonico, can. 535 § 1). La Conferenza Episcopale Italiana ha ampliato la lista dei libri parrocchiali obbligatori e ne ha consigliato la tenuta di altri, che oggi arricchiscono gli archivi parrocchiali. Sono libri obbligatori: quelli dei catecumeni, dei battezzati, il registro delle cresime, il libro dei matrimoni, dei defunti, il registro delle Messe, dei legati, delle entrate e delle uscite, dell’amministrazione dei beni; sono libri raccomandati: il registro dello status animarum, delle prime comunioni, della cronaca parrocchiale.
A un archivio parrocchiale, tuttavia, si possono aggregare nel tempo, e per i più svariati motivi, anche fondi di altri soggetti ecclesiastici o civili, pubblici o privati. Per questa ragione l’archivio parrocchiale può anche essere definito come un insieme di fondi o un complesso documentario
Storia: La nascita degli archivi parrocchiali non è databile con certezza. In alcuni le prime serie documentarie risalgono anche alla fine del Trecento, ma la pratica da parte dei parroci di conservare i documenti parrocchiali è attestata generalmente dalla metà del XV secolo. Il Concilio di Trento ha segnato una svolta importante, introducendo nel 1563 l’obbligo dei libri cosiddetti “parrocchiali” o “canonici” (libri baptizatorum, confirmatorum, matrimoniorum, mortuorum), a cui si sono aggiunti dal 1614 gli stati delle anime (status animarum). Nel corso del XVII secolo, poi, sono state emanate disposizioni sulla loro corretta compilazione e conservazione, mentre norme sinodali e decreti episcopali sollecitavano una buona organizzazione degli archivi parrocchiali.
Un documento importante per la storia degli archivi parrocchiali è rappresentato dalla costituzione apostolica di Benedetto XIII Maxima vigilantia del 14 giugno 1727. Con essa, infatti, si ampliava la documentazione che i parroci erano tenuti a conservare negli archivi parrocchiali, estesa da allora anche a carte di natura amministrativa, come privilegi, indulti e concessioni delle supreme autorità ecclesiastiche e civili, platee di tutti i beni e delle rendite, autentiche e note di indulgenze, copie di sentenze e atti giudiziali. Il Codice di diritto canonico del 1917 confermò sostanzialmente quanto stabilito nei secoli precedenti, ponendo un’attenzione particolare sui libri canonici. Prevedeva, inoltre, la conservazione delle lettere episcopali e dei registri che si riferivano alle proprietà dei beni parrocchiali, come quelli riguardanti entrate e uscite della chiesa, compagnie, confraternite, associazioni, luoghi pii. L’attuale Codice di diritto canonico, in vigore dal 1983, ha ribadito l’obbligo dei parroci dell’accurata redazione degli atti documentari e della diligente conservazione dei libri parrocchiali. La sua custodia grava sul parroco, che deve prendersi cura della diligente conservazione dei libri, facendo attenzione che non cadano in mani estranee. Al fine di garantire lo scrupoloso adempimento di tali doveri è sottoposto a specifici controlli, esercitati dal vescovo diocesano o da persona da lui delegata, nonché dal vicario foraneo, che ha il diritto-dovere di verificare che i libri parrocchiali siano debitamente custoditi e non vengano perduti o asportati.
Registro dei battesimi
Il libro dei battesimi (liber baptizatorum) è il registro in cui i parroci annotano i nominativi di coloro che hanno ricevuto il sacramento del battesimo. Ogni parroco è tenuto a compilarlo e a conservarlo a partire dalle disposizioni contenute nel decreto istitutivo del Concilio di Trento. Istruzioni relative ai formulari da utilizzare nella compilazione dei dati sono fornite dal Rituale romano del 1583, successivamente riprese in quello del 1614. Secondo le indicazioni stabilite dalla normativa, sui registri dei battesimi i parroci hanno il compito di annotare il nome del battezzato, paternità e maternità, la data del battesimo, il nome del celebrante, i nominativi di padrini e madrine. Vengono aggiunte delle precisazioni in caso di illegittimi, esposti, di battezzati sub conditione o di celebrante differente dal parroco. In base a istruzioni successive e all’accuratezza della compilazione dei parroci, i registri dei battesimi possono riportare informazioni più complete che comprendono, per esempio, anche luogo e data di nascita del battezzato e nome dell’ostetrica. Il Codice di diritto canonico del 1983 prevede che nel libro dei battezzati sia annotato successivamente anche la confermazione e tutto ciò che riguarda lo stato canonico dei fedeli, in rapporto al matrimonio, all'adozione, all'ordine sacro, alla professione perpetua emessa in un istituto religioso e al cambiamento del rito.
Il libro dei battesimi come fonte per la storia: Grazie alle informazioni raccolte insieme alle note relative al sacramento, i Libri dei battesimi sono utili non solo per la conoscenza della situazione religiosa e sacramentale di una parrocchia, ma anche come fonte fondamentale per studi demografici, sociali, giuridici, di onomastica e per ricerche genealogiche,
Dove cercare: Il libro dei battesimi è una tipologia documentaria conservata negli archivi parrocchiali di pertinenza, insieme agli altri libri canonici o parrocchiali (libro dei cresimati, libro dei matrimoni, libro dei defunti e agli stati delle anime). Nel caso di una parrocchia soppressa o accorpata, la loro conservazione può essere affidata anche all’archivio diocesano, dove spesso si trovano serie documentarie costituite dalle copie dei registri dei sacramenti, tra le quali anche i duplicati dei libri dei battesimi, che i parroci sono tenuti a consegnare secondo quanto stabilito da disposizioni vescovili e dal Codice di diritto canonico del 1917, che impone di depositare annualmente in curia vescovile una copia dei libri canonici, eccetto gli stati delle anime.
Storia: L’origine della tenuta di registrazioni relative all’amministrazione del sacramento del battesimo è piuttosto antica. Pur non essendo una prassi generalizzata, esempi di registri di questo tipo sono attestati in Italia già nel XIV e XV secolo. I dati vengono raccolti con finalità differenti rispetto a quelle attuali, per esempio con valore dimostrativo per l’accesso a cariche pubbliche, per garantire la legittimità di una nascita o la cittadinanza di un individuo. Per questo motivo, le registrazioni più antiche possono riportare informazioni relative al battezzato differenti rispetto alle disposizioni tridentine. A partire dal XVI secolo si nota una maggiore attenzione pastorale nella raccolta dei dati.
La produzione dei libri dei battesimi diviene significativa dopo il Concilio di Trento che ne fissa anche modalità di compilazione. La riforma tridentina tratta di questo sacramento nel contesto di quello del matrimonio. La registrazione di padrini e madrine, infatti, permette di verificare ed escludere una cognatio spiritualis, legame che si instaura tra padrino e battezzato, motivo di impedimento per un matrimonio. Ulteriori indicazioni circa i dati da raccogliere nel Libro dei battesimi sono fornite da Gregorio XIII nel Rituale romanum e nel Rituale di Paolo V.
Registro dei defunti
Il libro dei defunti (liber defunctorum) è il registro in cui i parroci annotano i nominativi di coloro che sono morti e la loro condizione sacramentale. La tenuta di questo registro è introdotta dal Rituale romanum del 1614.
Questo tipo di documentazione è piuttosto difforme a seconda dei territori e del periodo in cui sono redatti. Il formulario è fissato dal Rituale, altre norme per la compilazione di questi documenti sono emanate nel corso degli anni da vescovi e cardinali.
Sui registri dei morti i parroci annotano il nome del defunto, la data della morte o della sepoltura, l’età, lo stato civile, la causa della morte, il luogo della tumulazione, il conferimento dei sacramenti, in particolare il sacramento dell’estrema unzione, il sacerdote che ha conferito i sacramenti o accompagnato il defunto.
Il libro dei defunti come fonte per la storia: Grazie alle informazioni raccolte insieme alle annotazioni attinenti al sacramento, i libri dei defunti sono utili, non solo per la conoscenza della situazione religiosa e sacramentale di una parrocchia, ma anche come fonte fondamentale per studi demografici, sociali, giuridici e per ricerche genealogiche.
Dove cercare: Il libro dei defunti è conservato negli archivi parrocchiali di pertinenza, insieme agli altri libri canonici (insieme al libro dei battesimi, libro dei cresimati, libro dei matrimoni e agli stati delle anime).
Nel caso di una parrocchia soppressa o accorpata, la loro conservazione può essere affidata anche all’archivio diocesano, dove spesso si trovano serie documentarie costituite dalle copie dei registri dei sacramenti, tra le quali anche i duplicati dei libri dei defunti, che i parroci sono tenuti a consegnare secondo quanto stabilito da disposizioni vescovili e dal Codice di diritto canonico del 1917, che impone di depositare annualmente in curia vescovile una copia dei libri canonici, eccetto gli stati delle anime.
Storia: Registri simili ai libri dei morti sono rintracciabili dal XIV secolo ma sono compilati con finalità differenti, in particolare quando previsti dal potere civile. Rispetto ad altri libri parrocchiali, le annotazioni delle sepolture si diffondono tardivamente, solo a partire dalla fine del XVI secolo.
L’uso delle registrazioni relative ai defunti è sancito ufficialmente dal Rituale romano di Paolo V del 1614 che ne prescrive la tenuta per le chiese in cui si provvede alla sepoltura dei defunti.
Registro dei matrimoni
Il libro dei matrimoni (liber matrimoniorum) è il registro in cui i parroci annotano i nominativi di coloro che sono stati uniti in matrimonio al fine di registrare l’avvenuta amministrazione del sacramento. Ogni parroco è tenuto a compilarlo e a conservarlo a partire dalle disposizioni contenute nel decreto istitutivo del Concilio di Trento. I dati riportati sui registri dei matrimoni variano, e sono più o meno dettagliati, a seconda della formula utilizzata dai parroci per annotare il sacramento, ma anche in base al contesto in cui viene celebrato il matrimonio (in caso di omissione delle pubblicazioni per dispensa vescovile, di celebrazione su licenza se il ministro non è il parroco o se gli sposi provengono da altra parrocchia o diocesi, in caso di dispensa per consanguineità, etc.). Nel libro dei matrimoni sono indicati, più comunemente, la data della cerimonia del matrimonio e delle tre pubblicazioni canoniche o l’indicazione della dispensa vescovile che ne ha permesso la riduzione a un numero inferiore, il nome e il titolo del celebrante (archipresbiter, presbiter, rector), il nome degli sposi, loro paternità e maternità, parrocchia o luogo d’origine, il nominativo dei testimoni con loro paternità. In alcuni casi i registri dei matrimoni possono riportare anche informazioni più dettagliate riguardo agli sposi come l’età, la professione, l’alfabetizzazione.
Il libro dei matrimoni come fonte per la storia: Grazie alle informazioni raccolte insieme alle annotazioni attinenti al sacramento, i libri dei matrimoni sono utili non solo per la conoscenza della situazione religiosa e sacramentale di una parrocchia, ma anche come fonte fondamentale per studi antropologici, demografici, sociali, giuridici, di onomastica e per ricerche genealogiche.
Documentazione correlata: Accanto ai libri dei matrimoni, che registrano l’atto finale del sacramento amministrato agli sposi, negli archivi parrocchiali sono spesso conservati i documenti preparatori raccolti nel periodo che precede la celebrazione del rito, riuniti in una serie archivistica denominata processetti matrimoniali o pubblicazioni matrimoniali. Nei processetti matrimoniali si possono conservare: il certificato di battesimo e cresima degli sposi, il certificato di morte in caso di vedovanza di uno dei contraenti, eventuali dispense vescovili rilasciate per ridurre il numero delle pubblicazioni o per ovviare ad impedimenti canonici quali la parentela fino al quarto grado di consanguineità per i futuri coniugi.
Dove cercare: Il libro dei matrimoni è conservato negli archivi parrocchiali di pertinenza, tra gli altri libri canonici (insieme al libro dei battesimi, libro dei cresimati, libro dei defunti e agli stati delle anime).
Nel caso di una parrocchia soppressa o accorpata, la loro conservazione può essere affidata all’archivio diocesano, dove spesso si trovano serie documentarie costituite dalle copie dei registri dei sacramenti, tra le quali anche i duplicati dei libri dei matrimoni, che i parroci sono tenuti a consegnare secondo quanto stabilito da disposizioni vescovili e dal Codice di diritto canonico del 1917, che impone di depositare annualmente in curia vescovile una copia dei libri canonici, eccetto gli stati delle anime.
Storia: L’origine della tenuta di registrazioni relative all’amministrazione del sacramento del matrimonio è piuttosto antica. Pur non essendo una prassi generalizzata, esempi di registri di questo tipo sono attestati in Italia già nel XIV e XV secolo. I dati vengono raccolti con finalità differenti rispetto a quelle attuali, per esempio con valore dimostrativo per l’accesso a cariche pubbliche o ancora per garantire la legittimità di una nascita o la cittadinanza di un individuo. Per questo motivo, le registrazioni più antiche possono riportare informazioni relative agli sposi differenti rispetto alle indicazioni tridentine.
La produzione dei libri dei matrimoni diviene significativa dopo il Concilio di Trento poiché si inserisce tra i provvedimenti legati a questo sacramento, tesi a rafforzare le strutture famigliari al fine di impedire l’endogamia.
La compilazione dei registri dei matrimoni viene recepita più lentamente rispetto alla tenuta di altri libri parrocchiali. Il Concordato del 1929 tra Stato e Chiesa riconosce gli effetti civili del matrimonio canonico e, di conseguenza, anche dei documenti ecclesiastici prodotti nell’ambito del sacramento.
Gli stati delle anime
Gli stati delle anime (status animarum) sono dei registri che contengono dati anagrafici e religiosi di una comunità parrocchiale. Ogni parroco è tenuto a compilarli già dal 1614. Questa documentazione è redatta o aggiornata annualmente, di solito in occasione della visita compiuta dal sacerdote nelle case dei parrocchiani per la benedizione pasquale.
Sul registro sono annotati i fedeli secondo i nuclei o fuochi famigliari, intesi non come famiglia naturale, cioè composta da tutti gli individui uniti da vincoli di parentela, ma come comunità comprensiva di chi si è unito alla famiglia per altre ragioni, solitamente economiche, lavorative o per condivisione dell’abitazione. A partire dal capofamiglia, di ciascun individuo sono riportati, generalmente, nome e cognome, età, rapporto di parentela che lo lega al nucleo famigliare, condizione rispetto ai sacramenti di cresima, confessione, comunione o eventuale soddisfazione dell’obbligo pasquale (indicati semplicemente con le sigle C oppure Ch o Chr, Con o Conf, Com a seconda delle usanze locali, più raramente con altri simboli).
Gli stati delle anime come fonte per la storia: Se la compilazione degli stati delle anime è particolarmente accurata, oltre a fissare la situazione religiosa e sacramentale dei parrocchiani, è possibile rintracciare nei registri altre annotazioni importanti quali le relazioni parentali, la condizione lavorativa del capofamiglia, le eventuali attività degli altri componenti, la presenza di domestici, i nomi delle vie e delle contrade, la proprietà o meno dell'abitazione.
Questa documentazione, dunque, può costituire una fonte importante per studi demografici, sociali, di toponomastica e per ricerche genealogiche.
Dove cercare: Gli stati delle anime sono conservati negli archivi parrocchiali di pertinenza, tra gli altri libri canonici o parrocchiali (insieme al libro dei battesimi, libro dei cresimati, libro dei matrimoni e libro dei defunti).
Nei casi di parrocchie soppresse o accorpate, la loro conservazione può essere affidata all’archivio diocesano di pertinenza.
Storia: A differenza del libro dei battesimi e del libro dei matrimoni, la cui tenuta è istituita e regolamentata a partire dal Concilio di Trento, gli stati delle anime sono introdotti dalla costituzione Apostolicae sedis di Paolo V del 1614.
Le disposizioni contenute nel documento pontificio prescrivono al parroco di annotare tutti i componenti dei nuclei familiari della parrocchia al fine di verificarne la soddisfazione dell’obbligo del precetto pasquale.