Che cosa ho cercato? Dove ho cercato? / I paesi dove la mia famiglia ha vissuto.
I paesi dove la mia famiglia ha vissuto nel corso dei secoli

SUARDI
(Al Burg in dialetto lomellino) è un comune italiano di 670 abitanti della provincia di Pavia in Lombardia. Si trova nella Lomellina meridionale, nella pianura alluvionale presso la riva sinistra del Po.
Fino al 1863 (R.D. 15 marzo 1863, n.1211) il comune di Suardi si chiamò Borgofranco; ancora nel XVIII secolo era un grosso centro, costruito nel medioevo in base a un piano prestabilito: un grande rettangolo, con strade ortogonali, cinto da un fossato, di dimensioni quasi cittadine. Questo centro andò distrutto attorno al 1800 da una rotta del Po; il paese fu ricostruito, con pianta non ordinata, attorno all'antico monastero di Santa Maria delle Grazie, non lontano dalla frazione Santa Maria di Suardi (dal nome di una famiglia bergamasca proprietaria nel luogo), da cui il comune trasse il nuovo nome. Borgofranco sorse come avamposto di Bassignana a nord del Po: era detto infatti anche Borgo di Bassignana; quest'ultima infatti, pur posta a sud del Po, apparteneva politicamente alla Lomellina (fino al 1713). Di Bassignana seguì prevalentemente le sorti. Nel 1436 fu infeudato a Inigo D'Avalos, ma nel 1456 fu concesso ad Andreotto Del Maino, di Pavia, restando ai suoi discendenti fino alla fine del feudalesimo (1797). Nel 1806 a Borgofranco furono temporaneamente uniti i soppressi comuni di San Martino La Mandria e Abbazia di Acqualunga, che poi furono invece aggregati rispettivamente a Gambarana e a Frascarolo.
Da “Memorie storiche su Suardi” – Padre Francesco Pianzola
BORGOFRANCO (oggi Suardi): é situato a circa 7 km da Pieve del Cairo ed é un centro agricolo. Era Burgus Francus Laumellinorum ovvero Borgofranco di Lomellina, sorgeva e sorge tuttora di fronte al paese di Bassignana (AL), sulla sponda sinistra del Po. Erano parrocchie e comuni Borgofranco, Villalunga (parrocchia e comune distrutta dalle acque del Po nei primi anni del 1400), Zebèdo, situati tutti alla sinistra del Po. Con regio decreto 1864 il nuovo paese si denominò Suardi (come é detto oggi). La parrocchiale antichissima era dedicata a San Bartolomeo Apostolo (ancora oggi la parrocchiale è dedicata a questo santo) ed esisteva già nel 977. La parrocchia nel 1460 aveva 200 famiglie (tra le quali alcune erano Degiorgi, miei antenati lontani: ne ho la prova che esistevano già i Degiorgi a Suardi da un’altra fonte bibliografica su Suardi), Intorno al 1553 la parrocchia fu distrutta dalla piena del Po che arrivò fino a Cairo. Venne riedificata nel 1565.
CENNI STORICI (dal sito dell' "Ecomuseo del paesaggio lomellino")
Fino al 1863 il comune di Suardi si chiamò Borgofranco. Ancora nel XVIII secolo era un grosso centro, costruito nel Medioevo in base a un piano prestabilito: un grande rettangolo, con strade ortogonali, cinto da un fossato, di dimensioni quasi cittadine. Questo centro andò distrutto attorno al 1800 da una rotta del Po e il paese fu ricostruito, con pianta non ordinata, attorno all’antico monastero di Santa Maria delle Grazie, non lontano dalla frazione Santa Maria di Suardi (dal nome di una famiglia bergamasca proprietaria nel luogo), da cui il Comune trasse il nuovo nome.
Borgofranco sorse a nord del Po come avamposto di Bassignana: era detto, infatti, anche Borgo di Bassignana, che, pur posto a sud del fiume, apparteneva politicamente alla Lomellina (fino al 1713). Di Bassignana seguì prevalentemente le sorti. Nel 1436 fu infeudato a Inigo D’Avalos, ma nel 1456 fu concesso ad Andreotto Del Maino, di Pavia, restando ai suoi discendenti fino alla fine del feudalesimo (1797).
Nel 1806 a Borgofranco furono temporaneamente uniti i soppressi Comuni di San Martino della Mandria e Abbazia d’Acqualunga, che poi furono aggregati rispettivamente a Gambarana e a Frascarolo.

GAMBARANA (Gämbärènë in dialetto lomellino)
è un comune italiano di 263 abitanti della provincia di Pavia in Lombardia. Si trova nella Lomellina meridionale, nella pianura alluvionale presso la riva sinistra del Po.
La storia del territorio di Gambarana è stata sempre condizionata dalla vicinanza del Po; un tempo esso scorreva più a sud, lasciando spazio per un grosso centro storicamente assai importante, Sparvara; e anche l'attuale frazione Cambiò era un luogo notevole, come d'altra parte la stessa Gambarana. Infatti, tra i rami in cui si divisero i conti Palatini di Lomello, signori della Lomellina occidentale fino al XII secolo, due tra i principali portavano appunto i nomi di Sparvara e Gambarana.
Nel 1311 i Conti Palatini erano qui rappresentati da Federico, Giuliano e Riccardo di Sparvara, e da Alberto, Ruffino, Giannone e Opicino di Gambarana. Nel 1164 tutta la Lomellina fu assoggettata alla città di Pavia; il relativo diploma di Federico I nomina sia Sparvara sia Gambarana. Sotto Pavia continuò la signoria degli conti palatini di Sparvara e di Gambarana sui rispettivi feudi che, salvo brevi interruzioni, continuò fino al XVIII secolo (gli Sparvara si estinsero nel 1769, i Gambarana esistono tuttora).
Già nel secolo precedente, se non prima, era però iniziata la decadenza di Sparvara, devastata dal Po; il suo nome non indicava che qualche sparsa cascina, e anche i Conti di Sparvara ormai avevano stabilito la loro sede a Cambiò, che era sede del comune ancora detto di Sparvara e Cambiò. Anche la località di San Martino La Mandria fu un comune fino al XVIII secolo; apparteneva anch'esso al feudo di Gambarana; nel 1806 fu aggregato a Suardi e successivamente a Gambarana.
Nel XIX secolo anche Cambiò, che era ancora un comune, subì una parziale distruzione da parte del Po, che costrinse a spostare l'abitato più a nord (la cascina Palazzo era in precedenza al limite nord dell'abitato, mentre ora si trova all'estremità meridionale); il paese prese quindi il nome di Cambiò Nuovo, e nel 1867 il comune fu soppresso e unito a Gambarana. In precedenza (1800) la zona del comune di Cambiò che era col tempo rimasta a sud del Po fu staccata e costituì il nuovo comune di Alluvioni Cambiò, aggregato alla provincia di Alessandria.
CENNI STORICI (dal sito dell' "Ecomuseo del paesaggio lomellino")
La storia del territorio di Gambarana è stata sempre condizionata dalla vicinanza del Po, che un tempo scorreva più a sud, lasciando spazio per un grosso centro storicamente importante, Sparvara.
Anche l’attuale frazione Cambiò era un luogo notevole, come d’altra parte la stessa Gambarana. Infatti, tra i rami in cui si divisero i conti Palatini di Lomello, signori della Lomellina occidentale fino al XII secolo, due tra i principali portavano appunto i nomi di Sparvara e Gambarana. Nel 1311 i Conti Palatini erano rappresentati da Federico, Giuliano e Riccardo di Sparvara, e da Alberto, Ruffino, Giannone e Opicino di Gambarana. Nel 1164 tutta la Lomellina fu assoggettata alla città di Pavia; il relativo diploma di Federico I nomina sia Sparvara sia Gambarana. Sotto Pavia continuò la signoria degli conti palatini di Sparvara e di Gambarana sui rispettivi feudi che, salvo brevi interruzioni, continuerà fino al XVIII secolo (gli Sparvara si estinsero nel 1769, i Gambarana esistono tuttora). Già nel secolo precedente, se non prima, era però iniziata la decadenza di Sparvara, devastata dal Po; il suo nome non indicava che qualche sparsa cascina, e anche i conti di Sparvara ormai avevano stabilito la loro sede a Cambiò, che era sede del comune ancora detto di Sparvara e Cambiò.
Anche la località di San Martino La Mandria fu un Comune fino al XVIII secolo, appartenente al feudo di Gambarana. Nel 1806 fu aggregato a Suardi e successivamente a Gambarana.
Nel XIX secolo anche Cambiò, che era ancora Comune, subì una parziale distruzione da parte del Po, che costrinse a spostare l’abitato più a nord (la cascina Palazzo era in precedenza al limite nord dell’abitato, mentre ora si trova all’estremità meridionale). Il paese prese quindi il nome di Cambiò Nuovo, e nel 1867 il Comune fu soppresso e unito a Gambarana. In precedenza, la zona del comune di Cambiò che era con il tempo rimasta a sud del Po fu staccata e costituì il nuovo Comune di Alluvioni Cambiò, aggregato alla provincia di Alessandria.
Il castello sorge al centro del paese a forma di parallelepipedo e non presenta speciali caratteristiche architettoniche o decorative. Da segnalare una semitorre cilindrica nella parete settentrionale e due ingressi, su uno dei quali era visibile lo stemma dei conti di Gambarana.
Nei pressi del castello sorge una dimora signorile, probabilmente eretta nel XVII secolo.
La chiesa parrocchiale è dedicata ai santi Pietro e Biagio e risulta forse l’edificio sacro annesso allo scomparso monastero benedettino di san Pietro, che appare in un documento del 983. Nel 1237 i due luoghi di culto sono citati nel documento di scomunica del conte Enrico di Lomello da parte del vescovo di Pavia, che informava del fatto i sacerdoti e i religiosi della chiesa di Gambarana e delle parrocchie limitrofe. Nel 1460 la chiesa parrocchiale di san Pietro e quella di san Biagio furono unite in un’unica struttura, mentre tredici anni più tardi i beni parrocchiali vennero investiti al Capitolo della cattedrale di Pavia. La chiesa fu rialzata e rimaneggiata in stile barocco nel XVIII secolo, grazie all’interessamento delle famiglie Gambarana e De Curte, mentre il campanile fu abbellito nel 1832. Il coro accoglie una tela del XVII secolo raffigurante la Madonna con il Bambino stretta fra i santi Pietro e Biagio.
Altro edificio sacro è la chiesa di San Rocco, costruita nel XVI secolo per ringraziare il Signore della fine di una terribile pestilenza e al cui fianco si erge un crocifisso in legno, donato dai missionari che giungono periodicamente a Gambarana per predicare il vangelo. Ingrandita nel 1696 e, nei secoli successivi devastata dall’esercito francese, fu restaurata nell’agosto 1892: da allora, la popolazione celebra una festa, con una processione e uno spettacolo di fuochi artificiali, preceduta da un’asta pubblica, il cui ricavato verrà destinato all’organizzazione delle manifestazioni dell’anno seguente.
PIEVE DEL CAIRO, CAIRO, GALLIA, CAMBIO’, SPARVARA

PIEVE DEL CAIRO
(lë Piév in dialetto lomellino) è situata in Lombardia, in una terra di confine chiamata Lomellina la Laumellum (Lomello), che è appartenuta nei secoli al Ducato di Milano e, dai primi del Settecento, ai Savoia, quindi coniuga cultura lombarda e piemontese.Gli insediamenti urbani a Pieve del Cairo sono documentati da vari utensili e manufatti che caratterizzano le varie ere preistoriche, come per esempio due asce di pietre levigate, usate per disboscare e alcuni punti di frecce in selce che si possono far risalire al periodo compreso tra il 5.500 a.C. el il 3.500 a.C, che furono ritrovate dall’illustre concittadino Giuseppe Ponte, maestro e archeologo, verso la fine dell’Ottocento nelle immediate vicinanze del borgo.
I primi abitanti dell’area sul lato sinistro del Po, dove si trovano sia Pieve del Cairo che Cairo, sono stati i Levi (Liguri), seguiti dai Celti, dai Galli e sicuramente dagli Etruschi e dai Romani. Degli insediamenti di questi ultimi, il maestro Ponte trovò diversi frammenti di are, colonne e di edifici di culto con epigrafi, attualmente visibili nella chiesa di San Giovanni Battista del luogo. Non è provato che Annibale nella sua discesa in Italia del 218 sia passato vicino a Pieve per guardare il fiume Po, è comunque certo che in Lomellina ebbe luogo il famoso scontro del Ticino. Anche la dominazione bizantina ha lasciato qualche traccia, come pure quella longobarda che vide Pavia come Capitale del Regno in Italia e Lomello, che dista pochi chilometri da Pieve, come importante sede, dopo che era stata una mansio romana, Di epoca longobarda (VI secolo) sono alcune importanti tombe di guerrieri, inumati con le loro armi, spille e le famose crocette d’oro cucite sul velo che copriva il loro volto, ritrovate dal Ponte in zona cascina Mercurina, a due chilometri da Pieve. In epoca alto medievale i Franchi di Carlo Magno investirono i conti Palatini di Lomello dell’area lomellina, Federico Barbarossa, nel 1155 saccheggiò il borgo di Cairo; lo stesso imperatore, nove anni più dopo concesse ai Langosco, conti Palatini di Lomello, l’investitura di Cairo (Cayre), Gallia e Cambiò. Troviamo invece Pieve del Cairo (Plebs de Cairo) menzionata in un documento del 1191 di Edoardo VI, relativo a donazioni alla città di Pavia, poi confermate da Ottone I nel 1209 e da Federico II nel 1219. In quegli anni sembra evidente che esistessero due entità distinte: Cairo e Pieve del Cairo che in alcuni documenti sono denominati: Caryre Juvene e Cayre veteri o vegium. I loro castelli subirono attacchi e distruzioni, come gia accennato, prima con la calata del Barbarossa e successivamente, nei primi anni del secolo XV ad opera di Facino Cane, come riferito dallo storico settecentesco Portalupi.
Nel 1410 Pieve del Cairo risultava feudo già posseduto dai Beccaria e faceva parte della contea primogeniale di Pavia, distinta dal Ducato di Milano, ciò che sarà confermato da Francesco Sforza nel 1447 e succesivamente esaltata a Principato dall’imperatore Massimiliano, privilegio rinnovato da Carlo V fino a Filippo V.
Il primo settembre 1451 Francesco Sforza annullava le confische ai Beccaria della Pieve fatta da Filippo Maria Visconti e li reintegrava nei loro diritti sul castello e donava a Rainaldo Beccaria i dazi del vino, del pane e della carne del luogo. Nel 1467 Galeazzo Maria Sforza insieme alla consorte Bianca Maria Visconti investiva Giovanni Pietro Isimbardi e i fratelli Agostino e Toroberto del feudo di Cairo.
Ma l’unico fatto storico di una certa importanza che riguarda Pieve del Cairo avvenne nel 1512 e si tratta della liberazione del cardinale Giovanni de Medici, figlio di Lorenzo il Magnifico, Legato di Papa Giulio II alla battaglia di Ravenna.
L’11 aprile di quello stesso anno era stao fatto prigioniero a Ravenna dai francesi di Luigi XII che lo portarono a Milano per qualche mese. Qui Giovanni riuscì ad allacciare relazioni utili a mettere in atto una rocambolesca fuga, di cui si sono occupati nel tempo importanti storici come il Guicciardini, artisti come Raffaello e Giorgio Vasari e molti altri storici e scrittori. Proprio in seguito a questa liberazione, Giovanni, eletto papa con il nome di Leone X, gratificò, in segno di riconoscenza per quello che avevamo fatto i pievesi, con un Giubileo annuo e perpetuo, una riconoscenza tra l’altro duplice da festeggiarsi la prima domenica di Giugno (giorno che ricorda la liberazione dei cardinale) e la seconda domenica di settembre (giorno della festa patronale del borgo).
Nel 1535 moriva Francesco II Sforza, duca di Milano e la Lomellina era sottoposta a dominazione spagnola fino a quando l’imperatore d’Austria Leopoldo I, nell’ambito della guerra di successione di Spagna, non conquistava il dominio del Ducato e si accordava con Vittorio Amedeo di Savoia col trattato di Torino del 1703, confermato dall’editto del 1707 per lo scorporo dallo stato di Milano della Lomellina e del suo passaggio alla casa Savoia e quindi l’aggregazione al Piemonte. In questo stesso anno i feudatari lomellini giurarono fedeltà all’imperatore. Il feudo di Pieve del Cairo, alla morte del conte Aureliano Beccaria, in mancanza di eredi maschi, era passato alla Camera Ducale che lo vendette per 22.500 lire a Lorenzo Isimbardi nel 1597, quest’ultimo ottenne il titolo di primo Marchese di Pieve del Cairo nel 1610. Lo stesso, nel 1614, acquistò anche il feudo della vicina Gallia. Questa famiglia aveva praticamente in mano il potere non solo economico, attraverso tutti i dazi e il pedaggio sull’Agogna ma soprattutto quello politico perché aveva facoltà di nominare i podestà e i funzionari che amministravano la giustizia. Nel 1723 la Lomellina era provincia con capoluogo Mortara, mentre nel 1749 veniva a far parte del Dipartimento dell’Agogna con capoluogo Novara. Durante i secoli XVII e XVIII il territorio vede il passaggio di diversi eserciti, spagnoli, francesi, austriaci con conseguenze che si possono facilmente immaginare per la comunità di Pieve del Cairo che deve ospitare nelle loro case e nei loro campi la soldataglia e fornire cavalli e vettovaglie. Nel 1799 con i Giacobini che occupano l’Italia settentrionale tra cui anche il borgo di Pieve del Cairo, vengono soppressi i titoli nobiliari, le compagnie religiose, le congregazioni e incamerati al Demanio molti beni delle stesse. Numerose sono le vessazioni, i delitti compiuti su cose e persone dai cosacchi delle armate austro russe (i Donsky) al comando del generale Suwarof, accampati nelle campagne di San Sebastiano cioè a nord di Pieve del Cairo e nei campi di Cairo e Cambiò.
Alla Repubblica Cisalpina succedeva in breve volgere di tempo il Regno Italico e nel 1814, con la caduta di Napoleone, la Lomellina tornava ai Savoia e veniva divisa in due provincie (Mortara e Vigevano): Pieve del Cairo era uno dei cinque mandamenti della provincia di Mortara; insieme a Mede, San Giorgio, San Nazzaro e Sartirana.
Dal punto di vista religioso, il 17 agosto 1817, con bolla papale di Pio VII, la Lomellina passava dalla diovesi di Pavia, nella quale era sempre stata, al quella di Vigevano, che era sotto gli stati Sardi, reando cioè quell’unità politica e religiosa, che era mancata per due secoli. Nel 1818 la Lomellina era divisa in 14 Mandamenti tra cui quello di Pieve del Cairo che comprendeva: Pieve del Cairo, Cairo, Gambarana, Galliavola, Borgofranco, Cambiò, Isola S.Antonio, e Mezzana Bigli. Nel 1859, nell’ambito di una nuova divisione delle provincie dello Stato di Sardegna, la Lomellina era circondata dalla Provincia di Pavia e aveva come capoluogo Mortara; si componeva di undici mandamenti, tra cui quello di Pieve del Cairo. I danni e le requisizioni dovute all’invasione austriaca del 1859 erano ingentissimi e quantificati in Lire 62.636 (requisizioni) e Lire 29.581 (danni ai terreni) per Pieve e Lire 21.896 per Cairo. Con l’Unione d’Italia del 1861 la Lomellina rientra a far parte della Lombardia e trent’anni dopo, nel 1891, Cairo viene aggregata a Pieve del Cairo a formare un unico Comune. La fortuna di Pieve del Cairo era dovuta da sempre alla sua posizione strategica. Collocata sull’intreccio di strade romane che collegavano il nord con il mare, attraverso il passaggio sul Po, sia per motivi militari che soprattutto commerciali, aveva sempre costituito una tappa obbligata. Era cioè una stazione di cambio dei cavalli e doveva quindi essere in grado di garantire vitto e alloggio in alberghi, tra cui quello che resistette fino a circa cinquant’anni fa: il rinomato Albergo d’Italia e Svizzera, il cui nome è chiaramente riferibile a quanto detto sopra. Si trovava in Via Roma, dal lato opposto alla chiesa, appena passata Via Leardi.
Pieve inoltre era dese di un mercato settimanale (il martedì) e di un’annua fiera, che durava tre giorni prima della festa patronale (8 settembre) e tre giorni dopo, in esenzione di dazio, come da concessione da parte di Filippo II, figlio di Carlo V, datata 4 ottobre 1570. Tali privilegi furono confermati anche dai Savoia al momento della loro acquisizione della Lomellina nel 1707.
Poiché l’economia locale è stata basata per molti secoli su agricoltura, allevamento dei bovini e maiali e lavorazioni collegate (caseifici), la parte della fiera destinata al bestiame era molto importate e si concludeva con l’assegnazione di premi ai migliori capi in mostra. La fiera si tiene ancora oggi il martedì che segue la festa patronale (seconda domenica di settembre), ha perso il suo valore commerciale e di scoperta di novità, ma ha mantenuto intatto il suo fascino di luogo di aggregazione perché vi si possono incontrare amici e parenti, soprattutto di une certà età, per i quali la fiera rimane un valore unico e un’occasione irrinunciabile.

La Chiesa di Pieve del Cairo
Il nome deriva da Plebis Cairi cioè “Chiesa del Cairo”. Cairo infatti, era il borgo più antico, un insediamento gallico-romano che fu sede di un importante basilica cristiana (la Pieve). Nel territorio di Pieve del Cairo ci sono diverse chiese ma la più bella ed importante è quella Parrocchiale sotto il titolo della Beata Vergine della Consolazione e dedicata a Maria Bambina. La nostra parrocchia gode di un privilegio molto particolare in seguito ad un avvenimento storico singolare. Nel 1512 gli abitanti del paese liberarono, nei pressi di Cambiò, il cardinale Giovanni De’Medici, legato Pontificio di Papa Giulio II° catturato dall’esercito francese durante la Battaglia di Ravenna. Il prelato, che stava per essere condotto in Francia, nel 1516 divenne Papa con il nome di Leone X° e per ringraziare i pievesi di questo gesto, concesse due giubilei annui e perpetui, uno nella prima domenica di Giugno e l’altro durante la festa Patronale, l’8 settembre. La nostra parrocchia è una delle poche in Italia ad avere questo importante privilegio religioso e storico. L’attuale edificio parrocchiale è stato costruito nel 1518, a tre navate, molto ampia quella centrale e più strette le due laterali. Oltre all’altare maggiore, ci sono altri altari nelle navate laterali dedicati al Sacro Cuore, alla Madonna Addolorata, alla Madonna del Rosario, l’altare dedicato a Maria Bambina e più recente, costruito nel 1911, l’altare e la grotta della Madonna di Lourdes. Molte sono le statue, i quadri e gli affreschi che la rendono particolare. La chiesa infatti, dal punto di vista pittorico e artistico, è una delle più belle della nostra diocesi di Vigevano. Negli anni intorno alla metà dell’800, precisamente tra il 1854 e il 1857, all’epoca del prevosto Giovanni Cerra, fu restaurato tutto l’interno della chiesa e gli affreschi e le decorazioni che vediamo oggi sono opera dei fratelli Tommaso e Pietro Maria Ivaldi[1] da Ponzone (vicino ad Acqui Terme), il secondo meglio conosciuto con il soprannome “il muto” proprio perché lo era. Il “muto” con il fratello lavorarono nella nostra chiesa tra il 1862 e il 1864. Il tema pittorico fu “la storia della Madonna”: infatti, i numerosi affreschi raffigurano episodi della vita di Maria dalla nascita alla fuga in Egitto. Sono opera del “muto” anche i 14 quadri della Via Crucis. La nostra chiesa possiede un bellissimo organo costruito dalla ditta Serassi di Bergamo: l’origine dello strumento è di epoca seicentesca, alcuni registri sono ancora originali dell’epoca ma buona parte dell’organo è stata modernizzata e modificata nel corso dei secoli; infine elettrificato nel 1950 dalla ditta Mascioni di Varese. La consolle, che in origine era posta sul portale della chiesa, insieme alle canne, è stata spostata a fianco all’altare maggiore dove si trova ancora oggi.
Nel 1872 fu consacrato dal Vescovo De Gaudenzi il nuovo altare maggiore. Numerosi rifacimenti si sono susseguiti nel corso degli anni. Nel primo dopoguerra, nel 1947, un’equipe dei pittori Taragni e Pisoni, hanno restaurato tutte le volte delle cappelle e delle navate laterali della chiesa e il pittore pievese Enrico Arturo Comaschi ha restaurato lo splendido affresco della “gloria” che si trova sopra l’altare maggiore. Lavorò in chiesa a Pieve anche il pittore lomellino Annibale Ticinese che restaurò molti affreschi e quadri vari. All’epoca del parroco Gerolamo Avanza vennero commissionati moltissimi lavori e modifiche alla nostra chiesa tra i quali il rifacimento del pavimento in sacrestia, la ristrutturazione della parte lignea del coro dietro l’altare maggiore, l’innalzamento del campanile e la costruzione della cupola a punta, nel 1930 e tanti altri lavori in altre chiese del paese facilmente identificabili dalla sigla “P.A.G.” sparsa un po’ in ogni angolo della chiesa. Ultimo importante lavoro alla chiesa è il rifacimento dell’intera pavimentazione avvenuta nel 1990, lavoro fatto da ditte edili locali.
Pieve ha avuto parroci illustri o diventati famosi per avvenimenti vari: Giacomo Laboranti fu parroco all’epoca della liberazione del Cardinale De’Medici, Emilio Scevola fu teologo, insegnante e rettore del seminario vescovile di Vigevano, Romolo Archinti divenne vescovo di Novara, il Teologo Gerolamo Avanza, insegnante di sacra scrittura al seminario vescovile. Il primo parroco, come si può leggere dall’elenco dei parroci e canonici della nostra chiesa fu Agostino Fornari negli anni intorno al 1430, il nostro parroco attuale è Don Luca Discacciati, a Pieve dal 2010 con incarico fino al 2019 che poi è stato prorogato con l’istituzione di una unità pastorale comprendenti, con a capo la Parrocchia di Pieve del Cairo, le chiese di Pieve del Cairo, Cairo, Gambarana, Suardi, Cambiò, Gallia, Galliavola, Mezzana Bigli, Messora, Cascine Nuove.
[1] Pietro Ivaldi detto “il muto”, nacque nella frazione Toleto (comune di Ponzone AL, dopo Acqui Terme) nel 1810 da Giovanni e Maria Ivaldi. Superando notevoli difficoltà, riuscì a frequentare i corsi all’accademia Albertina di Torino, durante i quali affinò le indubbie capacità pittoriche. Numerosi furono i viaggi a Roma e Firenze per studiare a fondo i grandi maestri del Rinascimento. Forte e mai prostrato o umiliato dalla sua infermità rappresentò nelle sue opere qualcosa di simile ad una rassicurante e fiduciosa pienezza, una naturale e riservata felicità. La sua produzione artistica è stata di una fecondità sorprendente e si è adattata con naturalezza alle diverse circostanze progettuali. Egli affrescò innumerevoli chiese del Piemonte e della Liguria, a volte anche per misere ricompense, sempre aiutato dal fratello Tomaso valente stuccatore, inseparabili fino alla morte. Morì in Acqui il 19 settembre 1885, munito dei conforti religiosi.

Gallia
Certamente di origine romana (formava una coppia toponimica con la vicina Galliavola, evidentemente diminutivo di Gallia), appartenne alla contea di Lomello, e nel 1219 è confermato ai conti palatini. Successivamente seguì le sorti di Pieve del Cairo, appartenendo feudalmente ai Beccaria e dal 1597 agli Isimbardi. In epoca napoleonica fu dapprima unito a Galliavola, e successivamente fu definitivamente aggregato a Pieve del Cairo. Oggi è una frazione di Pieve del Cairo.

Cairo Lomellina
Appare nel XII secolo come Castrum Cairi; nel 1164, come la maggior parte della Lomellina occidentale, fu sottoposto alla giurisdizione di Pavia da Federico I. Nell'ambito del dominio pavese, fu sede di podesteria. Era signoria dei conti Palatini di Lomello, del ramo di Sparvara, e successivamente dei Torti; ma per matrimonio dell'erede di Torberto Torti, Franceschina, con Lorenzo Isimbardi di Pavia (circa metà del XV secolo), passò a questa famiglia, che ne rimase feudataria fino all'abolizione del feudalesimo (1797). Nel 1863 il comune prese il nome di Cairo Lomellino, ma nel 1890 fu soppresso e unito a Pieve del Cairo. Frazione del comune di Pieve del Cairo. Fu centro antico, poi assorbito dalla sua Pieve dove si accentrò il fabbricato. La parrocchiale aveva una chiesa sussidiaria che nel 1460 era la Cappella di S. Maria. La parrocchia antica fu elargita di benefici dal Papa Leone X°, quando concesse il giubileo alla Pieve del Cairo. Nel 1519 una bolla pontificia dello stesso papa dichiara la comunità di Cairo non obbligata a recarsi alla Pieve per la S. Messa, ma di rimanere in questo luogo. Nel 1597 Lorenzo Isimbardi fece costruire la nuova Chiesa in quanto l’antica era fatiscente. La parrocchiale é dedicata alla B. V. della Consolazione e a S. Giovanni Battista. Terminata nel 1599.[1]

Cambiò
Da “Storia del Principato di Cambiò” – Egisto Melchiorri – Tortona 1979.
Loci Campi Beati, questo era il nome antico della comunità di Cambiò. Sino al 1400 era Sparvara, poi Campo Beato (dubbi sull’origine del nome: alcuni attribuiscono il nome al banco del cambio per il traghetto sul Po, altri al fatto che il corso del Po cambiò il suo alveo). Fu principato dal 1784 al 1963 e il vescovo di Tortona aveva il titolo di “Principe di Cambiò”. Fin dal secolo X° sotto la dioceci Tortonese.
Da La storia della Diocesi di Vigevano – Sparvara – Padre Francesco Pianzola.
SPARVARA era un centro assai importante nei confini tra Gambarana e Pieve del Cairo, vicino a Cambiò. Fu parrocchia, comune e feudo fino al 1300. Si trovava in un’isola la quale emergeva tra il Po e il Sesia che confluiva vicino a Pieve del Cairo. Doveva essere un centro molto importante in quanto vi é memoria della parrocchia e del Capitolo già nel 1116. Era un fortificato e il suo nome in lingua longobarda voleva dire “casa del comandante”. Nelle varie inondazioni del Po e del Sesia, Sparvara fu travolta completamente. Divenne una frazione di Cambiò. Nel 1775 vi era ancora qualche traccia di questo nome, poi più nulla. Nel 1576 durante la visita pastorale Sparvara é un chiericato campestre di case con un Oratorio di cui già si vedevano soltanto i ruredi
Da “Storia dei comuni e delle parrocchie della diocesi di Tortona” – mons. Clelio Goggi. Edizione 4° - anno 2000
In tempi non lontani il Tanaro passava a Nord di Sale, si vede ancora il vecchio letto. Tra il Tanaro e il Po c’era un regione chiamata “Campo Minato”, ossia minacciato o corroso poi al di là del Po c’era un’altra regione chiamata “Campo Beato” contratto in Cambiò. Nel Medio Evo esisteva la Sparvara, corte e pieve. Questa è menzionata nella bolla di Innocenzo III nel 1198 come un punto estremo della diocesi di Tortona. Quella era una delle corti vinte dal nostro vescovo Litifredo e da lui, donato all’Imperatore Ottone III che nel 1001 la donò al monastero del Santo Salvatore in Pavia. Il nome Sparvara, “casa del comandante” è di origine longobardo. Nel 1221 era capo feudo e ne erano investiti i fratelli Guglielmo, Enrico, Ottone e Lantelmo, figli di Guido con il titolo di Conte. Questi erano della stessa famiglia dei conti di Lomello, di Langosco, di Gambarana, di Mede, di San Nazzaro e di Rovescala. La nobiltà di queste famiglie risale a Carlo Magno. Sia i suddetti fratelli negli anni 1221-1223, erano anche consortili del feudo di Cassano ed avevano certi diritti. Per la prosecuzione di questa lite i conti nel 1229 tenevano una adunanza nella chiesa di Santa Maria di Sale.
La Sparvara, per essere tra due fiume, era in posizione forte, troviamo che aveva un castello forse edificato dal suoi conti quando si separarono dal tronco di Lomello. Nel 1466 la duchessa Bianca Maria e suo figlio Galeazzo Maria Sforza dopo aver alienato ai signori conti il ricavato del vino e delle biade del feudo per lire 850 di Milano, separando questo luogo dalla soggezione di Pavia, ne investirono i signori conti Giovanni, Antonio e Pietro, signor Franzone Pietro ed altri senza pregiudizio dei Conti, in feudo onorifico, gentile, antico, paterno, avito con mero e misto imperio.
Nel 1776 era unico signore il conte Don Paolo Torquato che morendo senza prole, chiamò erede dei beni l’Ospedale San Matteo di Pavia con l’obbligo di alcune messe ed elemosine e con raccomandazione che alla carità di questo ospedale partecipassero in modo speciale quelli di Cambiò. In questo anno, il 1776, il territorio del feudo era piccolo e comprendeva Sparvara con circa 100 fuochi, Cambiò con 50 e Villanova con 30.
Con l’estinzione della famiglia comitale, restò vacante il titolo di conte. Il Re di Sardegna, elevò quel titolo al grado di Principato e con il nome di Principe di Cambiò lo conferì al Vescovo di Tortona in cambio della cessione del Vescovato. Al feudo era unito il patronato della chiesa di Cambiò. La pieve della Sparvara era intitotolata a San Marziano, segno che originariamente dipendeva dalla nostra diocesi. Tuttavia, in un documento del 1237 si legge: “Robaldo eposcopus proposito et capitulo sparvario”. Dal contesto appare che in quel momento il vescovo di Pavia aveva qualche potere su quella pieve. Si nota il titolo di prevosto che come abbiamo visto era portato dal capo di una congregazione religiosa. Da un rogito del 1269, la pieve aveva 5 canonicati di residenza e 4 cappellanie. Di questi canonici conosciamo Prevostino che nel 1269, al 20 dicembre era delagato pontificio per definire una questione.
Nel 1523 era di nuovo nostra e nel catalogo di quell’anno si legge: Pieve di San Marziano di Sparvara, prevosto di Santa Maria di Cambiò. Nel sinodo Settala è così enunciata: Pieve di Sparvaara ossia di Cambiò. Nel 1590 era prevosto Don Ottaviano Zagai. Nel 1523, da questa pieve dipendeva soltanto la la chiesa o cappella di Santo Stefano e la chiesa di Santa Maria di Campo Minato. Nel sinodo di Mons. Dossena si legge che dalla Pieve di Cambiò dipendeva la Parrocchia di Mezzana. La Sparvara fu inghiottita dal Po nel 1716. La pieve di Cambiò deve essere stata, come altre, fuori dal castello, inghiottita dal Po prima, trasportata a Cambiò dopo con altro titolo del 1523.
Ciò si deduce dalla dicitura del catalogo del 1523 dove, sebbene sia conservato il titolo di pieve di San Marziano di Sparvara, il prevosto porta non più il titolo di San Marziano ma di quello di Santa Maria di Cambiò.
Nel 1572 la chiesa era stata costruita di recente, con diversi stili e mancava ancora il campanile. L’Oratorio di Villa Nova apparteneva ai canonici di San Michele di Pavia ed era in cattivo stato di conservazione: oltre a quello di Santo Stefano dentro il Castello di Cairo dove si diceva la messa festiva, vi era quella dei SS. Carlo, Rocco e Defendente, del Comune. Vi erano 59 famiglie, a Villanova 8, alla Sparvara 11, alla Capraglia 1, alle cascine verso Alluvioni al di là del Po 11, a Monteriolo oltre il Po 8, alla Comuna, Contalupa, Crocetta, Cassinotto dei R.R. Barnabiti presso la Guazzora 4; vi era un cappellano, maestro di scuola.
MEZZANA BIGLI e CASONI BURRONI
Da “Storia dei comuni e delle parrocchie della diocesi di Tortona” – mons. Clelio Goggi. Edizione 4° - anno 2000
Con il nome di Mediana, Mezzana si intendeva nel Medio Evo un luogo in mezzo alle acque, ossia circondata da fiumi, rogge, canali. La Mezzana che andiamo a trattare, nel 1463 era chiamata Mezzana Isolaria e di lei era signore Giacomo Corti della Guazzora. Nel 1493 è nominata la Messoria Isolaria divisa in Soprana e Sottana. Messoria è pure della Messoria dei Corti (Messoria forse perché Media Ora, fra le rive dei fossi) e l’anno dopo è nominata Mulino della Colonna; nel 1403, lettere ducali, vietano le fortificazioni dell’Isolaria divenuti ricetto dei malfattori. Il conte Aureliano Beccaria (della Guazzora) non essendoci la sicurezza dell’Isolaria, chiese al Governatore di Milano di portare le armi sia lui che i suoi domestici, per sicurezza. Anche ai nostri giorni, la regione dei Malò è ricordata con fama terribile. La parola “malò” significa “luogo acquitrinoso”. La Mezzana era civilmente unita alla Gerola, era dei Corti come feudo e passò ai Biglia di Milano. Alla Mezzana, sfociava il Sesia nel Po. Nel 1771 il conte Vitagliano Biglia, ne divideva per metà l’abbandonato letto. E’ probabile che questo territorio lo abbia popolato dapprima una colonia della Gerola con cui fece comune fino al 7 settembre 1800; la separazione avvenne sotto il governo francese. Fino a quel tempo non vi erano che casolari costruiti di legnami, pietra e coperti di paglia liscia.
Anche ecclesiasticamente dipendeva dalla Gerola che allora era più vicina di quanto lo sia adesso. Non si capisce bene se era parrocchia o no ma c’era un sacerdote cappellano nel 1523 e che la popolazione si tassò per avere una guida spirituale fissa, un sacerdote stabile con il titolo di vice-parroco diventato poi rettore riservando a se il diritto di nomina che poi cedette ai feudatari. Come parrocchia appare nel sinodo di Mons. Gambara nel 1595 dipendente dalla pieve di Sparvara (Cambiò). Il titolo di arcipretura le fu concessa da mons Andujar (che dimorava di frequente al Cassinone della Guazzora) nel 1784 a richiesta di quel rettore che non doveva essere a meno dei vicini parroc di Pieve del Cairo, di San Nazzaro che avevano il titolo di arciprete.
La chiesa parocchiale attuale fu eretta nerl 1807 dalla popolazione con il concorso dei nobili Biglia Confalonieri, Nel 1752 la parrocchia contava 150 fuochi e 750 anime comprese la Messora, il Terzo, la Colonna, Le Cascine Nuove vennero staccate da Mezzana e date alla Pieve (Pieve del Cairo) perché il Vescovo di Vigevano aveva date alcune cascine alla parrocchia di Cambiò alla fine del 700. L’oratorio di San Rocco fu eretto nel 1807 in ringraziamento per la liberazione del paese dalla peste. E poi sotto Mezzana c’era e c’è tutt’ora Casoni Burroni.
Con il nome di Casone, in dialetto s’intende un capannone fatto di piccoli pali intrecciati sostenuti da tronchi d’albero e da pilastri di mattoni seccati al sole, intonacati con fango misto a fieno digerito da buoi e coperti di paglia con solaio o ripiano di tavole di legno. Questo modo di edificare le case era molto comune fino alla metà del secolo scorso nei paesi attrono al Po. Dei suddetti “casoni” è rimasto nulla, soltanto il nome del luogo di cui stiamo parlando. Qui, gia nel 1599, vi era una cappella eretta e dotata dalla contessa Anastasia Bigli e rifatta nel 1700 dalla contessa Fulvia Bigli che conservò il patronato. Appartennero, i Casoni, alla parrocchia della Gerola fino a soppressione della dioveci ai tempi di Napoleone. Ristabilita la diocesi, fu dichiarata prima succursale di Mezzana Bigli, poi fu eretta parrocchia.
CENNI STORICI
Il termine Mezzana deriva dal latino “mediana” (o “medianus”), che nel Medioevo era attribuito a quelle località situate nei territori di Pavia, Lodi, Piacenza e Parma «dove sono più frequenti le variazioni del corso del Po (o) circuiti dal fiume e formanti isole o quasi isole» come si legge nel volume “Mezzana Bigli nella storia”, edito nel 2000 dalla Pro loco Mezzanese. E in effetti la naturale collocazione del paese tra i fiumi Po, Agogna e Scrivia legittima l’uso del toponimo.
Divergenti sono invece le determinazioni che accompagnavano il nome dell’antico insediamento. È opinione di Francesco Forte che Mezzana fosse l’antica Mediana Laumellorum, mentre monsignor Goggi attesta l’esistenza nel 1463 di una Mediana isolaria, di cui era signore Giacomo Corti della Guazzora. Ufficialmente dal XVI secolo al termine Mezzana fu associata la determinazione Biglia o Bigli, dal cognome della nobile famiglia che nel 1525 era feudataria del luogo. La più antica attestazione relativa a Mezzana Bigli è contenuta nel Contado pavese del 1250: tra i Comuni tassabili della Lomellina compare “Glarea Meçana”, ovvero Gerola con Mezzana. Presumibilmente sin dalle sue origini il territorio di Mezzana Bigli era unito alla Gerola, nel contado di Pavia. Sia il Pollini sia il Casalis concordano nell’affermare che i primi abitatori di Mezzana Bigli provenissero dalla Gerola e collocano il primo nucleo abitativo in tempi non anteriori al XVII secolo. Secondo Forte, invece, dal XV secolo Mezzana già esisteva come frazione del Comune di Gerola.
Un vivace alternarsi di famiglie feudatarie della zona si registra tra il XIV e il XV secolo. I primi feudatari del luogo furono i Corti e i Sannazzaro. Nel 1355 si registra la presenza dei Beccaria. Con decreto datato 17 maggio 1525, il nuovo duca di Milano, Francesco Il Sforza, smembrò il feudo di Casei, concedendo Gerola con Mezzana, Campalestro e Guazzora a chi tanto si era adoperato a favore degli Sforza: quel cavaliere era Giovanni Antonio Biglia, membro di un casato milanese di antico lignaggio. Alla fine del Settecento la famiglia Biglia si estinse: le due eredi Pia Anna e Fulvia si unirono in matrimonio con i membri di due differenti casati, Confalonieri e Crivelli, con il conseguente sdoppiamento dell’antica proprietà. In particolare, il possedimento di Mezzana toccò ad Anna che andò in sposa a Eugenio Confalonieri, discendente di pur nobile famiglia milanese. A Fulvia, che si unì in matrimonio con il marchese Crivelli di Milano, toccò la parte relativa a Balossa. Sempre nel Settecento i Confalonieri si legarono agli Strattmann, antico casato austriaco. L’ulteriore evoluzione del casato si ebbe nel Novecento, quando Carolina, secondogenita di Eugenio Confalonieri, si unì in matrimonio a un Radice Fossati.
Le variazioni del corso del Po non rappresentano solo un evento orografico, ma legittimano dal punto di vista territoriale la separazione tra la comunità di Mezzana Bigli e quella di Gerola, che si verificò nel settembre 1800. Il Comune di Gerola con Mezzana era ormai spezzato in due tronconi di dimensioni comparabili: la non continuità territoriale e le spartizioni territoriali tra la Repubblica Cisalpina e l’Impero Francese sfociarono inevitabilmente nella divisione amministrativa tra Gerola e Mezzana con la conseguente creazione di due centri indipendenti.
Nel periodo napoleonico, in seguito all’assestamento politico territoriale della penisola italiana, realizzato il 7 settembre 1800, il Novarese (cui era annessa anche la Lomellina) entrava ufficialmente a far parte del Repubblica Cisalpina. Con decreto del 6 Brumale anno IX, infine, i paesi situati tra Sesia e Ticino vennero riuniti in un nuovo dipartimento denominato dell’Agogna. Questo evento segnò in modo determinante la storia del paese. Mezzana Bigli, collocata sulla riva sinistra del Po, apparteneva al Repubblica Cisalpina, mentre Gerola, situata sulla sponda destra del fiume era aggregata all’Impero francese. L’appartenenza a due realtà politiche diverse, pur essendo la Repubblica Cisalpina un prodotto della Francia rivoluzionaria, determinò la scissione amministrativa. E allora Mezzana Bigli divenne Comune autonomo della Lomellina.
CHE COSA C’È DA VEDERE
La chiesa parrocchiale dedicata a San Giovanni Battista fu realizzata nei primi anni dell’Ottocento, secondo moduli neoclassici, e fu ristrutturata dal Frascaroli nel 1970. Il restauro ha interessato l’aspetto architettonico e ha mirato alla conservazione delle opere pittoriche del Raggi (nella zona absidale) e del Gambini (nelle navate). Lo splendido altare maggiore in stile barocco, su cui si eleva un crocifisso ligneo di grande valore, fu fatto innalzare in marmi pregiatissimi dalla contessa Anna Confalonieri.
Nelle navate troviamo, a destra, un prezioso altare con tarsie marmoree, in cui è collocata la statua della Vergine. A sinistra si trova il battistero con copertura lapidea poggiante su colonne in marmo. Degni di nota sono la sacrestia in noce, risalente al XVIII secolo, e l’organo Lingiardi. La chiesa della frazione Casoni Borroni, dedicata a Santa Maria Assunta, fu fatta erigere da Anastasia Biglia verso la fine del Cinquecento. Successivamente fu ingrandita e ristrutturata da Fulvia Biglia nel corso del XVIII secolo.
Una grande tela collocata nel coro, raffigurante una maestosa immagine della Madonna Assunta, è degna di particolare attenzione: è attribuita a Gaudenzio Ferrari (1475-1546).
La chiesa della frazione Balossa Bigli fu fatta erigere dal marchese Crivelli nel 1820 in ampliamento dell’oratorio già esistente nel 1752. Allora si presentava a un’unica navata, ma nel corso degli anni subì ulteriori ristrutturazioni e ampliamenti. Nel 1895 fu aggiunta una controsacrestia a sinistra del presbiterio, nel 1905 fu aggiunta la navata destra e, nel 1922, la sinistra.