LA LOMELLINA oggi

 

(Ümléna in lombardoLumlìna in dialetto lomellinoLümleina  in piemontese) è una regione italiana, sita nella zona sud-occidentale della Lombardia compresa tra il Sesia a occidente, il Po a occidente e a mezzogiorno, il Ticino a oriente e il Basso Novarese a settentrione. Di là dal Sesia confina con il Monferrato, mentre a meridione del Po con il Tortonese e l'Oltrepò Pavese. Oltre il Ticino i confini sono spartiti con il Pavese e il Milanese. Territorio da sempre con forte vocazione agricola, ha nel capoluogo Vigevano uno dei principali centri industriali dell'Italia settentrionale, oltre che capitale storica della produzione di calzature. Comprende 57 comuni (214.494 ab.) tra i quali la succitata Vigevano è il centro più importante. Il suo nome deriva dal comune di Lomello, già municipium romano e importante centro di aggregazione per il territorio[1]. Nella zona è diffusa la coltura del riso, come testimoniato dalla Sala contrattazione merci di Mortara, la più importante in Italia per quanto riguarda la compravendita del riso. Nel corso della sua storia ha a lungo goduto di diverse e forti autonomie, come testimoniato dal Vigevanasco e dalla Provincia di Lomellina.

 

La natura in Lomellina:

Un territorio pianeggiante come quello lomellino non mostra, a un visitatore occasionale, evidenti segni di eterogeneità ambientale. La maggior parte del territorio è occupata dalle coltivazioni e sembra aver sottratto ogni spazio alle formazioni vegetali spontanee. Il terreno così piatto e uniforme sembrerebbe essere una condizione originaria, e non, come in realtà è, il risultato di una plurisecolare azione dell'uomo, che ha trasformato un territorio originariamente costituito da piccole ma percettibili ondulazioni, occupate da una fitta e variegata vegetazione, al fine di ricavare terreni coltivabili. In estrema sintesi, il territorio originario era costituito da piccole ondulazioni, sulla cui sommità si sviluppava una vegetazione caratteristica delle zone aride, alle quali si alternavano avvallamenti nei quali l'umidità del terreno era, talvolta, molto pronunciata e consentiva lo sviluppo di una rigogliosa vegetazione palustre. Le aree intermedie, che costituivano la maggior parte del piano fondamentale della pianura, erano occupate da formazioni di foreste, dominate dalla farnia, Quercus robur, e da altre specie arboree più o meno esigenti per quanto riguarda l'umidità del suolo. La bonifica dei terreni ha consistito nella rimozione delle parti più elevate delle ondulazioni e nella collocazione del terreno rimosso nelle zone più ribassate. Questo fu realizzato anticamente con mezzi molto semplici, ossia con pale e carriole. Negli ultimi decenni si è proceduto con ulteriori trasformazioni utilizzando i bulldozer.

Sopravvivono, tuttavia, lembi di territorio molto ridotti ma di grande interesse naturalistico, storico e documentario, che ci mostrano come doveva essere l'aspetto della Lomellina in epoche passate. Queste aree residue ospitano ancora delle testimonianze naturalistiche di enorme pregio, quali formazioni vegetali, esempi di flora e di fauna di grande importanza anche a livello europeo. Basti pensare che in alcuni dei boschi umidi residui sono localizzate le cosiddette “garzaie”, ossia le colonie di aironi gregari, più importanti d'Europa. Molto interessanti sono le golene dei fiumi PoTicinoSesia e Terdoppio, che in alcuni tratti hanno conservato caratteristiche naturali di grande valore. Una delle peculiarità meno conosciute, anche a livello locale, è rappresentato dai dossi. Una parte rilevante del territorio lomellino è stata inclusa fra le Aree prioritarie per la biodiversità ed è una delle aree sorgente importanti nell'ambito della Rete Ecologia Regionale della Lombardia.

In Lomellina esistono diverse riserve naturali e monumenti naturali, istituiti dalla Regione Lombardia e due parchi regionali: il Parco naturale lombardo della Valle del Ticino, primo parco regionale istituito in Italia nel gennaio del 1974, e il Parco del Po Vercellese/Alessandrino, della Regione Piemonte. Le aree protette della Lomellina esistono grazie alla presenza al loro interno di valori faunistici di livello internazionale. Nel corso degli anni '70 ci si rese conto della rilevanza delle popolazioni di aironi coloniali della Pianura padana centro-occidentale tra le popolazioni del Paleartico occidentale, con la Lomellina al centro. Oggi, in un quadro di conoscenze più completo, questa regione si conferma come una delle più ricche e interessanti dal punto di vista ornitologico nel continente. È questa una delle poche zone, forse l'unica, in cui si incontrano tutte e nove le specie europee di Ardeidi, sette delle quali coloniali (Airone cenerinoAirone rossoAirone bianco maggioreGarzettaSgarza ciuffettoAirone guardabuoiNitticora) e due, Tarabuso e Tarabusino, che nidificano in modo solitario. Accanto a esse nidificano specie di assoluto interesse conservazionistico: SpatolaMignattaio e Falco di palude. Oltre che per gli uccelli nidificanti, le riserve naturali e i monumenti naturale della Lomellina si sono dimostrati dei biotopi di grande rilevanza per la conservazione di specie rare e minacciate a livello europeo, fra le quali diverse incluse nelle liste di priorità della Direttiva Habitat[1].

Grazie all'interesse ornitologico, le zone umide più importanti furono identificate dai ricercatori dell'Ateneo pavese come prioritarie e in seguito protette grazie all'applicazione delle nuove leggi regionali nel corso degli anni ‘80. Solo diversi anni più tardi, con il recepimento da parte dell'Italia della Direttiva Habitat, promulgata dalla Comunità Europea nel 1992, ci si rese conto che le scelte già effettuate avevano anticipato gran parte degli intendimenti della Direttiva stessa. In particolare, il sistema di aree protette della pianura pavese comprendeva i migliori esempi di formazioni boschive di Ontano nero. Queste, classificate come “Foreste alluvionali residue di Alnus glutinosa e Fraxinus excelsior (Alno-Padion, Alnion incanae, Salicion albae)”, non solo sono incluse fra gli habitat di interesse comunitario la cui presenza comporta la designazione dell'area come SIC (Sito di Interesse Comunitario), ma la loro conservazione è considerata prioritaria. Mai come in questo caso l'uso di un gruppo faunistico quale indicatore di valore naturalistico ha prodotto risultati concreti e interessanti su più vasta scala.

 

Vegetazione: Gran parte dei dossi ha subito alterazioni profonde in epoche recenti; ciò rende difficile la ricostruzione del possibile paesaggio vegetale che li caratterizzava nelle condizioni originarie. Dei dossi lomellini però, due, fortunatamente, anche se solo in parte, sono scampati alla distruzione totale. Uno è il dosso di Remondò nella parte posta a sud della strada Mortara-Pavia che è ora occupato da installazioni militari e che, anche se in parte manomesso, è ancora sufficientemente rappresentativo. L'altro è parte del dosso di San Giorgio - Cergnago, posto lungo la strada comunale Cergnago-Tromello, di proprietà privata, destinato ad azienda faunistica e che, malgrado alcune manomissioni inerenti alla sua funzione (escavazione, ad esempio, di stagni per la caccia agli uccelli acquatici), conserva non pochi lembi ancora pressoché intatti e di grande bellezza. Del primo, oggigiorno pressoché privo di copertura arborea originaria, si occupò anni or sono il botanico prof. Felice Bertossi (1950) che illustrò diversi popolamenti pionieri che si succedono nella colonizzazione del suolo sabbioso e propose uno schema dinamico della vegetazione. Nell'ambito del dosso di San Giorgio e Cergnago, invece, l'aspetto indubbiamente più interessante è offerto dalla parte centrale, meno manomessa, tutta modellata in dune di scarsa pendenza e occupata oltreché dai muschi e licheni (prevalentemente Rhacomitrium canescens, Cladonia furcata e C. endiviaefolia) anche da piccoli lembi boscosi, di superficie, in genere, assai modesta. Nella maggior parte dei casi tali lembi non oltrepassano le dimensioni di 40-50 metri per 25-30 La struttura del bosco è caratterizzata dalla presenza di uno strato arboreo rappresentato esclusivamente da Quercus robur, con individui annosi e del diametro, alla base, anche di 30–40 cm. Segue uno strato arbustivo, basso (2-3 metri), in genere assai rado, con Crataegus oxyacanthaRhamnus frangula, Evonymus europaeus e Ligustrum vulgare. Nello strato erbaceo, scarsamente e irregolarmente rappresentato, spiccano soprattutto folte colonie di Polygonatum multiflorum e Polygonatum officinale. Pur nella povertà della loro composizione floristica, i boschi che crescono sui dossi hanno fornito dati che permettono di fare alcune considerazioni e cioè che la penetrazione di Robinia pseudacacia, che pure intorno alligna assai vigorosamente, è fortunatamente assai scarsa e che pare significativo il fatto che il rinnovamento naturale più attivo della farnia Quercus robur coincida con la presenza di un numero maggiore di specie caratteristiche dei Querco-Fagetea. Di minore interesse invece, perché profondamente scompaginati dall'intervento antropico, altri aspetti vegetazionali e cioè gli arbusteti a ginestra Cytisus scoparius e i gramineti aperti a “barba di capra” Corynephorus canescens o quelli chiusi a Carex hirta e Cynodon dactylon.

 

Fauna:

L'area dei dossi costituisce un'isola di vegetazione naturale nella distesa delle coltivazioni circostanti. Vi trovano pertanto un ambiente idoneo molte specie ormai scomparse da gran parte della Lomellina. Per quanto manchino ricerche approfondite sugli aspetti faunistici, i primi dati raccolti sull'avifauna testimoniano l'importanza del biotopo in questione come estremo rifugio per diverse specie di bosco. Sono presenti, talvolta in buon numero come nel caso degli anatidi, diverse specie palustri grazie all'esistenza di acquitrini negli avvallamenti fra un dosso e l'altro. Fra i mammiferi è da segnalare la presenza della puzzola Mustela putorius, della martora Martes martes e del tasso Meles meles. Fra gli anfibi sarebbero da ricercare con attenzione la rana di Lataste Rana latastei e il pelobate Pelobates fuscus insubricus, per entrambi i quali esistono le condizioni ambientali idonee all'esistenza.[2]

 

 

 

 

 

 

 



[1] La presente direttiva mira a garantire la biodiversità dell’Unione europea, impegnandosi a conservare: gli habitat naturali, la flora e la fauna selvatiche.

[2] Fonti: Artini E. 1898. Intorno alla composizione mineralogica delle sabbie di alcuni fiumi del Veneto ecc. Padova.

Bogliani G., Agapito Ludovici A., Arduino S., Brambilla M., Casale F., Crovetto G. M., Falco R., Siccardi P. and Trivellini G. 2007. Aree prioritarie per la biodiversità nella Pianura padana lombarda. Fondazione Lombardia per l'Ambiente e Regione Lombardia, Milano, Italy. Pp. 192. ISBN 978-88-8134-063-7 (PDF), su flanet.org Boni A. 1947. I "dossi" della Lomellina e del Pavese. Atti Ist. Geol. Univ. Pavia. 2: 1-144. Francesco Corbetta. 1968. Cenni sulla vegetazione di un lembo relitto dei sabbioni lomellini presso Cergnago. Not. Fitosoc. 5: 25-31. Cozzaglio A. 1937. Carta idro-geologica della pianura padana (regione fra l'Adige e i l Serio). Bergamo. Nicolis E. 1898. Sugli antichi corsi del fiume Adige. Boll. Soc. Geol. Ital. 17: 7pp. Stella A. 1895. Sui terreni quaternari della Valle del Po. Boll. R. Co mm. Geol. Italia. N. 3, pp. 108. Taramelli T. 1882. Descrizione geologica della provincia di Pavia. Milano. Taramelli T. 1890. Spiegazione della carta geologica della Lombardia. Milano.