La famiglia FERRARI (nonno materno) / I paesi dove la mia famiglia ha vissuto.
I PAESI IN CUI VISSE LA MIA FAMIGLIA

ROCCA DE’GIORGI (Pavia)
E’ un comune italiano di 66 abitanti della provincia di Pavia in Lombardia. Si trova nell'area collinare dell'Oltrepò Pavese, nella valle del torrente Scuropasso. L'insediamento è sparso: l'antica rocca e la parrocchiale si trovano su due colli sui due opposti lati della valle, mentre la sede comunale, Villa Fornace (con la villa del conte Giorgi di Vistarino), è a fondovalle. Rocca de' Giorgi, sede di un'antica pieve della diocesi di Piacenza, fu fortificata fin dall'alto medioevo, probabilmente da un antico signore di nome Aimerico. Si chiamava infatti Rocca di Aimerico quando, nel 1164, è citata tra i luoghi dell'Oltrepò che passarono sotto il dominio pavese. Vi ebbe successivamente la signoria la famiglia pavese Campeggi, per cui prese il nome di Rocca Campesana; passò poi sotto il dominio dei Sannazzaro, e per matrimonio a Fiorello Beccaria, che ricostruì la Rocca che da allora fu detta Rocca di Messer Fiorello, o Roccafirella. Nell'ambito del dominio dei Beccaria, giunse al ramo di Montebello, appartenendo al feudo di Montecalvo. Estinti nel 1629 i Beccaria, fu acquistato dai conti Giorgi di Vistarino (feudatari anche di Pietra de' Giorgi ed imparentati con i Giorgi di Ferentino, già proprietari delle omonime fornaci), dai quali col tempo prese il nuovo nome. I loro discendenti sono tuttora i maggiori proprietari del comune, nonostante l'abolizione del feudalesimo nel 1797. Nel 1938 fu unita a Rocca de' Giorgi la frazione Vallorsa, smembrata dal disciolto comune di Montù Berchielli (diviso tra Montalto Pavese e Ruino).
ROCCA DE GIORGI. Da “Storia dei comuni e delle Parrocchie della diocesi di Tortona”
Mons. Clelio Goggi – quarta edizione – 2000
«Una strada riunisce Pietra de' Giorgi al monte della Selva ai cui fianchi s'alza l'antica Rocca de' Giorgi con la quale essa non solo dagli ultimi respiri del medio evo ebbe comuni la distinzione che viene dai Giorgi, ma da più lontana età ebbe stretto legame di vita e per comunanza di padrone.
“Infatti un documento conservato nell'archivio vescovile di Pavia che si trova chiuso nel pacco più antico del notaio Francesco De Sisti, un'autentica fatta a favore di Castellino Beccaria, ci dice che nel 1300 la Rocca dei Giorgi coi luoghi circostanti e presumibilmente con Pietra dei Giorgi apparteneva a Fiorello Beccaria, in parte come dote di sua moglie che era una Sannazzaro ed in parte per eredità. «Già prima la Rocca de' Giorgi era detta Rocca de’Aimerici e poi Rocca Campesena o dei Campeggi, quindi Rocca dei Beccaria, denominandosi poi Rocca de' Giorgi per essere venuta in possesso dei conti Giorgi ai quali ancora appartiene insieme ai colli tanto accuratamente coltivati a viti ed un palazzo già restaurato non molti anni fa e condotto a grandiosa suntuosità dall'attuale proprietario conte Augusto Giorgi di Vistarino (1908) ed ove la famiglia scese abbandonando l'antico castello, quasi caduto a rovina, per compiacersi di maggiori comodità.
« La prova maggiormente accertatrice che tanto la Rocca quanto Pietra erano in possesso della medesima famiglia anche prima che venisse in quella de' Giorgi, evidentemente viene dal privilegio dell’Imperatore Venceslao del 12 marzo 1385, nel quale è nominata una famiglia Sannazzaro detta della Pietra (l'attuale Pietra de' Giorgi), e sapendosi dal notaio De Sisti che a Fiorello Beccaria venne il possesso della Rocca (de' Giorgi) per dote di una Sannazzaro, abbiamo la certezza che entrambi i luoghi appartenevano alla famiglia Sannazzaro, della quale nel sopra indicato privilegio del 1395 figuravano particolarmente un Oberto ed un Bertolillo che erano certamente i signori e padroni del luogo e del castello della Pietra. «Così dopo che il luogo di Pietra e di Rocca erano degli Aimerici, dei Campeggi e dei Sannazzaro, passarono ai Giorgi pure insieme al possesso di Vistarino.
«Infatti il Robulini presumendo che Castellino Beccaria di Vistarino rammentato dal Botta sotto la data del 1404 era figlio di Zanone, alla sua volta quasi certamente figlio di Fiorello e nominato nei registri civici del 1389, ed ammettendo la concorrenza della circostanza che i discendenti di Fiorello Beccaria possedevano il luogo di Vistarino, e sapendo che i Giorgi divennero proprietari di questo luogo per eredità venuta a loro da Beccaria, è facile concedere che il patrimonio, proveniente in gran parte' dai Sannazzaro per mezzo dei discendenti di Fiorello Beccaria, che per primo della sua casa ne ottenne il possesso, passò ai Giorgi e così loro pervennero i castelli della Rocca e di Pietra ed insieme il luogo di Vistarino che ai Giorgi diede il titolo di conte. «Antonio Giorgio aulico ducale aveva sposato Franceschina Beccaria di Fiorello”.
Oltre a queste vicissitudini di possesso Rocca subì anche quelle politiche e noi sappiamo che Federico I, nel 1174 concedeva questo luogo ai Pavesi insieme a Pietra (togliendola ai Piacentini) e che Enrico IV nel 1194, Federico II nel 1919 lo confermarono a quelli. «I De' Giorgi ebbero sopra Pietra e Predalino e sopra la Rocca di Vistarino i diritti feudali, i due primi per investitura 1674 data a favore di Paolo Gerolamo, per il terzo (la Rocca) per investitura del 3 marzo 1685 a favore dei fratelli Gerolamo ed Antonio Domenico; per Vistarino, per investitura del 12 dicembre 1659 coll'aggiunta nel 1698 del titolo di conte di Vistarino, ottenendo nel 1695 investitura del luogo di Calvignano”.
I Campeggi tenevano la Rocca in feudo dal Capitolo della cattedrale di Pavia: il 30 giugno 1244 lo stesso Capitolo ne investiva messer Fiorello Beccaria, onde da allora la Rocca fu detta Rocca di messer Fiorello.
L'antico castello di Rocca de' Giorgi, molto internato nella valle dello Scuropasso, trovasi nella parte superiore di essa, in luogo solitario e spopolato circondato da boscaglie, non presentava alcuna attrattiva ai suoi proprietari, i quali preferivano abitare in altri loro possedimenti più o meno isolati. Antonio Devecchi, approfittando dell'assenza dei suoi signori ed abusando della sua qualità di agente della Casa, sicuro dell’impunità, la faceva da padrone assoluto e d’animo avaro e malvagio voleva arricchirsi ad ogni costo anche con la rapina e l'assassinio.
Tali disordini erano frequenti in quel tempo; pochi anni prima, in valle della Versa la sera del 20 ottobre 1661 erano stati uccisi due soldati irlandesi della compagnia del sig. Luca Stuf acquartierata a Rivanazzano, i quali erano passati da Montalto per recarsi a riscuotere il loro soldo a Montecalvo, e fu ucciso anche il console del paese che li accompagnava; l'assassinio fu commesso a scopo di furto del poco denaro raccolto e degli abiti e delle armi”.
Ancora nel secolo XIX (dopo Napoleone) Ia valle dello Scurapasso e dei dintorni era infestata da una banda di malfattori che svaligiava le case, assaliva i viandanti e per fare baldorie si rifugiavano di notte tra i ruderi del castello di Rocca.
Notizie religiose - Rocca era pieve della diocesi di Piacenza; possediamo al riguardo un documento del principio del secolo XIII che contiene interessanti notizie sulla pieve e che conferma pienamente quanto ho scritto nel primo volume sulle pievi e sull'origine delle parrocchie. In parte lo riassumo ed in parte lo cito testualmente, perchè abbia maggiore autorità. E' la deposizione di alcuni testi intorno alla dipendenza delle chiese di Pecorara e di Marzonago da quella di Pietra contro le pretese di Martino procuratore della chiesa di S. Colombano. La nostra è chiamata plebs de Rocca. Vi si dice che 60 anni prima arciprete ne era certo Pietro. E ciò si dice per transenna, segno che la pieve era più antica di 60 anni prima della lite. La pieve aveva giurisdizione su Marzonago, Corneto, Bosseto, Capriale e Pecorara al di là del Tidone, i quali luoghi le pagavano la decima.
Circa i diritti della plebe un teste depone: “Videbam archipresbiterum Petrum venire ad ecclesiam (di Pecorara) et celebrate missam, et videbam illum presbiterum (di Pecorara) obedire ei: vidi eos (i parroci di Pecorara e di Marzonago) venire ad plebem cum litaniis et quandoque cilm ei veni, et vidi presbiterum Ugonem Caudaruttam et presbiterum Ioannem Gattapregnam et Ruffinum (già parroci di detti luoghi) et hunc presbiterum Lanfrancurn venire ad plebem pro baptismo, et vidi eos ad plebem baptizzare, et vidi archipresbiterum Petrum et hunc (l'attuale) archipresbiterum venire ad Pecorariam et Marçonagum pro sepultura hominum; scio quod ille ecclesiae (le cinque suddette) sunt intra decimationem plebis (pagano la decima alla pieve) et vidi nuncios plebis collígere decimas; (e un altr'anno) vidi quod prior Petrus de Castro Punciano investivit (diede in appalto) Obertum Gastaldum de illa decima; et vidi presbiteros venire ad capitulum in die mercuri in capite jejuni (mercoledi delle Ceneri), et scio quando levavimus ecclesiam Marçonagi quod abstulimus decimam plebis pro levare earn sed Episcopus Ugetionus fecit nos' reddere earn plebi, et videbam ampullam chrismatis ad ecclesiam Pecorariae, et audiebam dicere ab illis sacerdotibus quod hoc habemus a plebe, et scio quod presbiteri dabant coltam archipresbitero. Presbiter Lanfrancus qui venerat Marçonagum et stabat in domo fratris rogavit me ut rogarern archipresbiterum quod mitteret eum in illa ecclesia, et rogavit inde archipresbiterum et Ruffinum, et ille dixit: non faciam et nolo quia non est noster clericus” (non della nostra pievania).
Un altro teste depone: “Ego ivi cum magistro Vidone (sacerdote incaricato dell’insegnamento) ministro plebis ad Pecorariam pro sepultura”.
Un altro teste depone: “Vidi archipresbiterum mittere presbiterum Ugonem Caudam Ruptarn et Ioannern Gattapregnam venire Pecorariam et eos stare ibi pro plebe” (cioè come vicario).
L'arciprete di Rocca conservò sempre il titolo di arciprete: non però né l'ufficio nè il nome di pievano. Nel 1354 è denominato semplicemente chíesa di S. Michele (4) e sottoposta al vicariato di Canevino; nei sinodi piacentini del 1623 e 1686 è chiamato ancora pieve, plebs sancti Michaelis de Rocca Georgiorum, ma annessa al vicariato di Montalto. Nella visita del 1685 la parrocchia contava anime da comunione 89, non da comunione 53.

ZAVATTARELLO (Pavia)
Zavattarello è un comune italiano di 1.061 abitanti nella provincia di Pavia in Lombardia. Il piccolo borgo, situato nell'alta val Tidone, fa parte del circuito dei i borghi più belli d'Italia ed è dominato dalla mole del castello di Zavattarello. Vive soprattutto di agricoltura (uva e mele) e di turismo (residenze estive, agriturismo e turismo panoramico motorizzato). Unito con il Bobbiese al Regno di Sardegna nel 1743, in base al Trattato di Worms, entrò a far parte poi della Provincia di Bobbio. Nel 1801 il territorio è annesso alla Francia napoleonica fino al 1814. Nel 1848 come parte della provincia di Bobbio passò dalla Liguria al Piemonte, nel 1859 entrò a far parte nel Circondario di Bobbio della nuova provincia di Pavia e quindi della Lombardia, nel 1923, dopo lo smembramento del circondario di Bobbio, passò alla provincia di Piacenza e quindi all'Emilia-Romagna e poi ritornò nel 1925 alla provincia di Pavia e alla Lombardia. Nel 1929 il comune di Valverde venne unito a Zavattarello, che prese il nome di Zavattarello Valverde; fu quindi ricostituito nel 1956. Zavattarello è storicamente documentato nelle carte bobiensi del IX secolo come Pieve di San Paolo in Sartoriano[1]
BREVE CRONOLOGIA
III-IV sec. a.C. Prime testimonianze archeologiche sulla collina di Zavattarello.
929 d.C. I monaci di Bobbio sostano nella chiesa di San Paolo di Zavattarello durante il loro percorso per portare le spoglie di S. Colombano a Pavia.
fine X sec. Il Castello di Zavattarello viene fatto costruire dal vicino monastero di Bobbio.
1169 Il castello viene conquistato dai piacentini. Iniziano le lotte per il possesso del maniero tra Landi e Scotti.
1209 L'imperatore Ottone IV concede Zavattarello al vescovo di Bobbio.
1264 Il feudo di Zavattarello passa a Ubertino Landi, signore della guerra pluriscomunicato, che fortifica la rocca rendendola inespugnabile. Grande razziatore, negli anni successivi diventa il terrore della regione, ma grazie alla sua potente influenza si consolida lo sviluppo del borgo.
1327 Manfredo Landi è signore del castello, grazie a Lodovico il Bavaro.
1358 Firma del Trattato di Zavattarello: Gian Galeazzo Visconti convoca nella rocca di Zavattarello le famiglie Beccaria e Landi per stipulare una lega contro i Pavesi. Si consolida il dominio dei Landi sull'Oltrepò Pavese.
1390 Il vescovo di Bobbio (rientrato in possesso di Zavattarello nel 1385) cede il castello al capitano di ventura Jacopo dal Verme, donazione che nel 1391 viene ratificata da papa Bonifacio IX. Inizia il pressoché ininterrotto dominio dei Dal Verme.
1485 Pietro dal Verme viene avvelenato: Lodovico il Moro si impossessa di Zavattarello, cedendolo al Sanseverino.
1525 Dopo la battaglia di Pavia, i Dal Verme rientrano definitivamente in possesso di Zavattarello.
1817 Zavattarello passa dalla Diocesi di Bobbio a quella di Tortona.
1923 Zavattarello viene aggregato alla provincia di Piacenza: dopo la marcia su Bobbio del 1924, l'anno seguente torna in provincia di Pavia
1944 Durante il Rastrellamento, i Nazisti incendiano il castello, causando seri danni.
1975 Il castello e la collina circostante vengono donati dalla famiglia dal Verme alla cittadinanza di Zavattarello.
1978 L'amministrazione comunale inizia il restauro della rocca.
1999 Il Castello Dal Verme apre al pubblico.
2003 Viene istituito il Museo d'Arte Contemporanea del Castello.
Zavattarello deve il suo nome all'attività che fu prevalente nel borgo per secoli, quella dei ciabattini: il volgare “savattarellum” indica proprio letteralmente “il luogo dove si confezionano le ciabatte (savatte)”. Ancora oggi, nel dialetto locale, il paese è chiamato “Savataré”.
La leggenda narra che Zavattarello sia stato rifugio di disertori romani fuggiti dalla battaglia del Trebbia, vinta da Annibale nel 218 a.C. La presenza di un villaggio in quel periodo è confermata dal ritrovamento di una necropoli romana, anche se altri reperti più antichi suggeriscono che il luogo fosse già abitato in precedenza. Sembra pure che, in tarda età romana e nel Medioevo, lavorassero in paese molti calzolai: lo stesso nome di Zavattarello deriverebbe da un termine locale dell'epoca verosimilmente somigliante al moderno “zavaltée”. L'importanza di Zavattarello nell'Alto Medioevo, soprattutto in ambito religioso, è evidente in un episodio del 929. Durante il loro percorso per portare le spoglie di S. Colombano a Pavia, i monaci di Bobbio sostarono per la prima notte del loro viaggio nella chiesa di San Paolo, che in quell'occasione viene definita "pieve". Pare quindi che la chiesa esistesse in epoca molto antica, che anzi sorga nel sito di un antico santuario pagano dedicato a Saturno: proprio da questo luogo di culto deriverebbe secondo alcuni il nome del paese in uso fino all'inizio del Basso Medioevo, "Sarturanum".
Alla fine del X secolo sembra risalire l'edificazione del nucleo originario del castello che oggi domina il paese. Esso rimase possedimento del vescovo di Bobbio fino al 1169, quando, durante le lotte tra Pavesi e Piacentini, fu conquistato da questi ultimi.
Nel 1209 per decisione dell'imperatore Ottone IV Zavattarello ridivenne possedimento del vescovo di Bobbio. Fin dal 1169, fu teatro di prolungate contese tra due fazioni piacentine: quella ghibellina capitanata dalla famiglia Landi e quella guelfa guidata dalla casata degli Scotti. Le alterne vicende belliche e diplomatiche permisero a entrambe le parti di governare il feudo: l'ultima parola fu dei Landi, che tennero Zavattarello sino all'approssimarsi dell'era viscontea.
Su Ubertino Landi, temuto signore di Zavattarello, si favoleggiavano truci leggende che difese il castello da numerosi attacchi e da altrettante sanguinarie battaglie. Col tempo e con la vecchiaia egli però decise di cedere i suoi possedimenti ai guelfi piacentini. L'affermazione dei Visconti segnò l'ascesa dei Dal Verme: nel 1390 il vescovo di Bobbio attribuì il feudo a Jacopo Dal Verme, oriundo di Verona, celebre condottiero e fondatore di una scuola militale conosciuta in tutta Europa. Egli fu il primo della casata Dal Verme ad avere possedimenti nell'Oltrepo Pavese. Nel 1485 Lodovico il Moro fece avvelenare il conte Pietro Dal Verme, che non lasciò prole maschile: il Moro si impadronì cosi di Zavattarello e lo infeudò a Galeazzo Sanseverino, conte di Caiazzo. Nel 1499 Lodovico il Moro fuggì da Milano di fronte all'avanzata dell'esercito francese comandato dal milanese Gian Giacomo Trivulzio e si rifugiò in Germania, insieme al Sanseverino. Bernardino della Corte, cui era stato affidato il Castello di Milano, si arrese ai Francesi per denaro e fu ricompensato proprio col feudo di Zavattarello e con altri beni che erano appartenuti ai Dal Verme. Gli eredi di questa famiglia però continuavano a reclamare i propri diritti e nel 1512, alla morte della Corte, riebbero Zavattarello. Da parte sua, il Sanseverino si alleò ai Francesi e nel 1520 riottenne il feudo da Francesco I. Le lotte tra il Sanseverino e i Dal Verme terminarono solo con la morte del primo alla battaglia di Pavia nel 1525: da allora i Dal Verme rimasero padroni incontrastati del feudo.
Nel 1817 Zavattarello passò dalla Diocesi di Bobbio a quella di Tortona e nel 1923, con Bobbio, fu aggregato alla provincia di Piacenza. Le proteste, sfociate in una clamorosa "marcia su Bobbio" nel dicembre 1924, costrinsero le autorità a organizzare un plebiscito che nel 1925 decretò il ritorno del centro sotto Pavia.
Con la seconda guerra mondiale, Zavattarello divenne uno dei principali teatri delle vicende belliche dell'Oltrepò, tanto che i Nazisti diedero alle fiamme il castello il 23 novembre 1944 come monito per i Partigiani della zona.
Nel 1975 i figli e la moglie del Conte Giuseppe Dal Verme firmarono un atto di donazione del castello al Comune di Zavattarello, che ne è l'attuale proprietario. L'amministrazione comunale si è occupata, nei decenni, dei restauri che rendono oggi il maniero un polo di attrazione turistica e culturale in continua crescita.
Zavattarello: una costellazione di frazioni
Alcune delle piccole frazioni di Zavattarello sono collocate in luoghi panoramici e pittoreschi, ricchi di storia e arte come il capoluogo. Ci sono località dalla vocazione agricola la cui vita si svolge ancora come un tempo. Altre sono molto attive e spesso ospitano eventi legati alla tradizione.
Curioso è notare che tutti questi paeselli hanno una loro chiesa, tranne uno: una particolarità che si comprende a pieno con una visita di persona.
Ciascuna delle frazioni di Zavattarello è una piccola gemma, con le sue peculiari caratteristiche, che merita di essere scoperta.
Quali sono le frazioni di Zavattarello?
Sono tantissime, certe grandi, alcune con pochi gruppi di case, ma tutte ben identificate: Bivio Lagagnolo, Bivio Romagnese, Bonaria, Bosseda, Brignola, Campi, Campo Ramoso, Canova, Casa Cagnone, Casa Canevaro, Casa Marchese, Casa Mercanti, Casa Rosa, Casa Rocchetta, Casa Rubero, Casa Schiava, Casa Stefanone, Casale, Cascina Mirani, Cascine, Castignoli, Chiappadello, Chiapparola, Colombaia, Costa Ceci, Crocetta, Crociglia, Lagagnolo, Moline, Molino Chiapparola, Molino Invidia, Molino Nuovo, Montemeschino, Ossenisio, Panigà, Perducco, Pradelle, Recrosio, Rossone, Rovere, San Silverio, Spolitta, Tovazza, Valle Inferiore, Valle Superiore, Villa Giulia
Frazioni ricche di storia:
Le austere e antiche case rustiche di Tovazza sembrano fiere del loro essere millenarie: esistono citazioni già nell'anno 862 tra i beni del non lontano monastero di Bobbio (Pc). Lì vicino si può raggiungere Pradelle, ideale per gli amanti della natura e della quiete. Lungo una cresta battuta dal sole sono site due tra le frazioni più caratteristiche: Ossenisio e Perducco. Si trovano in quell'area che viene chiamata Oltretidone, in quanto sull'altra riva del torrente rispetto al capoluogo. Ossenisio si trova su un poggio a strapiombo sul fiume Tidone; Perducco, appena a due chilometri a ovest, viene ricordata nei documenti di Bobbio dell'862, dove si cita un'antica rocca e una plebs dedicata al martire S. Antonino. Le vecchie case con i loro forni accanto in cui si cuoce ancora il pane, le viuzze, le profonde grotte del Groppo non ancora completamente esplorate che si aprono proprio a picco sotto le prime case del paese fanno di Perducco un luogo estraneo allo scorrere del tempo. La vicina San Silverio è l'antica "Sancti Severi" menzionata in un estimo vescovile di Bobbio del XIV secolo, in cui si ricorda l'esistenza di un "hospitale". Tra Zavattarello e Pietragavina, andando verso Varzi, si incontra Rossone, su un poggio assolato a circa 750 m d'altitudine, luogo apprezzato per una tranquilla villeggiatura. Le Moline, a un paio di chilometri da Zavattarello in direzione della Diga Valtidone, è la frazione in cui si respira più storia, con la torre degli Scolopi, l'antico monastero e i caratteristici mulini che danno il nome alla frazione.
Chiese e oratori
Quasi ogni frazione possiede la sua chiesa, alcune delle quali sono dei piccoli capolavori. L'oratorio di S. Silverio è tra i più antichi: da un istromento datato 17 febbraio 1486 del notaio Bertola Gazzotti di Zavattarello risulta che un tale Bartolomeo Ramella, procuratore dell'arciprete del paese don Antonio Bozzola, dichiarò di "ricevere da Francesco e fratelli Cavaleri la somma di lire 36,18 imperiali per il fitto d'anni uno sopra la possessione e beni di San Severo, territorio di Zavattarello".
Verso la fine del XVI secolo, l'oratorio di Perducco era dedicato a S. Antonino: è ricordato nella relazione della visita del vicario generale del vescovo di Bobbio del 1597, in cui si legge "Chiesa di S. Antonino di Perducho, nella quale non si celebra ma se gli potria celebrare restaurandola alquanto".
L'oratorio di Pradelle è stato costruito nel 1870, con l'annesso locale adibito successivamente a scuola elementare ed abitazione dell'insegnante.
L'oratorio di Crociglia è dedicato a S. Domenico. Non se ne conosce la data di edificazione: la prima notizia sicura si ha in un inventario delle suppellettili effettuato a cura dell'arciprete di Zavattarello l'8 marzo 1788, su istanza di Gerolamo Fiori. Neppure dell'oratorio di S. Michele di Tovazza si conosce la data di costruzione. Possiede alcuni beni immobili provengono da un certo Carlo Marchisola fu Bernardo a rogito notarile del 23 maggio 1848, enumerati in un inventario del 12 novembre 1925 dell'arciprete Domenico Franzosi.
L'oratorio di S. Martino alle Moline consta di una piccola navata con altare in sasso. Nel 1927 fu edificato un piccolo campanile per collocarvi la campana che fino ad allora si trovava sui tetti di un'attigua casa privata.
Fu edificato nel 1858 l'oratorio di S. Stefano a Cascine su autorizzazione della corte d'appello di Genova, su conforme parere del vescovo di Tortona, a cui era stata rivolta formale istanza da tutti gli abitanti di Cascine per erigere un oratorio "per somministrazione dei Sacramenti agli infermi e impotenti e per la celebrazione della Messa nei giorni 26 maggio, 17 gennaio e 8 dicembre di ciascun anno onde adempiere al voto fatto per la grazia ricevuta mentre il colera desolava tutti gli altri vicini villaggi"
ZAVATTARELLO – Da “Storia dei comuni e delle Parrocchie della Diocesi di Tortona”
Don Clelio Goggi, edizione 4°, anno 2000
Notizie civili - Zavattarello apparteneva al comitato di Bobbio; l'imperatore Ottone I con diploma 25 luglio 792 ne lo staccò e lo diede all'abbazia di San Colombano. Quando questa fu eretta in vescovato (1014) Zavattarello passò all'Abate Vescovo, e quando queste due dignità furono separate, Zavattarello passò al Vescovo. Nel secolo XII vi furono delle gelosie tra Pavesi e Piacentini per il possesso della val Tidone: nel 1183 i Piacentini dovettero distruggere le fortificazioni di Dorbecco per dal: soddisfazione ai Pavesi, ma tosto si rivalsero, e sei anni dopo tolsero Zavattarello al Vescovo e distrussero Pietra Sillena e Perducco per aumentar la propria potenza e diminuire quella dei Pavcsi. Tennero Zavattarello per venti anni, cioè sino a quando l'Imperatore Ottone IV con diploma 2 maggio li obbligò a restituire il mal tolto, come insegna il Guasco.
Nel 1248 Rolando Aviano console di Pavía con Riccardo Muricola suo socio, per mandato di Guido di Sesso si recò a Zavattarello con sette cavalli ed un notaio, e vi rimase alcuni giorni. Come ciò sia avvenuto e per quale motivo non si conosce: Rolando era pavese, Guido era piacentino. Sappiamo che nel 1259 i Pavesi onde distogliere i Piacentini da altre imprese loro avevano occupato Zavattarello.
I Piacentini lo riebbero. Zavattarello però non ebbe pace: alle lotte tra Piacentini e Pavesi subentrarono quella tra guelfi e ghibellini, ed il povero paese ora dell'uno ora dell'altro dei due partiti. Nel 1269 era caduto in potere dei Landi e quattro anni dopo era in potere dei ghibellini; nel 1283 mentre gli intrinseci facevano conquista, gli estrinseci andarono contro Monte Poggio e se ne impadronirono e vi trovarono sessanta buoi e piu di quattrocento bestie minori e molte altre robe che menarono alle loro case.
Nel 1390 tra i due partiti aventi per capo, l'uno Ubertino Landi, l'altro Alberto Scoto, si fece una pace. In questa i seguaci dello Scoto per aver Zavattarello pagarono al Landi ottomila lire. Oberto Spinola ed Oberto d'Oria si resero garanti per una parte e per l’altra e che fossero rispettati i patti. Ciò nonostante Alberto Scoto voleva per se Zavattarello e fece imprigionare alcune persone di questo castello. Allora Ubertino ricorse ai garanti che intimarono al comune di Piacenza, tenuto dal partito dello Scoto, di pagare la pena in caso di contravvenzione.
Pur in queste dispute, l'alto dominio di Zavattarello apparteneva al Vescovo di Bobbio, a lui il comune di Piacenza chiese l'investitura ed il Vescovo Giovanni il Gobbo la concesse con atto 14 gennaio 1291 col patto che il castello non fosse dato ad alcuno della famiglia dell'Andito o del suo partito ghibellino. Il castello fu dato ad Ubertino Landi che nel 1298 con suo testamento lasciava ai figli di suo figlio Galvano.
Seguitando le discordie civili, nel 1304 Bernardo di Mazzucco dell'Andito (ghibellino) per amore del comune di Piacenza, acciò il borgo ed il castello di Zavattarello pervenissero in potere del comune spese molti denari propri, che gli furono restituiti.
Due anni dopo i guelfi volendo far diventar propria la città, si ritirarono a Bobbio ed a Zavattarello, e di là irruppero su Piacenza. Ma i ghibellini vinsero a Pigazzano, e di là si recarono a Zavattarello che lasciarono a pace fatta. Nel 1358 Galeazzo Visconti in guerra contro Pavia radunò a Zavattarello i Beccaria, i Landi ed altri nemici dei Pavesi, e fece con essi una convenzione, e fece ribellar a detta città Voghera, Broni, Arena, Casei, Montalto ed altri castelli con grande spavento dei Pavesi.
I Landi divennero di nuovo signori di Zavattarello e di Perducco in persona di Manfredo per investitura di Ludovico il Bavaro.
Il milite Ubertino Landi si fè reo di fellonia, e perciö il vescovo Roberto Lanfranchi lo spogliò, e diede il castello a Giacomo Dal Verme col titolo di signore il 15 settembre 1390. Dei discendenti di Giacomo il castello rimase per secoli e lo è ancora, eccettuata la parentesi in cui fu del Duca Gian Galeazzo Sanseverino, però in mezzo a continui contrasti. Cessato lo scopo per cui il castello fu edificato, il conte Carlo Del Verme fece costruire una strada carrozzabile per salirvi.
In detto castello si trovano diverse lapidi, fra cui una in caratteri barbarici che vidi io stesso.
Nel 1526 gli Spagnoli, risalita la valle del Nure, passarono da Zavattarello e da Oramala e scesero a Voghera. Nel 1799 sul monte vi passarono gli Austro-russi per sorprendere i Francesi a Bobbio. Nel 1800 nel castello si rifugiò un corpo di Austriaci dopo la battaglia di Casteggio.
In un ricorso del 1788 si legge: “La comunità di Zavattarello per comodità del nuovo mercato è venuta nella determinazione di erigere un porticato nel sito di ragione della medesima denominato il Convento, attiguo all'oratorio di S. Rocco ed alla piazza pubblica”.
Come gli altri paesi della montagna, per il passato, Zavattarello non produceva sufficientemente ai propri bisogni: ora invece anche esporta derrate e date le comodità create è diventato un centro di villeggiatura. Lo stemma di Zavattarello era un dragone legato ad una pianta di cui custodiva i frutti. Il motto era: “Praeda vilis vigilataque poma”.
Notizie religiose - Zavattarello era pieve. Circa il tempo della sua erezione nelle risposte ai quesiti per la visita pastorale del 1820 l'allora arciprete asseriva che fu eretta nel secolo X. Nel 1324 possedeva un legato lasciato da certo Girardino Bozzola come si legge in quell'archivio parrocchiale. Come pieve era servita, oltrechè dall'arciprete, anche da tre canonici. In una pergamena del 1334, 22 aprile, si legge che il discreto sacerdote Oberto arciprete di Zavattarello e fra Giuseppe Arospa canonico di Zavattarello anche a nome di Don Calvo de' Calvi esso pure canonico di quella chiesa accensivano ad Oberto Barbieri un pezzo di terra.
Possediamo ancora un atto con cui nel 1546 l'abate di Bobbio nominava l'arciprete. I due successivi arcipreti furono nominati dalla Santa Sede; il terzo fu nominato dal Vescovo, il quale seguito a nominare gli altri.
Nel 1597 la pieve aveva giurisdizione sulle chiese di S. Maria di Rossone battesimale; di Sant'Antonino di Perducco nella quale non si celebrava ma si avrebbe potuto celebrare restaurandola alquanto; sugli oratori di Costa Calzara rovinati; di S. Bernardo alle cascine e di S. Michele di Castignole, rovinato, come risulta dalla visita pastorale di quell'anno.
Nel sinodo del 1633 furono abolití i diritti delle pievi mediante l'erezione dei vicariati foranei. Zavattarello fu dichiarato vicariato che comprendeva le parrocchie di Valdinizza e S. Albano.
Nel sinodo del 1729 si istituivarro in una nuova ripartizione dei vicariati, ed a quello di Zavattarello venivano sottomesse le chiese di Romagnese, di Trebecco e di Lazzarello. Distaccata dalla diocesi di Bobbio, nel 1817, e passata a quella di Tortona,
la pieve di Zavattarello cessò di essere vicaria, e fu sottoposta alla vicaria di Varzi come si vede nel sinodo di Mons. Negri. Mons. Bandi nel suo primo sinodo le restituì la dignità vicariale come è al presente. Dagli stati d'anime di quell'archivio risultano le seguenti cifre: 1603, anime 1261, di cui 2 sole superiori ai 70 anni, poche quelle superiori ai 60; famiglie 374, contando per famiglie anche-le molte composte di una sola persona. Nel 1746 le anime erano 1624. La chiesa venne ampliata più volte; la prima fu nel 1500 con un lavoro che durò 26 anni. In quell'anno al 19 aprile fu consacrata. Nel 1596 il Vescovo ordinava di far la sacrestia ed il vestibolo davanti alla chiesa. La facciata fu compiuta nel 1900 per volontà dell'arciprete Don Mirani ed all'arciprete Don Franzosi gli si devono altri abbellimenti alla chiesa. Opera di Don Franzosi è pure a canonica.
Come per la diocesi di Tortona, cosi nella chiesa di Zavattarello, l'Eucarestia non si conservava nel tabernacolo sull'altare, ma in una nicchia del muro in cornu evangeli. L'Eucarestia si conservava pure nell’Oratorio di S. Rocco per comodità della popolazione prima che vi andassero i frati: nel 1810 non vi erano banchi per il popolo.
Nel 1526 l'altare maggiore era dedicato alla Natività della B. V., ed i laterali erano dedicati a S. Antonio, S. Bernardino, S. Tommaso, S., Sebastiano, Santa Barbara.
Le reliquie dei santi Vittore, Vittoria, Prospero e Candida estratti dalle catacombe di San Ciriaco furono donati dal conte Pietro Dal Verme negli anni 1675-76.
La confraternita del Carmine fu eretta nel 1650: quella del Rosario nel 1703 e nello stesso anno fu eretta quella del Pio Suffragio come si legge nell'archivio di quella parrocchia. Nl 1615 il visitatore ordinava di cintare 1l cimitero con un muricciolo.
Molti cadaveri si seppellivano in chiesa. Non potendosi più far ciò sia per angustia di luogo che per igiene, sulla fine del 1700, per opera della confraternita del Pio Suffragio, si iniziò un nuovo cimitero. Nel 1810 nei fini della parrocchia esistevano i seguenti oratori:
- San Martino di Riscione o di Rossone detta talvolta Arsone. Questo luogo è nominato nel diploma di Ottone I nel 969 a favore dell’Abbazia di S. Pietro in Ciel d'Oro: “villam unam Rusconum cum ecclesia inibi fundata a via publica usque ad fossatum”. La chiesa era volta ad oriente come tutte le antiche: era fuori dell’abitato: aveva proprio battistero ove si battezzavano i nati nelle ville Rossone, Crosiglia, Tovazza, Cassine e Perducco. Nella visita del 1615 si ordinava di sistemare il battistero. Aveva proprio cimitero. Tutto ciò dimostra che era parrocchia. La chiesa rovinata fu edificata in altro luogo.
- Tovazza detta anche “Curtis Tubatia” da Carlo Magno con diplorna 5 giugno 774 fu donata al monastero di Bobbio con Montelungo e Mormorola. La chiesa era dedicata a S. Michele e volta a levante. Come corte aveva giurisdizione (civile) su Rossone, Prato Silvano ed il domusculta di S. Severo. Questo detto pure S. Silverio, Silvestro, Savario era un ospedale, come si legge in un documento del 17 aprile 1400 (Curia di Tortona, Cartella Zavattarello). Nel 1730 era un Oratorio con beneficio proprio che fu poi incorporato nella prebenda.
- Chiesa di Perducco 0 Preduco. Nella relazione del 1810 è detta S. Stefano mentre negli altri documenti è detta S. Antonino. Alla fine del secolo X era pieve, e ne era arciprete Ildeprandus. Tale era ancora alla fine del secolo XIV come si legge nell'elenco del clero bobbiese di quell'epoca riportato dal Registrum Episcopalis Palatii Bobiensis esistente nell'archivio vescovile di quella città. In esso si legge al 9 Agosto 1365: “Imbreviatura de instrumento confessionis factae per dagninurn filium cesardi ferrarii zavattarello archipresbyterum plebis sancti antonini de preducho de sex caponibus quod reddit omni anno nomine census canonicae bobiensi”. La pieve fu incorporata in quella di Zavattarello. Nel 1189 Perduco era stato preso ed incendiato dai Piacentini.
- S. Martino al Molino, anch'essa rivolta ad oriente.
- S. Domenico di Crosiglia eretto nel 1725.
- S. Maria di Castignola già esistente nel 1661.
- Maria Assunta al Tassone e Madonna della Neve già esistenti nel 1808.
San Rocco.
Nel 1602 la popolazione desiderava una congregazione religiosa che le portasse maggiore comodità pel dísimpegno dei suoi doveri religiosi (la parrocchia era fuori del paese) e coadiuvasse il parroco nel ministero parrocchiale. Ed il 17 agosto 1604 fra i signori conti Filippo Marc'Antonio ed Ercole Dal Verme, i consoli della comunità ed alcuni particolari da una parte, ed il delegato dei frati agostiniani eremitani di Milano dall'altra, si stipulava una convenzione in forza della quale i detti frati si obbligavano a celebrate ogni giorno la messa nell'oratorio cli S. Rocco ed a coadiuvare il parroco, e gli altri contraenti si obbligavano a provvedere il mobilio per quattro frati sacerdoti ed a somministrare ai medesimi ogni anno 12 sacchi di frumento, 18 ducatoni ed una brenta di vino, e di più consegnavano loro il piccolo giardino annesso all'oratorio, una vigna ed alcune piante di castagne.
Vi stettero novanta anni fin che essendo diventati pochi caddero sotto la bolla di soppressione di Papa Alessandro VII nel 1694. La comunità ne fu addolorata, e perciò fece istanza per riaverli (promettendo il sussidio di trecento scudi), perché, diceva l'istanza:”se un povero suddito cade in disgrazia degli illustrissimi padroni 0 della giustizia, non c'è alcuno che dica una parola e procuri di sollevare la famiglia del medesimo”.
Non sembra che egual rincrescimento ne avessero gli arcipreti. L’arciprete Don Bozzola pochi anni dopo fece venire gli Scolopi all'oratorio di S. Martino delle Moline perché istruissero i fanciulli e spiegassero il Vangelo, e loro lasciò quanto possedeva nel territorio di Zavattarello. I religiosi assolvettero questo compito fino a quando in nome della libertà furono soppressi dalle leggi rivoluzionarie, cioè nel 1798.
[1] Giacomo Coperchini "quadro ecologico e interpretazione storica del territorio Piacentino-Bobiense, 1988
Link Interessanti su Zavattarello presi dai siti internet presenti:
Zavattarello: la perle verde dell'Oltrepò Pavese
Fotografie bellissime della frazione delle Moline, dove la famiglia di mia mamma, ha vissuto dalla fine dell’800 fino agni anni ’40 del novecento.